IL GELOSO DA ESTREMADURA
Novella sesta
Argomento
Filippo Carrizale, gentiluomo da Estremadura, provincia di Spagna, si prende per moglie, nell'ultima sua vecchiaia, una donzella d'anni quatordici, chiamata Leonora. Egli fa fabricar un palazzo e vi serra la moglie, con tutti i famigli di casa, senza che nessuno di loro possa uscirne che non abbia da lui licenza. Un giovine per nome Loaisa operò tanto ch'egli guadagnò il portinaro e la governatrice, o maggiordoma, insieme colle cameriere, e dà una bevanda per il Carrizale, la quale un gran pezzo lo fa dormire. Svegliasi e, trovando la moglie che stava a giacere e dormendo in braccio del giovine, di gran cordoglio se ne muore; ella, che non aveva peccato che colla volontà sforzata, si fa solitaria in un monastero e Loaisa vinto da disperazione vassene all'Indie.
Non è gran tempo che fu un gentiluomo di un luoco d'Estremadura, il quale, come un altro prodigo, caminò per molte provinzie di Spagna, d'Italia e di Fiandra, consumando le sue sostanze e gli anni insieme. Dopo di molti viaggi, il padre e la madre di lui essendo morti ed il suo patrimonio quasi del tutto consumato, venne a fermarsi in Siviglia, ove trovò purtroppo occasione per finire quel poco di robba che gli avanzava.
Così, dando conto a sé stesso delle passate sue azioni, faceva fermo proposito di mutar vita e stile nel conservar meglio per l'avvenire il bene che piacerebbe a Dio dargli, procedendo con manco liberalità e con più di circospezione con le donne di quello che sin a quell'ora avesse fatto.
Or per conchiuderla in poche parole e non distendersi in quelle che non fanno al proposito, dico che 'l Carrizale, quando se ne passò all'Indie, era di quarantaott'anni. Et in venti ch'egli vi stette seppe così ben fare colla sua industria e diligenza ch'esso diventò ricco di più di centocinquantamila scudi.
Per il che si risolse di ritirarsi nel luoco ov'era nato, ancorché avesse avute nuove che la morte gli aveva tolti tutti i parenti.
Oltra di ciò desiderava avere qualcheduno a chi dovesse, doppo morto, lasciare i suoi beni e con questo disio si toccava il polso e gli pareva che avesse ancor assai forza da potere portar il peso del matrimonio. Però, venendogli questo pensiero, un sì fatto timore lo sopragionse che restava disfatto, sì come al vento si disface la nebbia, imperò che dalla sua natura era il più geloso uomo ch'avesse il mondo, anche senza essere maritato, poiché la sola immaginazione di voler esserlo già cominciava a dargli gelosia che tutto il turbava e sospetti che gli trastornavano in cervello, di modo che mutò sentenza e propose assolutamente di non tor moglie.
Stando in questa risoluzione ed irresoluzione che vita dovesse menare, volse la sorte ch'un giorno ch'egli passava per una strada, rivolgendo gli occhi ad un balcone, vi vidde una fanciulla di anni tredici o quatordici incirca, sì bella e graziosa che, senza potersi diffendere, s'arrese e sottopose la debolezza dei molti anni suoi ai pochi di Leonora, così era chiamata quella bella donzella.
Questa fanciulla è molto bella ed all'aspetto di questa casa per lo di fuori ella non deve esser ricca. È giovinetta. Suoi pochi anni potranno assicurare l'animo mio d'ogni sospetto. Averla voglio per mia mogliere. Terrolla rinchiusa e serrata; e la farò a mio modo, a tale che con questo non sarà d'altra condizione se non di quella che stampata le avrò io.
bastare. I ricchi cercar non debbono nei lor matrimoni altro che gusto, perché il gusto fa che si vive più lungo tempo ed i disgusti ch'entrano fra i maritati loro scortano la vita.
Avendo fra sé stesso fatto questo discorso non una volta ma cento, in capo di alcuni giorni egli parlò col padre e con la madre di Leonora e seppe che, con tutto che fossero poveri, erano nobilmente nati. Lor disse qual egli fosse, che facoltadi eran le sue e qual il suo intento, pregandoli che fossero contenti dargli per moglie la lor figliuola.
La tenera Leonora, che non conosceva ancora a che fosse venuta, lagrimando con i suoi padri, lor domandò la loro benedizione e, partendosi da quelli, avendo attorno le sue serve e schiave e condotta per mano del suo sposo, venne a casa di lui e nell'entrarvi egli fece a tutte un'essortazione, raccomandando loro strettamente di aver l'occhio in guardar Leonora e che non lasciassero in modo nessuno entrar anima vivente più oltre della prima porta, ancorché fusse il negro eunuco.
Ne' giorni di festa ch'ella andava a messa, al barlume, com'abbiam detto, il suo padre e la sua madre parlavano con lei in chiesa ed in presenza del suo marito, il qual lor dava tanti presenti che quella sua liberalità mitigava assai il gran dolore ch'essi sentivano per la grande stretezza in che vedevano la lor figliuola.
avesse disturbato, come intenderete.
Or mi risponda adesso il più savio ed avvisato di tutti i mortali: che altra cosa il buon Filippo avesse potuto inventare e che miglior ordine per la sua sicurtà, poiché neanco volle mai permettere che nessun animale che fosse maschio gl'entrasse in casa?
Dalla porta sin al cortile mai v'entrò uomo.
L'argento dei capegli bianchi del Carrizale pareva agli occhi di Leonora che fosse oro puro, perché 'l primo amore delle donzelle s'impronta negl'animi loro come il sugello nella cera molle.
La stretta guardia che se le faceva addosso parevale una prudente avvertenza.
Ella pensava e si credeva che tutte le nuovamente maritate menassino vita simile alla sua.
