La Cornelia (N)


LA CORNELIA
Novella decima

Argomento

Di Cornelia, bellissima gentildonna bolognese, s'innamora un duca prencipe d'Italia e la gode. Di tempo notte il fratello di lei con l'arme in mano attacca il duca, il quale vien soccorso a caso da un gentiluomo spagnuolo, a cui fu inavertentemente dato il fanciullino allora partorito dalla gentildonna, acciò sel portasse a casa e n'avesse cura. Poi con istrano accidente ed impensatamente, cercando di mettersi in salvo, ella si ridusse in essa casa, di dove dapoi la fuggì via secretamente. Ma infine essendo ritrovata, il duca, accordatosi col fratello di lei, se la tolse per moglie.

Don Antonio da Isunza e don Giovanni da Gamboa, gentiluomini segnalati e d'età pari, molto discreti e fra di loro grand'amici, essendo studenti in Salamanca, determinarono di lasciare i loro studi per girsene in Fiandra, a ciò portati dal bollore del sangue giovine e da ardente desiderio, e curioso, di vedere il mondo ed anco perché lor pareva che l'esercizio dell'arme, quantunque stia ben a tutti, convenga meglio e sia più proprio di quelli che sono nati d'illustre sangue.

Eglino dunque arrivaron in Fiandra in tempo che le cose stavano in pace od in negozio e procinto di averla ben presto. Ebbero in Anversa lettere dei loro padri che gli scrivevano il dispiacere grande ch'avevano sentito perché avessero lasciati li loro studi senz'avvisarli prima, perciò che, a far manco male, si sarebbe dato ordine di provedergli nel loro viaggio di quelle cose che bisognavano per farlo da pari loro. A tale che, considerando il travaglio de' lor parenti e che in Fiandra non v'era da impiegarli, risolsero di tornarsene in Ispagna. Ma prima vollero vedere tutte le più famose città d'Italia; ed avendole viste si fermarono in Bologna, ove, meravigliatisi di quella celebre università, vi ebbero a ripigliare i loro studi, tralasciati, come dicemmo, a Salamanca. Di quella risoluzione avvisarono i suoi padri, i quali n'ebbero grandissimo piacere ed il mostrarono con provederli sì magnificamente che ben si comprendeva di chi fossin figliuoli. Il primo giorno che comparvero negli studi, tutti gli ebbero per gentiluomini ben nati e ben creati. Allora don Antonio poteva essere nell'età di ventiquattr'anni incirca e don Giovanni non passava i ventisei. Alla lor qualità e fiorita etade s'accompagnava l'esser valenti, destri e non manco poeti, con altre belle parti e doti dell'animo, per che da tutti eran benvisti ed onorati. Laonde in pochissimo tempo ebbero molti amici, così spagnuoli, che ve n'erano pur assai a studio in quella università, come de' bolognesi ed altri forastieri. Mostravansi liberali e cortesi e molto alieni dall'arroganza e superbia che dicono stare con gli spagnuoli. E come erano gioveni allegri e di buona compagnia non si scansavano dal conoscer le belle dame della città; e sopra tutte, benché fossero molte, donzelle e maritate, a cui la fama dava nome d'isquisita bellezza, aveva il vanto la signora Cornelia ... dell'antica e generosa famiglia delli ... Or essendo Cornelia perfettamente bella, la stava sotto la balia e custodia del suo fratello, onoratissimo e valoroso gentiluomo, perché erano amendue rimasi orfani ma tuttavia ricchi, condizione di grande alleviamento a quella dell'orfanità. Stava Cornelia con tanta ritiratezza ed era tale la cura del fratello nel guardarla ch'essa veder non si lasciava, né esso permetteva ch'ella da altro che da lui veduta fosse. La fama di quella bellezza e stretezza raddoppiava in don Giovanni e don Antonio il desiderio di vederla. Ma quel fu vano ed anco vana la diligenza che l'un e l'altro v'usarano, perché l'impossibilità ne tolse a loro ogni speranza e raffreddò la voglia. Così, con solamente attender all'amore dei suoi studi e a ricrearsi(1) con qualche onesto passatempo, si godevano una vita non men onorata ch'allegra. Poche volte uscivano di notte e quelle poche sempre insieme e ben armati.

Ora successe che una notte, volendo essi andar in volta, don Antonio disse a don Giovanni ch'egli voleva un poco trattenersi solo a recitare alcune orazioni dell'ordinaria sua divozione e però andasse avanti, che tosto lo seguiterebbe e saria di lui.