Non s'arrischiavano i suoi pensieri di spuntar fuora le muraglie di casa sua; né la volontà di lei altra non era che quella del marito. Mai vedeva le strade, se non nei giorni ch'andava a messa, ed era questo tanto per tempo la mattina che ancora non era luce per vederle, se non quando tornava dalla chiesa.
Mai si vidde monasterio più serrato, mai monache più rinchiuse, mai pomi d'oro così ben guardati. Con tutto questo, non potette in modo nessuno prevenire né fare che non cascasse in quello che temeva o, per lo manco, che non credesse di esservi cascato.
In Siviglia è una spezie di gente oziosa e spensierata: si chiama volgarmente la gente della contrada. Sono figliuoli dei più ricchi cittadini; vestono atillatamente e pomposamente ed a vicenda si banchettano l'un l'altro. Vi saria pur assai da dire circa i loro portamenti, il suo modo di vivere, la lor condizione ed intorno alle leggi, od usanze, ch'essi guardano; ma per buon rispetto non ne diremo più oltre.
Or uno di questi zerbinotti, che fra di loro si chiamano scapoli o non maritati che dir gli vogliamo, s'incontrò mirare e considerare la casa del solitario Carrizale e, veggendola perpetuamente serrata, gli venne una fervente voglia di sapere chi stava dentro. Per il che usò sì fatta diligenza che infine egli contentò la sua curiosità e seppe quello ch'ei cercava.
Loaisa, così si chiamava uno di quelle buone limosine di scapoli, fingendo di andar in villa, s'assentò per alcuni giorni dagli occhi dei suoi amici. Misesi poi delli calzoni di tela ed una camiscia netti e per di sopra un vestito sì lacerato e rappezzato che non era nessun briccone in tutta la città che lo portasse così disgraziato.
Sarà possibile, Luigi, darmi un poco d'acqua, perché io mi spelo di sete e non posso più cantare?
No rispose il negro, perché non ho la chiave di questa porta né vi è pertugio tanto largo per dove io vi possa dar acqua.
Chi tien la chiave? domandò Loaisa.
Mio padrone rispose il negro, il quale è il più geloso uomo del mondo.
Io rispose Loaisa son un povero storpiato d'una gamba che mi guadagno la vita domandando la limosina per amor di Dio alla buona gente; e con questo insegno a suonare d'istromenti ad alcuni negri e ad altri poveri; e medesimamente ho già insegnato a tre negri schiavi, di ventiquattro ch'apparano da me, i quali possono cantar e suonare in qualsivoglia festino ed in qualsivoglia taverna. Et essi mi hanno molto bene ricompensato.
Assai meglio io vi pagherei disse Luigi s'io potessi pigliare delle vostre lezioni ma non è possibile, a causa che 'l mio padrone, uscendo la mattina di casa, serra con chiave la porta della strada e, doppo ritornato, fa l'istesso, lasciandomi serrato tra le due porte.
A fede mia, Luigi replicò Loaisa che già sapeva il nome del negro, se voi trovaste modo od invenzione ch'io entrassi là dentro alcune notti a darvi lezione, in manco di quindici giorni vi farei sì valent'uomo nella chitarra che francamente e con onor vostro ne potreste suonare per qualsivoglia cantonata. E dovete sapere che ho pur assai grazia nell'insegnare e metodo facilissimo. E tanto più sarebbe facile che voi imparaste bene, che ho sentito dire ch'avete buon ingegno. E per quanto posso giudicare da quel ch'io sento per l'organo della voce, ch'avete molto suonora e dolce, e dovete cantar bene.
Non canto male rispose il negro; ma questo non mi giova nulla, poiché non so suonata alcuna, da quella della Stella di Venere in poi, e quella Per un verde prato e quella che s'usa addesso che dice Per una inferriata presa la turbata mia mano.
Tutte quelle canzoni sono da niente disse Loaisa in comparazione d'altre ch'io potria insegnarvi, perciò che so tutte quelle del moro Abindarraez e della sua dama Scaiarifa, e tutte quelle che si cantano del gran sofi Tomumbeio ed insieme la zarabanda, sì divinamente composte che per l'orecchie rapiscon l'animo agl'istessi portoghesi. Or io insegno tutto questo con tanta destrezza e facilità che, quantunque non v'affrettiate e senza lambicarvi il cervello nell'imparare, appena averete mangiate tre o quattro moggia di sale che vi vedrete musico a tutta prova, in ogni genere di chitarra.
A questo sospirò il negro e disse:
A che giova tutto ciò, posciaché non so come io possa introdurvi in casa?
Buon rimedio rispose Loaisa. Procurate di pigliar destramente le chiavi al vostro padrone e vi darò un pezzo di cera, nella quale le impronterete di maniera che rimanghino benissimo segnate in quella. E per la buona affezione che vi tengo farò sì che un chiavaro amico mio le faccia e così potrò entrar di notte là dentro ed insegnarvi a suonare meglio che il Prete Gianni dell'Indie; e certo veggo ch'è gran peccato che una voce così buona com'è la vostra si perda, per mancamento d'accompagnarla col suon della chitarra. E voglio che sappiate, caro fratel Luigi, che la miglior voce del mondo perde assai del suo valore quando non viene aiutata con l'istromento, o sia di chitarra o clavicembalo, d'organo o di arpicordio. Ma quello che, per mio parere, si confaccia meglio con la vostra voce è la chitarra; e poi, egl'è il più portiale d'ogn'altro istromento ed anche di manco spesa.
Tutto ciò mi pare che staria bene replicò Luigi ma non puol essere, però che mai le chiavi vengono in man mia né mai si partono da quella del mio padrone; di giorno e di notte stanno sotto il suo capezzale.
Farete dunque un'altra cosa, Luigi disse Loaisa, se volete diventare musico consumato ed isquisito suonatore; ma se non avete voglia non occorre ch'io mi stracchi il cervello in darvi consiglio.
Come, se non ne ho voglia? tornò a replicare Luigi N'ho tanta che nessuna cosa possibile trascurerò per diventare musico.
Se così è disse il furbo Loaisa, vi porgerò tra porta e muro, pur che m'aiutate da banda vostra scalcinando un poco del calcinaccio e qualche pietra della muraglia, delle tennaglie ed un martello con che potrete sconficcar di notte li chiodi della serratura con molta facilità e con la medesima torneremo ad inchiodarla, di modo che non si potrà conoscere che sia stata schiodata. Poi quando sarò là entro serrato con voi nel vostro pagliaio, overo dove voi dormite, userò tanta diligenza in fare ciò che pretendo che voi stesso vederete assai più di quel ch'ho detto, con util mio ed augumento della vostra capacità. Per conto poi del mangiare, non ve ne date pensiero, perché io portarò provisione per noi due e per più di otto giorni. Ho discepoli ed amici che non mi mancheranno al bisogno.
Per questo replicò il negro non vi date travaglio, che la parte che me dà il mio padrone e gl'avanzi che mi vengono dati dalle schiave basterebbono per ancora due altre persone.
Faccia la buona ventura disse Loaisa che di qui a due giorni, Luigi, voi averete tutto ciò che bisogna per condurre a capo nostro virtuoso disegno. Fra tanto avvertite a non mangiare cose flemmatiche, però che non son buone per la voce, che la guastano affatto.
Non è cosa che me la faccia diventar tanto rauca rispose il negro quanto il vino ma per questo non voglio lasciarlo, per quanto voci ha la terra.
Questo non dico io soggionse Loaisa e tolgalo Iddio; bevete, caro Luigi, bevete pure, che buon pro vi faccia, perché il vino che si beve moderatamente e con misura mai fece danno alcuno.
Così lo bevo con misura disse il negro, perché ho qui un boccale che ne tien dui degl'ordinari. Le schiave me lo portano pieno, senza che 'l padrone lo sappia, e lo spenditore me ne dà di nascosto un fiasco, che tiene giustamente due boccali, e questi supliscono per l'altro.
Dico disse Loaisa che quello mi va bene per la fantasia, perché la gola asciuta non grugne né canta.
Andate con Dio disse il negro ma per vita vostra non mancate di venir ogni notte, mentre indugerete a portar qua quello ch'avete di bisogno per entrare qui dentro. Già mi pizzicano le dita per la gran voglia di vederle poste sopra la chitarra.
Ch'io non manchi di venire! replicò Loaisa Verrò senz'altro ed anche con nuove canzonette e suonate.
Oh! Questo bramo disse Luigi ed ancora vi prego non vi partire senza cantarmi qualche cosa, acciò io vada a dormire con più gusto. In quanto poi del pagamento, sappiate, signore stropiato, che meglio da me che da un ricco sarete sodisfatto.
Non pongo mente in questo disse Loaisa, voi mi pagherete secondo ch'io v'insegnerò. Per adesso state a sentire questa suonata. Quando sarò là dentro voi sentirete meraviglie, vedrete miracoli.
Sia in buonora rispose il negro.
Finito questo lungo parlare, Loaisa cantò una canzona di sotil invenzione, con che restò il negro sì contento e sodisfatto che gli pareva che mai quell'ora di aprire la porta fosse per arrivare.
Appena Loaisa quindi s'era partito che con più prestezza che non permettevano le sue crocciole corse ad avvisare i suoi compagni e consiglieri del buon principio, augurio del buon fine ch'indi sperava. Trovatili, lor diede conto di quanto tra lui ed il negro passato era; e l'altro giorno ebbero i lor ordigni ed eran tali che rompevano i chiodi così facilmente come se di legno fossero stati.
la porta ed accolse dentro il suo Orfeo e maestro. Ma quando lo vidde con le crocciole, sì straccioso ed anco con una gamba tutta infasciata, stette sospeso ed oltramodo meravigliato.
Sappiate, caro fratello Luigi, ch'io non sono stropiato né zoppo di natura o da infirmità, se non a posta e da industria, con la quale io mi procaccio il vito, domandando per amor di Dio, ed aiutandomi con quella e colla mia musica ed istromento passo la più felice vita di questo mondo, nel quale tutti coloro che non saranno industriosi ed imbrogliatori vi moriranno da fame; e questo il vederete nel corso della nostra amicizia.
Ella lo dirà rispose il negro; ma fra tanto diamo ordine che questa serratura sia tornata al suo luogo, di modo che non si conosca alterazione.
In buonora disse Loaisa.
E cavando chiodi dalla sua bisaccia rassettarono la serratura in quella medesima positura ch'ella stava di prima.
Contentossene assai Luigi e Loaisa, salendo al pagliaio ove stanziava il negro, vi si accomodò il meglio che potette.
e Loaisa immantinente prese la sua chitarra e cominciò a suonarla pian piano e con tanta soavità che ne stava sospeso il povero negro e come fuor di sé nell'ascoltarla. Avendo Loaisa alquanto suonato, ei cavò da ricapo dal suo bisacco delli confetti da fare collazione e ne diede al suo discepolo, il quale nonostante la lor dolcezza bevette con tanto gusto nel botaccio che quella del licore lo trasportò fuora di sé più che non fece il suono dell'istromento.
Luigi pigliasse la sua lezione; ma il povero negro, ch'aveva quattro dita di vino a buona misura nella zucca, non sapeva trovar i tasti e suonar non poteva. Ciò nondimeno, Loaisa gli dava ad intendere che già egli sapeva due canzoni o suonate, di modo che tutta quella notte altro non fece se non suonare con la chitarra scordata e che non aveva tutte le sue corde.
Che cosa è questa, Luigi? Da quando hai tu la chitarra? Chi te l'ha data?
Chi me l'ha data rispose Luigi è stato il miglior suonatore del mondo e quello che in manco di sei giorni m'ha da insegnare più di seimila canzoni.