—Anzi v'aspetterò perché andiam insieme —disse don Giovanni— o, se vi pare che non dobbiamo uscire questa notte, importa poco.

—O questo no, bisogna andare, sig. don Giovanni —seguitò don Antonio—, uscite a pigliar aria ed andate inverso là ove sogliamo dar la volta, che ben presto sarò con voi.

Così don Gioanni andò il primo e restò don Antonio. Era la notte un poco scura e quasi mezza et egli, avendo già caminato due o tre strade, essendo solo e non venendo il compagno, pensò di dover ritornar a casa. Et eseguendo egli cotal pensiero, nel passare per una strada, sotto i portici di quelle case udì che zizitando chiamavanlo da una porta. Il buio della notte, con quello che causavano i portici, non gli lasciavano intendere di dove usciva quel zizitare. Per lo che fermossi un poco, stette ad ascoltare e vidde mezzo aprire una porta; ed appressandosi a quella sentì dire con bassa voce bisbigliando:

—Sete voi là Fabio?

Don Giovanni, fosse che fosse, rispose:

—Sì.

—Pigliate dunque —gli dissero— e portatelo in sicuro e ritornate presto, perché importa.

Don Giovanni allungò la mano et incontrolla in un busto e, volendo pigliarlo, conobbe che vi bisognava ambe le mani e così con le due lo ricevette. Appena gliel'ebbero consegnato che serraron la porta et egli sulla strada si trovò carco senza saper di che. Nondimeno tantosto cominciò a piangere una creatura allora nata, come pareva, al cui pianto don Giovanni rimase stupefatto e confuso, non sapendo che cosa ei ne dovesse fare o che ripiego dare a quel bisogno, perciò che gli pareva che il chiamare chi gliel'aveva data sarebbe stato mettere in pericolo la madre ed all'istesso espor la creatura, se la lasciasse abbandonata in su la strada. E di portarsela a casa non vi era comodità da farla allevare né egli, come forastiere, non conosceva in tutta la città persona alcuna a chi potesse darla. Tuttavia, veggendo che gli avevano detto che la mettesse in salvo e ritornasse presto, risolsesi di portarla a casa ad una donna che gli serviva, acciò la governasse, e tornarsene tosto a vedere s'avevano bisogno del suo favore, con tutto che ben s'accorgesse che lui avessino pigliato per un altro e preso errore in dargli quella creatura. Finalmente senza pensar più altro, se la portò a casa, allora che 'l compagno n'era uscito. Entrò in una stanza, chiamò la serva, scuoprì la creatura e vidde ch'era la più bella che mai veduta avesse. Le fascie ed i panni in che stava involta mostravano che di ricchi parenti ell'era nata. E sfasciata che l'ebbe la serva trovarono esser un fanciullino.

—Bisogna —disse don Giovanni— dar da poppare a questo bambolino e fare in questa maniera: gli levarete questi ricchi panni ed in luogo di quelli metterete degli altri dozzinali e, senza dire ch'io l'abbia portato, lo consegnerete in mano d'un'allevatrice, perché le tali donne sogliono provedere in simili occasioni e necessitadi; le darete denari, quanto bisognerà pel suo salario, e le nominarete i parenti del fanciullino tali quali voi vorete.

Avendo don Giovanni dato quest'ordine, egli ritornò prestamente a vedere se lo chiamassero ancora. Ma poco prima che arrivasse in quel luogo egli udì un gran strepito di spade, come di gente che combattesse.

Stette fermo ad ascoltare, però non sentì pur una parola, perché i colpi si davan alla muta, ed alla luce che scintillava dalle pietre percosse con le spade egli potette quasi discernere ch'erano molti ad assaltar uno e conobbe quell'esser vero, udendo dire:

—Ah, traditori, tanti contra me solo? Ma la vostra poltrona soperchieria non vi varrà.

Ciò udendo don Giovanni e portato dal valoroso animo suo, con due salti si spinse e pose allato dell'assalito e, cacciata man alla spada ed al suo brocchiere, gli disse in lingua italiana, acciò non fosse conosciuto per ispagnuolo:

—Non dubitate, o signor cavaliere, non vi perdete d'animo, che vi è venuto soccorso, il quale non vi mancherà se bisognasse lasciar la vita. Menate pur le mani, perché i traditori possono poco, benché siano molti.