Dov'è questo suonatore? seguitò la donna.
Non è molto lontano rispose colui e, se non fosse ch'io temo il nostro padrone, potria essere che vel farei veder or ora; ed affé che vi sarebbe di gusto il vederlo.
Ma come lo potremmo vedere replicò lei, se in questa casa mai nessun altro che 'l nostro padrone è entrato?
Basta, non voglio dir più soggiunse il negro sin tanto che non vediate quello ch'io so e ch'egli, nel poco tempo che v'ho detto, m'ha insegnato.
Così Dio m'aiuti disse la donna, se colui che t'insegna non è qualche demonio incarnato, perché è impossibile che un uomo possa, in sì poco di tempo, farti esperto nel suonar d'istromento.
Andate andate replicò il negro, lo vederete e sentirete qualche giorno.
Questo non potrà essere disse una delle serve, però che non abbiamo finestre sopra la strada, per poter vedere o sentir alcuno.
Sta bene rispose Luigi ma a tutto, dalla morte in poi, v'è rimedio. Se voialtre sapeste o voleste tacere, vedereste s'io dica il vero.
Che dici tu tacere, caro fratello! disse una delle schiave Taceremo via più che se fossimo nate mute, perché io mi muoro dalla gran voglia ch'ho di sentire una buona voce. E da che stiamo qui riserrate tra quattro muraglie neanche il canto delli passeri, non che degli uomini, abbiamo sentito.
Stava Loaisa ascoltando con grandissimo gusto tutti questi ragionamenti, parendogli che tendevano a fargli conseguire il bramato suo intento, a che la sorte amica si fosse pigliato l'assonto di condurlo conforme la volontà di lui.
Levaronsi via di lì le serve, il negro promettendo loro che quando meno vi pensassero le chiamerebbe a sentir una buona voce. Ora, egli non volse star più a ragionare con esse, temendo che il padrone ce lo trovasse, e così si ritirò nella stanza sua.
Rispose Loaisa che, se volessero aver gusto in sentirlo senza sospetto né tema del vecchio, lor darebbe una certa polvere, la quale mettendogliela nel vino ch'avesse da bere era di tanta virtù che 'l farebbe dormire più dell'ordinario.
Ohimè Dio disse una delle serve, se questo fosse vero, che buona ventura saria entrata in questa casa, insensibilmente e senza che l'avessimo meritata.
ma sopra tutto non scordate la polvere. Io m'offero a mescolarla con il vino e servirlo di coppiera. Volesse Iddio che 'l vecchio dormisse tre dì e tre notti, che altretanti a noi sarebbono una gloria.
Senz'altro ve la porterò disse Loaisa ed è tale quella polvere che non fa mal né danno a chi la piglia, se non di fargli venir sonno e dormire a sodo.
Tutte insieme lo ripregarono che gliela lor portasse quanto prima. Fra tanto risolsero di dover l'altra notte far un buso nel torno con un trivello e che farebbono di modo che la loro padrona vi venisse a vederlo ed ascoltare. Sopra di questo si licenziarono dal negro; ed egli, benché spuntasse quasi l'alba, volse pigliar lezione e Loaisa gliela diede, dandogli ad intendere che di tutti gl'altri suoi discepoli non era alcuno ch'avesse miglior orecchio del suo; e tuttavia il povero negro non sapeva né mai seppe far un accordo.
In questo mentre non mancavano gl'amici di Loaisa a venire di notte ad ascoltare alla porta della strada ed a saper da lui se avesse bisogno di qualche cosa. E facendo un certo segno, concertato tra di loro, conobbe Loaisa ch'essi eran alla porta e per un buso di quella disse loro succintamente del buon termine in che si ritrovava il suo negozio, supplicandoli caldamente che trovassero qualche cosa che provocasse il sonno, per darla al Carrizale. Lor disse com'altre volte aveva sentito dire d'una certa polvere propria a quell'effetto; disserogli li suoi compagni che avevano un medico amico loro che lor darebbe il migliore rimedio ch'egli sapesse, se qualcheduno ve ne fosse di buono. Intanto gli fecero animo, acciò che proseguisse innanzi la cominciata sua impresa, promettendo loro di ritornare l'altra notte, con tutto quello che fosse necessario, e così prestamente quindi si partirono.
Venne la notte e la banda delle colombe si ridusse al richiamo della chitarra al luoco apostato. Ancor vi venne con esse la semplice e poco cauta Leonora, tutta timida e tremante, perché temeva che 'l suo marito si svegliasse. Et ancorché vinta da questa temenza non volesse venirci tante cose le dissero le sue serve, e spezialmente la maggiordoma, della suavità della musica e della gagliarda disposizione del povero musico, e senza averlo veduto il lodava ed innalzava di bellezza sopra di Narciso e di cantar e suonare sopra d'Orfeo, di modo che la povera signora, vinta dalle persuasioni di quelle, ebbe a fare ciò che non aveva né mai avesse avuto in animo.
La prima cosa che fecero fu di fare un buco al torno per vedere il musico, il quale non era più vestito da povero. Egli aveva i calzoni di zendado lionato, lunghi e larghi alla marineresca, il giubbone del medesimo, con sopravi le trine d'oro ed una montiera di raso dell'istesso colore, il collaro fatto a lavoro co' suoi merletti ed inamidato. Così era venuto col bisacco provisto di tutto ciò che gli era necessario, perché aveva ben pensato, ed antiveduto, ch'egli si troverebbe in occasione nella quale converrebbe ch'ei si mutasse il vestito.
Egli era giovine, di bella vita e di buon garbo ed aspetto. Et a tutte quelle femine, che da molto tempo non aveano veduto altro uomo che il loro vecchio, mirando questo giovine pareva che vedessero una meraviglia dell'altro mondo.
Ora questa metteva l'occhio al buco per vederlo, ora quella subito faceva lo stesso e così tutte a vicenda. E perché lo potessino vedere meglio gli andava il negro attorno attorno con la lume in mano.
Quando che tutte, sin alle schiave guattere, l'ebbero ben guardato, prese Loaisa la sua chitarra e cominciò a suonarla sì soavemente ch'egli le rapì affatto, così la vecchia come le giovini. Or tutte pregarono il negro ch'egli trovasse qualche invenzione e desse ordine acciò il signor suo maestro entrasse dentro, per poter meglio udirlo et vedere più dappresso, e non per la bussola e per lo buco, e senza tema che il loro signore, essendo sì discoste da lui, le cogliesse all'improviso ed in flagrante col furto in mano, il che non succederebbe così se 'l tenessero ascoso dentro.
A questo non volle acconsentire la padrona, allegando molte buone ragioni e dicendo che non si dovesse fare una tal cosa né permettere l'entrata al suonatore, perché se ne potrebbono poi pentire. Però si dovessero contentare di vederlo di lì ed udirlo a man salva e senza pericolo dell'onore.
Che onore? replicò la maggiordoma Il re ne ha d'avanzo per tutti. Per mio consiglio state riserata col vostro Nestore e lasciateci almanco passar il tempo come potremo.
Io, signore mie disse allora Loaisa, non venni qua per altro che per servire le signorie vostre con tutto 'l cuore, condolendomi di questa vostra stretta ed inaudita chiusura e delle occasioni e del tempo che in questo riserrato genere di vita si perdono.
Se così ha da essere disse l'incauta Leonora, come s'avrà da fare perché qua entri il signor maestro?
Cosa facile rispose Loaisa, se le vostre signorie tanto faranno che di questa porta di mezzo la chiave venga rimpronta in cera ed io farò che domani notte n'averemo una simile, bella e fatta, che ne potrà benissimo servire.
In aver quella chiave disse una delle serve si averà tutte l'altre di casa, perciò che è chiave maestra ch'apre tutte l'altre porte.
Tanto meglio replicò Loaisa.
Dice il vero disse Leonora ma questo signore primieramente ha da giurare che, dopo che l'averemo introdotto qui in casa, egli non farà altro che cantar e suonare quando glielo comanderemo e starà serrato e zitto nel luoco dove lo metteremo.
Io lo giuro disse allora Loaisa.
Quel giuramento non vale replicò Leonora, bisogna che giuriate per la vita di vostro padre e per la croce e quella baciare, che tutte il veggano.
Io giuro disse Loaisa, per la vita di mio padre e per questo santo segno di croce che con mia bocca indegna io baccio.
E facendo egli la croce colle dita, per tre volte bacciola.
Avvertite, signore, che non bisogna scordarsi la polvere, perché questa è l'importanza di tutto il negozio.
Qui finì il ragionare di quella notte e tutti restarono contentissimi dell'accordato.
che dir vogliamo. Parlò con esso loro Loaisa e gli ragguagliò del termine in che stava la sua pretensione. Lor domandò s'avessero portata la polvere od altra cosa, come gli aveva pregati, per far dormire il Carrizale; ed ancora lor disse ciò ch'era stato risoluto per la chiave maestra.
Temendo e tremando di paura Leonora, e quasi non osando fiatare, cominciò ad ongere i polsi del geloso marito ed anco gli unse le nari; e quando vi portò la mano spasimava di paura e le pareva che fosse colta sul fatto;
Buona nuova, sorella, buona nuova, il Carrizale dorme meglio d'un morto.
Che state dunque ad aspettar, signora rispose la maggiordoma, che non pigliate la chiave? Fa più d'un'ora che 'l musico sta aspettando.
Ch'egli abbia un poco di pazienza, amica mia cara replicò Leonora, ch'io vado per essa.
Così dicendo, ella andò al letto, mise la mano tra i due materassi e ne trasse la chiave, senza che 'l vecchio addormentato nulla sentisse. Quando che l'ebbe in mano, saltava d'allegrezza e, senza indugiare, con quella aprì la porta e poi diedela alla maggiordoma, la quale la ricevette col maggior gusto del mondo.
Tanto farò disse la maggiordoma e vi prometto sopra la fede mia che qua non entrerà se prima egli non averà giurato e rigiurato e baciato sei volte la croce.
Non ci mettete tassa soggionse Leonora, la baci quanto voglia. Ma avvertite di fargli giurare per la vita dei suoi padri e per tutto ciò ch'egli ama, perciò che mediante questo giuramento saremo sicure e ci sazieremo da sentirlo cantare e suonare colla sua chitarra. Invero, egli la suona maestrevolmente. Andate, non indugiate
più, acciò non se ci passi la notte in ragionamenti.
La buona maggiordoma si succinse le falde e con ispedita leggierezza corse al torno, dove tutta la famiglia di casa stava aspettandola; e quando che lor ebbe mostrata la chiave, ch'ella teneva in mano, ne sentirono tutte tanto contento che l'alzarono di peso, proferendo: "Viva, viva", come quando si è addottorato uno. Et anche più ebbero da rallegrarsi quando ch'ella lor disse che non era più di bisogno di contrafar la chiave, perciò che, secondo che 'l vecchio profondamente dormiva, potrebbono ad ogni lor piacere adoperare quella di casa.
Orsù dunque, sorella disse una delle donzelle, che s'apra quella porta ed entri questo galantuomo. Ha aspettato un pezzo. Ora sì che dobbiamo pigliarci una buona corpacciata di musica, e satollarne, e tanta che più non vi sia da dire.
Vi è da dire e da fare replicò la maggiordoma, perché bisogna ch'egli giuri, sì com'ei fece la passata notte.
È così buono e da bene disse una delle schiave che non guarderà a giuramenti e non contrafarà.