—Tu te ne menti —rispose allora uno degli avversari—, che il voler riparare l'onor offeso, in che modo che sia, non è da traditore.

Non replicò parola, perché non gliene diede tempo lo spesso colpeggiare delli contrari, i quali, come gli pareva, erano sei, che strinsero di modo tale il suo compagno che con due stoccate, tutte ad un tempo menategli al petto, gittaronlo in terra.

Pensò don Giovanni che l'avessero morto ed essendosi posto con leggerezza e gran valore a fronte a tutti, a furia di stoccate e coltellate gli fece tornare indietro. Però, la sua virtù e diligenza nell'offendere e diffendere non gli averebbe valuto, se non si fosse affrettata la sua buona sorte in favorirlo con far che i vicini della contrada mettessero lumi alle finestre e fortemente chiamassero la corte, il che veggendo gli avversari presero a fuggire.

Già il caduto s'era rizzato in piedi, perché le punte delle spade non potero passargli il giacco. Aveva don Giovanni perduto in quella zuffa il suo capello e cercandone trovò un altro e sel mise in testa senza pensare s'egli era di lui o d'altro. Se gli accostò colui ch'ei avea soccorso e disse:

—Signor cavaliere, io confesso d'esservi obligato della vita, la quale, con tutto ciò che da me dipende, spenderò liberamente in qualunque occasione che sia di vostro servizio. Obligatemi ancora, vi prego, con dirmi come vi chiamate, acciò che io sappia a chi sono tenuto di sì segnalato favore.

Risposegli don Giovanni:

—Per sodisfarvi in quello che mi domandate e solamente perché vi voglio far piacere, senza mirar ad altro che possa inverso di me esser d'obligo vostro, come voi dite, sappiate che sono spagnuolo e gentiluomo studente in questa università; se v'importasse saper del mio nome volentieri ve lo direi; ma tuttavia se v'occorresse aver di me bisogno in altra occasione, io mi chiamo don Giovanni da Gamboa.

—Particolar favore m'avete fatto —rispose l'altro—; però non posso dirvi chi sia quello che in questo rincontro v'avete obligato ma avrò cura, e mi sarà di gusto, che un altro vel dica.

Gli aveva don Giovanni già domandato s'egli fosse ferito; ed aveva risposto che l'aiuto di Dio ed un saldo petto a botta l'avevano preservato ed il di lui soccorso, che tanto al bisogno gli venne allato.

In quel ragionamento viddero venir molta gente; dissegli don Giovanni:

—Se quelli sono vostri nemici che tornano contro di voi, state in cervello e mostratevi sempre per quel che siete.

—Anzi credo che sien amici —rispose egli.

E così era il vero, però che quelli, ch'erano otto, furono da lui conosciuti ed accostatisi gli dissero all'orecchia poche parole, però sì pianamente che don Giovanni non potette udirle. Poi da lui tornò il diffeso e dissegli:

—Se questi miei amici non fossero venuti, signor don Giovanni, io vi averei pregato di favorirvi ancora, nel ritornarmi a salvamento a casa mia; ma adesso vi prego che ve n'andiate e me lasciate, perché m'importa.

Dicendo questo, posesi la man alla testa e la trovò senza capello, per che, voltatosi a quelli ch'eran venuti, domandò che gliene dessin uno, che 'l suo gli era caduto nella baruffa. Appena l'ebbe domandato che don Giovanni gli mise in capo quello ch'ei aveva trovato. Colui, tastatolo con mano, disse:

—Questo capello non è mio —e glielo rese—; io vi prego, signor don Giovanni, che vel portiate a casa per trofeo di questa pugna e lo guardiate, perch'io credo che sia conosciuto.

Gliene diedero un altro; e don Giovanni per compiacerlo, doppo alcuni brevi complimenti, lasciollo quivi, senza sapere chi egli era, e ritornossene a casa, per altra strada che quella della porta ove gli avevano data la creatura, perciò che gli pareva che tutti di quella contrada fossero svegliati ed in romore a causa di quella questione. Succedetegli poi ch'arrivando a casa sua ei s'incontrò a mezza strada in don Antonio suo camerata, il quale conosciutolo gli disse:

—Venite meco, signor don Giovanni, sin qui appresso e nel camino contarovi un caso che a me è occorso, così strano ch'io non penso ch'in vita vostra il simil abbiate sentito.

—Et io un altro vi potrò raccontare —disse don Giovanni—; andiamo pur ove a voi piace e raccontatemi il vostro.