In questo, la maggiordoma aprì la porta e tenendola mezzo aperta chiamò Loaisa, il quale aveva ascoltato il tutto per lo buso del torno. Or egli volle, accostandosi alla porta, entrar di lancio; ma la maggiordoma, opponendogli la mano al petto, gli disse:
Sappia vostra signoria, signor maestro, e sallo Dio, e sopra la mia coscienza, che noi tutte che qui dentro stiamo, dalla nostra padrona in poi, siamo vergini come le madri che ne partorirono.
E quantunque io paia essere di quarant'anni non ne ho tuttavia trenta compiti, perché ve ne mancano due mesi e mezzo, e sono donzella. E, se pare che vecchia io sia, i travagli, l'afflizioni, i disgusti e le fatiche fanno invecchiare, secondo che le pigliamo a petto.
Benissimo ha detto la signora Marialonso disse una delle donzelle e l'intende, come donna discreta e che vuol sempre stare ne' termini dell'onesto. Di modo che se questo signor maestro non vorrà giurare qui non ha da entrare.
Sopra di questo Ghiomara la negra, anzi goffa che no, con modo di parlar rozo prese a dire:
Per me, benché mai lo giuri, entri con sua malora, perché più ch'egli giurerà, se dentro entra, tutto scorda.
Riposatissimamente Loaisa stette a sentire l'arenga della signora Marialonso, a cui con gravità e ponderate parole rispose:
In verità, signore sorelle e compagne mie, mai fu pensier mio, né mai sarà, se non di darvi gusto e sodisfazione per quanto mi basteranno le forze; e però non m'è grave il giuramento che a me domandate ma vorrei bene che vi fidaste alquanto della parola mia, perché già data da tal persona quale son io è l'istesso ed è tanto valida quanto se fosse un obligo autentico, ov'entra il mallevadore per sicurtà. E voglio che sappiate che sotto rozi panni si ritrova alle volte spirito gentile e sotto cattiva cappa un buon bevitore.
Qui finì il buon Loaisa suo ragionamento, quando una delle donzelle, che con attenzione era stata ad ascoltarlo, prese a dire:
Questo sì ch'è un giuramento da far intenerir i sassi. Mio malanno, se più per la mia parte voglio che tu giuri, poiché, col giuramento ch'ora hai fatto, potresti entrare nella caverna di Cabra.
Ed acchiapandolo per le brachezze lo tirò dentro. Subito tutte l'altre l'attorniarono ed una d'esse corse ad avvisarne la sua padrona che stava invigilando sopra il sonno del marito. Quando la messaggiera le disse che già saliva il suonatore, l'allegrezza ed il timore tutto ad un tempo se le entrarono nell'animo, ciò nonostante non si scordò di domandare s'egli giurato avesse; ella rispose di sì ed era stato con la più nuova ed insolita forma di giuramento che mai in vita sua si ricordasse aver udita.
Poiché ha giurato soggiunse Leonora egli è nostro, legato lo teniamo. O che ben avveduta fui, allora che pensai fargli giurare.
In quel mentre, ecco venire tutte insieme la frotta delle donne. Stava in mezzo il cantore ed il negro e Ghiomar la negra, con ciascheduno una candela in mano, facevan lume.
Erano diventate tutte come ammutite e non osavano muover il labbro per isciorre una parola temendo d'essere sentite dal lor padrone. Ma Loaisa, considerando il lor silenzio, disse che potevan liberamente parlar forte, perché l'unguento col quale il lor signore unto era stato aveva virtù tale che, senza far morire, rendeva un uomo come morto.
Questo cred'io soggionse Leonora e, se così non fosse, egli per più di venti volte già svegliato si sarebbe, perché le sue molte indisposizioni di ordinario non lasciano ch'ei dorma di profondo sonno; e da che l'ho unto, sornaca come una bestia.
Stando questo disse la maggiordoma, andianne a quella sala dirimpetto, ove potremo comodamente sentir cantare, suonare il signor mastro e rallegrarci un poco.
Andiamo disse Leonora; fra tanto, resti qui Ghiomar la negra a far la spia, per venire ad avvisarne se si svegliesse il Carrizale.
Allora Ghiomar, col suo solito modo di parlar zotico e ridicoloso, disse:
Come io negra resto, bianche vanno, Dio perdoni tutte.
Così restò la negra e l'altre se n'andarono alla sala, ov'era disteso un ricco strato. Si misero a seder sopra ed in mezzo ad esse il mastro suonatore.
O che ciuffetto egli ha sì vago e sì ricco!
L'altra:
O che bei denti bianchi! Pignoni mondi, hi bò, non sono così netti
né di tanta bianchezza.
O che occhi grandi ed ispaccati diceva ancor un'altra; pel secolo di mia madre, son così verdi che paiono smeraldi.
Questa prendeva a lodar la sua bocca; quella i piedi e tutte insieme fecero un'anatomia del suo corpo, anzi un minuzzame. La sola Leonora non diceva parola ma lo guardava fisso fisso e le pareva ch'egli fosse d'un'altra stampa, e d'altro garbo, che 'l suo vecchiarello.
Intanto la maggiordoma prese la chitarra che 'l negro aveva in mano e la mise in quelle di Loaisa, pregandolo che volesse suonarla e cantar sopra una gustosa villanella ch'allora per tutta Siviglia era in credito.
Loaisa e contentarla.
Si fecero tutte in piedi e cominciarono a disfarsi in pezzi a forza di ballare.
Madre la mi madre,
guardas me ponéis;
Dicen que está escrito,
y con gran razón,
ser la privación
causa de apetito;
crece en infinito
encerrado amor,
por eso es mejor
que no me encerréis,
que se yo, etc.
por sí no se guarda,
no le harán guarda
miedo o calidad;
romperá, en verdad,
por la misma muerte,
hasta hallar la suerte
que vos no entendéis:
que se yo, etc.
de ser amorosa,
como mariposa
se irá tras su lumbre,
aunque muchedumbre
de guardas le pongan,
y aunque más propongan
de hacer lo que hacéis,
que se yo, etc.