Or caminando don Antonio prese a dire:

—Voi dovete sapere che doppo un'ora, o poco più, che sete uscito di casa, me ne sono partito ad andar a cercarvi; ed a quasi trenta passi di qui ho veduto venire alla volta mia come un busto nero di persona che caminava presto; ed avvicinandosi a me conobbi alle falde lunghe essere una donna, la qual con voce flebile e tronca da sospiri m'ha domandato: "Di grazia ditemi, signore, sete voi forastiere, overo di questa città?" "Sono spagnuolo" risposi io; ed ella seguitò: "Lodato sia Dio che m'ha fatto venire in così buone mani per il mio rimedio". "Sete ferita, signora —replicai io—, o vi sentite qualche dolor mortale?" "Potrebbe diventarlo quello che sento —soggionse lei—, se presto non vi si porga rimedio.

Però vi supplico, signore, per quella cortesia che d'ordinario si ritrova ne' gentiluomini della nazion vostra, che mi caviate di questa strada e, con la diligenza possibile, mi conduciate a casa vostra ed ivi, benché a costo del mio onore, se saper il vorrete, vi dirò il mio nome, qual io sia e che mal io senta". Udito ch'ebbi quello e parendomi ch'essa avesse grandissimo bisogno di ciò che domandava, presila per la mano e, senza dirle nulla, la condussi a casa nostra. Santi Stevan(2) il paggio m'aprì la porta ma feci ritirarlo, acciò non la vedesse; poi l'ho menata in camera mia; e subito entrata s'è gittata sul letto tramortita. Me le son accostato e, scuoprendole il viso, ho veduto bellezza tale ch'io per me non penso che occhi mortali abbiano mai veduta la simile. A me pare ch'ella sia di diciotto anni incirca. Invero m'è venuta gran meraviglia in veder cosa così bella; e spruzzandole io dell'acqua sulla faccia è ritornata in sé ed hammi domandato s'io la conosceva; le risposi di no e che a me sarebbe troppa ventura, come indegno, di conoscer tanta bellezza. "Infelice è colei —rispose ella— a cui, perché ancora sia più infelice, il cielo l'abbia data; ma, signore, or non è tempo da stare su le lodi delle bellezze, ma bensì da rimediare a disgrazie. Vi priego per quello che sete che mi lasciate sola e serrata qui dentro e non vogliate permettere che alcun mi vegga; e tornate a vedere in quella medesima strada, ove voi m'avete trovata, se qualcun vi faccia rumore. E se si danno non ve ne impacciate, con favorire o questo o quello, ma, se potrete, metteteli in pace, perché il danno che potesse seguire all'una o l'altra delle parti verebbe tutto ad accrescer il mio".

L'ho lasciata serrata e me ne vado a rapacificar coloro.

—Vi resta più niente da dire, signore don Antonio? —disse don Giovanni.

—E non vi pare —soggionse don Antonio— ch'io abbia detto assai, in aver detto che tengo in camera mia, e sotto la mia chiave, la più isquisita bellezza di questo mondo?

—È senza dubbio un caso raro —replicò don Giovanni—; ma sentite il mio.

Ei seguitò a raccontargli ciò che gli era succeduto e maggiormente come la creatura, che gli aveano data, egli l'aveva consegnata alla serva di casa ed ordinatole che mutasse le ricche fascie e preziosi panni in che era involta, dandogliene altri più poveri, poi la portasse a qualche balia che la nodrisse o per lo manco rimediasse alla presente sua necessità. Di più gli disse che la contesa ch'egli voleva andar ad acquetare di già era sopita; e s'era ritrovato in quella e, per quanto poteva comprendere, giudicava che quelli fra i quali ella vertiva, e che a coltellate la decidevano, fossero uomini di qualità e di molto valore. Ebbero amendui per assai da meravigliarsi del successo l'uno dell'altro e tornaronsene insieme a casa a vedere se la rinchiusa avesse bisogno di qualche cosa. Nell'andar disse don Antonio a don Giovanni ch'egli aveva promesso che da nessuno non la lascierebbe vedere né entrarebbe se non lui solo in quella camera, sin che altrimenti ella non ordinasse.

—Per ciò non avrà da mancare qualch'invenzione —rispose don Giovanni— che possa farmela vedere, poiché voi, signor don Antonio, me n'avete acceso il desiderio con dirmi ch'ella sia di sì rara bellezza.

Con questo ragionare arrivaron a casa ed al lume d'uno doppiere, che un paggio delli tre ch'essi avevano portava, alzando gli occhi don Antonio al capello di don Giovanni, viddelo luccicare di diamanti e, pigliandoselo in mano, vidde ancora meglio che dal cordone, che n'era tutto grandinato, spiccava quello scintillare. Miraronlo e rimirarono ed ebbero a giudicare che, se tutti quelli diamanti erano fini, come pareva che fossero, valevan più di dodecimila ducati. Quindi s'accertarono meglio che quei della baruffa dovessero esser persone di qualità, e specialmente quello che don Giovanni soccorso avea, a cui egli si ricordava aver sentito dire ch'ei pigliasse il capello e lo guardasse, perché era conosciuto. Comandò don Antonio alli tre paggi di ritirarsi, poi aprì la sua camera e trovò quella gentildonna che stava a seder sul letto, appoggiata la guancia sopra la mano e con le lagrime agli occhi. Tirato don Giovanni dal desiderio ch'egli aveva di vederla s'affacciò alla porta, quanto tra quella e la muraglia vi puoté metter il capo dentro. In quello che 'l brillare dei diamanti diede negli occhi della piangente, ella gli disse:

—Entrate, signor duca, entrate, perché con tanta scarsità mi volete participare il bene di vedervi?

Rispose allora don Antonio:

—Ivi, signora, non è nessun duca che per non veder voi si scansi.

—Come non è? —replicò ella— Ben mi par d'aver visto che colui che a quella porta s'è affacciato sia il duca ... e poi assai lo fa scuoprire la ricchezza del suo capello.

—Affé, signora —rispose don Antonio—, che nessun duca porta il capello che voi avete visto; e se vi piace di veder questa verità, e colui che lo porta, date licenza che qui egli entri.

—Entri pur in buonora —diss'ella—, benché se non fosse il duca le mie disgrazie sarebbono maggiori.

Tutte queste parole da don Giovanni furon udite e, con quella licenza ch'ella gli aveva data e col capello in mano, egli entrò nella camera. Ma quando che davanti se le appresentò e connobbe colui non esser quello ch'essa s'era pensato, con voce conturbata prese a dire:

—Ah meschina me! Deh, ditemi, signore, senza più tenermi sospesa, conoscete voi quello di cui è quel capello? Per avventura è egli vivo? Dove l'avete voi lasciato? E come v'è venuto in mano il suo capello? Overo, è quella la nuova ch'egli mi manda della sua morte? Ah bene mio! Che sucessi son questi? Qui veggo i tuoi pegni, qui senza te mi ritrovo rinchiusa ed in poter di gente che non conosco, i quali s'io non sapessi che sono gentiluomini, la tema di vedere tormi l'onore già m'averebbe fatto perder la vita.

—Acquetatevi, signora —disse don Giovanni—, che né 'l padrone di questo capello è morto, né sete arrivata in luogo dove dispiacere alcuno vi venga fatto; anzi vi serviremo sin a spender le proprie vite per ripararvi, perché saria fuor di ragione che fosse vana la speranza che voi avete nella bontà degli spagnuoli, quali noi siamo, e gentiluomini. Però, siate sicura che vi sarà portato ogni rispetto, con quel decoro che merita la vostra presenza.

—Così lo credo —rispose lei—; ma ditemi, signore, in che modo questo capello avete avuto? E dove si ritrova ora il suo padrone?

Allora don Giovanni, per non tenerla più perplessa, le raccontò com'egli l'aveva trovato in una mischia ed aiutato in quella un cavaliere, il quale, come ella diceva, doveva essere il duca di ... al quale nel menar le mani esso capello era caduto in terra, ed egli alzatolo, credendo fosse il suo che similmente ei aveva perduto, gli disse il cavaliere che lo guardasse, perch'era conosciuto, che quel combattimento s'era finito senza che vi restasse alcuno di ferito, almanco dalla parte loro, e che subito poi vi era arrivata gente che, come gli pareva, eran amici o servidori di quello ch'egli si credeva esser il duca, il quale l'aveva pregato che ivi con coloro lo volesse lasciare, dopo l'avermi ringraziato molto e con parole efficaci significato che io l'aveva pur assai obligato con il favore di quel soccorso.

—Ecco, signora, che questo capello è venuto nelle mie mani in quel modo che vi ho detto; e se il duca è il suo padrone, come voi dite, non fa ancor un'ora che l'ho lasciato sano e salvo. Et a voi questa verità serva di consolazione, se lo star bene il duca ve la possa recare.