Es de tal manera
la fuerza amorosa,
que a la más hermosa
la vuelve en quimera;
el pecho de cera,
las manos de lana,
de fieltro los pies,
que se yo no me guardo,
mal me guarderéis.
In quello che l'allegra brigata delle gioveni, guidata dalla maggiordoma, ch'era capo di ballo, finiva la canzone ed il ballare, ecco la negra Ghiomara, la sentinella, venir correndo tutta turbata e percuotendo col piede il suolo e l'una man con l'altra come una spiritata, la quale con voce roca e bassa disse:
Svegliato signore, signora, sì signora, svegliato signore e levassi e viene.
Chi vidde mai una compagnia o frotta di colombe star beccando senza temenza in uno seminato e che di repente sì sentendosi sparar contra strepitosa archibugiata, quella tutta impaurita lasciando il pasto, alzarsi a volo confusamente di qua, di là per l'aria, s'immagini che così fu della banda confusa di quelle ballarine. Voglio dire che quasi spasimate da paura, e tremanti per l'inaspettata nuova che Ghiomara portata aveva, ciascuna d'esse pensando per la sua discolpa, dettero a gambe, chi qua, chi là fuggendo ad ascondersi ne' granai e recessi della casa, lasciando solo il cantore, il qual abbandonata la chitarra e cessato il cantare, com'una mosca senza testa, non sapeva ove voltasse.
Prestamente s'ascose Loaisa e stette attenta la maggiordoma ad ascoltare se 'l padrone veniva. Ma quando che non udì niente ripigliò animo ed a poco a poco, senza fare strepito, s'accostò alla camera dove dormiva il Carrizale e sentì ch'ei russava, come da prima. Assicurata dunque del dormire di lui, s'alzò le vesti e ritornò correndo dalla sua signora a dargliene la buona nuova; e domandole la mancia, per così buon anoncio, come s'usa in Ispagna; Leonora gliela donò molto cortesemente.
Non volle la buona maggiordoma perder la congiontura che se le offeriva di godere, prima dell'altre, le doti e le grazie che ella s'immaginava dovere ritrovarsi nel musico. Per il che disse a Leonora che l'aspettasse nella sala, mentre che anderebbe a chiamarlo. Entrò Marialonso nella stanza dov'egli era tutto confuso e pensoso, aspettando d'intender nuova di ciò facesse il vecchio unto. Malediceva la falsità dell'unguento e lamentavasi della troppo crudelità de' suoi compagni e del poco avvedimento suo in non averne prima fatta l'esperienza sopra di qualcun altro che sopra il Carrizale.
Mentre che questa confusione lo teneva perplesso, ecco venire la maggiordoma, la qual l'assicurò che 'l vecchiarello dormiva più che mai. Questo alquanto quietò l'animo di Loaisa ed egli stette attento a di molte parole innamorate che gli diceva Marialonso, dalle quali comprese la poco buona intenzione di lei e si mise in pensiero di valersi di quella per amo da pescare la sua signora.
In questo mentre, le giovani stavan ad ascoltare le parole innamorate della vecchia Marialonso e ciascuna di esse le diede la mala pasqua. Nessuna la chiamò vecchia che non v'aggiongesse il suo epitteto, o titolo, ed adiettivo di strega, di barbuta, di capricciosa ed altri che per buon rispetto si tacciono. Ma quel che più faceva venir voglia di ridere erano le parole di Ghiomara la negra, la quale, per esser portoghese e di parlare rozo e mescolato, come s'è detto, aveva tanta grazia nel biasimarla che non si può rappresentarla.
Quando si furon ritirate, se n'andò sola alla sala la maggiordoma a persuader Leonora di contentare il desiderio di Loaisa, con un lungo ragionamento, e così ben contesto, che pareva ch'infino da molti giorni l'avesse studiato.
passerebbe con secretezza, ch'averebbe durata il gusto, con altri incantesimi di questa fatta che 'l maligno ed ingannatore spirito le metteva in bocca. Incantesimi pieni ed adornati di colori retorici, tanto dimostrativi, vivi ed efficaci ch'averebbon intenerito un cuor di marmo, non che quello già per sé tenero della poco avveduta e manco cauta Leonora.
Or, sarebbe stato allora molto a proposito di domandar al Carrizale, se non dormisse, ov'erano i suoi avvedimenti, le sue gelosie, i suoi antivedimenti, le sue persuasioni alla consorte, alla famiglia per conservazione del suo onore. A che le alte mura della sua casa? Il non esservi mai entrato neanche in ombra e pittura cosa ch'avesse il nome mascolino? A che il torno stretto? Le spesse muraglie? Le finestre senza luce e tutta quella notabile chiusura? Di che gli profittava la vantaggiosa contradote ch'aveva assegnata a Leonora? I regali continovi con che la tratteneva? Il buon trattamento ch'egli faceva alle sue serve e schiave? E la cura ch'aveva nell'esser puntuale in non mancare a somministrar loro largamente tutto ciò ch'ei s'immaginava avessero bisogno o potessero disiare?
Nonostante questo, fu tale il valore di Leonora che nel tempo che conveniva mostrollo e l'oppose contra la forza villana del suo astuto ingannatore, poiché quella non valse e non potette vincerla. Di modo ch'egli s'affaticò e si straccò indarno ed essa rimasse vincitrice ed ambedue s'addormentarono.
In quel mentre, volle il cielo che, a malgrado della forza dell'unguento, il Carrizale si svegliasse e, sì come era il suo costume, tastò per tutto il letto e, non trovando in quello la sua cara sposa, saltò fuor d'esso turbato ed attonito, con più leggierezza e sveltezza di quella che si potesse pensare da un uomo dell'età sua. E, quando che neanco nella stanza non trovò la moglie e vidde la porta aperta e che gli mancava la chiave sotto alli materassi, stette per perdere il senso.
Lo spiacente spettacolo ch'egli aveva davanti agli occhi gl'involò ogni spirito ed insensibile fecelo diventare.
Non puoté la lingua formar parola, le braccia se gli cascarono giù distese da svenimento e quasi statua di marmo restò freddo ed immobile. E con tutto che la colora facesse il naturale suo officio, ravvivandogli li poco men ch'estinti spiriti, però fu sì gagliardo il dolore che non gli lasciò ripigliar fiato; tuttavia, se allora egli avesse avuto arme, avrebbe fatta la vendetta di così grand'offesa. Per il che si risolse d'ir alla sua stanza per un pugnale e con quello cavar il sangue ai suoi due nemici ed ancora a tutta la sua famiglia, per lavarne la macchia del suo onore.
Accostossi al suo marito Leonora e, pigliatolo per un braccio, lo mosse in qua in là, per vedere se si svegliasse senza che fosse di bisogno lavarlo con aceto, sì come avevan detto che bisognarebbe fare, quando che si vorrebbe riscuoterlo dal sonno.
Per cotal movere egli ritornò in sé, diede un profondo sospiro e con voce querula e flebile disse queste parole:
Ah, sconsolato me! A che passo infelice m'ha condotto la mia mala sorte.
Leonora, che non aveva inteso bene quello che 'l suo sposo disse, meravigliossi fortemente veggendolo svegliato e che parlava, e che la virtù dell'unguento non durava sì lungo tempo ch'avevan detto; se gl'accostò e, giongendo il suo viso con quel di lui ed abbracciatolo strettamente, gli disse:
Che cosa avete, signor mio? A me pare che vi dogliate.
Udì la voce della sua dolce nemica lo sfortunato vecchio e, stralunando gli occhi come attonito, fissogli in lei e fissamente senza mover le palpebre la stette guardando per buona pezza, in fine della quale così le disse:
Fatemi questo piacere, signora, di mandar subito da parte mia per vostro padre e vostra madre, perché mi sento non so che affanno nel cuore che mi dà gran travaglio, e temo che di breve m'abbia da levare di vita, e però vorrei vederli innanzi ch'io mi morissi.
Credette Leonora che senza dubbio fosse vero ciò che 'l marito le diceva e che la virtù dell'unguento, anzi quello ch'egli veduto aveva, lo tenesse in quell'affannoso frangente. Ella rispose che quanto egli comandava sarebbe eseguito. Così mandò il negro allor allora a chiamare il padre e la madre di lei; ed abbracciando il suo sposo gli faceva le maggior carezze che mai gli avesse fatte, domandandogli spesso con teneri ed amorevoli parole, come s'ei fosse la cosa del mondo che più ella amasse, ove sentiva male.
In quel mentre gionsero i padri di Leonora e, come trovarono la porta della strada e quella del cortile aperte, la casa sepolta nel silenzio ed erma, restarono stupiti e con non poca turbazione.
Prego le signorie vostre di seder qua e tutti gli altri vadano fuora di questa camera; però resti la signora Marialonso.
Così fu fatto e loro cinque solamente restaron dentro. Allora il Carrizale, senz'aspettare ch'altri parlasse ed asciugandosi gli occhi, con riposata voce disse in questo senso:
Io son certo, padri e signori miei, che non faccia già di mestiere fare venir qua testimoni perché voi mi crediate quello che ho da dirvi.
quello che tanto mi aveva costato; e ciò doveva indurla a procurare ed a star avvertita acciò nessuna occasione o sorte di geloso timore l'animo mio turbasse.
Appena il Carrizale finiva queste parole, quando Leonora sentì il suo cuore sì fattamente angustiato che tramortita cascò in grembo al marito.
La vendetta che far io voglio di quest'affronto non ha da essere di quelle che ordinariamente soglion farsi.
E dicendo queste parole ei si chinò e baciava il viso di Leonora ch'era venuta meno.
Dico che non t'incolpo seguitò egli, perché le persuasioni d'astute e trincate vecchie e le alletanti parole di giovani innamorati facilmente sormontano e trionfano del poco di giudizio che sta con gli anni giovenili.
Detto questo, ei fu sopragionto da un tanto svenimento che si lasciò cascare sì appresso a Leonora che i lor visi si gionsero l'uno con l'altro: strano e tristo spettacolo al padre ed alla madre che stavano mirando la cara lor figliuola e l'amato lor genero.
Non volle la scelerata maggiordoma aspettar le riprensioni che le averebbono fatte il padre e la madre di Leonora, per il che all'istante se n'uscì della camera e tutto quello che passava andò a riferire a Loaisa, consigliandolo che ben presto si partisse di quella casa, e gli promise di avvisarlo pel negro di ciò che succedesse, poiché non v'era più né porte né chiavi che glielo vietassino.
Si stupì Loaisa di cotal nuova e, seguitando il consiglio di Marialonso, tornò a rivestirsi da mendico com'era prima ed andò a dar conto a' suoi compagni dello strano e non più udito successo del suo innamoramento.
Quando Leonora udì quelle parole, gittossi ai piedi del morente marito e, palpitandole il cuore, così gli disse:
Vivete per molti anni, signor mio ed ogni mio bene. Quantunque non v'abbia obligato a credermi di cosa ch'io vi dica, però sappiate, ed è vero, che non vi ho offeso se non con solo il pensiero.
E sopra di questo, come ella voleva continuare a scolparsi ed a distesamente raccontargli la verità del caso, più non potette muover la lingua e da ricapo venne meno.
Et allora che Loaisa sperava ch'ella adempisse quello che già egli sapeva esserle stato imposto dal marito nel suo testamento, vidde ch'in una settimana dopo della sua morte ella si fece monaca, in uno delli più austeri e riserrati monasteri della città. Egli perciò quasi affatto disperato e tutto vergognoso se ne passò all'Indie.