—Acciò che sappiate, signore —disse l'afflitta gentildonna—, s'io abbia ragione di domandarvi nuova di lui, state attento ad ascoltar l'istoria della mia disgrazia.

Mentre stettero in questo ragionamento, la serva ebbe unto con mele il palato al fanciullino, mutatogli i ricchi panni in poveri; e portandolo a nutrire ad una balia, sì come don Giovanni aveva ordinato, nel passarlo innanzi la porta della camera ove stava colei che cominciar voleva a raccontare la sua istoria, egli si mise a piangere, di modo che la gentildonna lo potette sentire e fattasi in piedi stette ad ascoltare ed udì più distintamente il pianto della creatura,

poi dimandò di chi ella fosse così novellamente nata, come pareva.

—È un bambino —disse don Giovanni— che questa notte ne hanno posto alla porta di casa e la serva va a cercare una nutrice che gli dia il latte.

—Di grazia, signori, fate che mel portino qua —disse la gentildonna—, ch'io farò quella carità agli altrui figliuoli, poiché non vuol il cielo che a' miei propri io la faccia.

Don Giovanni chiamò la serva e pigliato il fanciullino poselo in braccio a colei che lo domandava, dicendo:

—Ecco, signora, il presente che questa notte ci hanno fatto; e non è questo il primo, perciò che pochi mesi passano senza che noi ne troviamo di così fatti sulla nostra porta.

Ella se lo reccò in bracio e stava mirandolo attentamente così in viso, come ne' poveri panni in che era involto; ed allora, non potendo ritenere le lagrime, si cuoprì il petto col velo ch'essa portava in capo, acciò di dare con più onestà da poppar al bambino; e congiongendoselo faccia con faccia se l'applicava per dargli il latte e quella gli bagnava con lagrime; et non alzò neanche gli occhi, mentre il puttino stette attaccato alla poppa. In quello spazio di tempo che stavano i quattro con gran silenzio, s'affaticava il fanciullo per succhiare il latte; ma non poteva cavarne goccie, però che quelle che poco fa han partorito non possono lattare. Di che accortasi la gentildonna, quello rese a don Giovanni dicendo:

—Indarno ho voluto mostrarmi caritatevole ma ben si vede che in questo non sono pratica. Comandate, signore, che con un poco di mele s'unga il palato a questo puttino e non vogliamo permettere che adesso, ch'è ora indebita, lo portino per le strade. Lasciate, vi prego, venir il giorno e prima(3) ch'egli sia portato via fate che me lo rechino un'altra volta, perché 'l vederlo m'è di gran consolazione.

Rimise don Giovanni il fanciullino in mano della serva ed ordinolle lo trattenesse insin al giorno e gli rimettese le ricche fascie ed i preziosi panni che gli aveva levati, e nol portasse via senz'avvisarnelo. Poi rientrando nella camera e standovi loro tre soli, disse la bella donna:

—Se voi volete ch'io parli con voi, datemi primieramente qualche cosa da mangiare, perciò che vengo meno e non ho poco soggetto.

Andò subito don Antonio ad uno scrigno e cavonne molti confetti, de' quali ella mangiò alcuni pochi e dietro a quelli bevé un bicchier d'acqua fresca, con che tornò in sé e disse:

—State a sedere, signori, ed attenti ad ascoltarmi.

Sedettero ed ella sopra il letto, raccoltesi attorno le falde della vesta, lasciò andare giù per le spalle il velo onde si cuopriva il capo; talché mostrando la faccia alla scoperta, mostravala quasi quella del sole, quando più chiaro e lucido risplende. De' begli occhi suoi le lagrime, come liquide perle, bagnavanle le delicate guancie e quelle asciugava con un candido fazzoletto ed una mano tale che tra questo e quello non so chi avesse potuto far differenza di candidezza. Infine, dopo che ebbe esalati molti sospiri per racchettar un poco il cuor afflitto, con voce querula e debole prese a dire:

—Io, signori, sono quella di chi senz'altro averete sentito parlare, perché della mia bellezza, qual ella si sia, vi sono poche lingue che non ne abbiano publicata la fama. In effetto sono Cornelia ... sorella di ... e forse che in queste poche parole averò dette due verità, l'una della nobiltà mia, l'altra della mia bellezza. Da fanciulla rimasi orfana sotto della tutela del mio fratello, il quale mi lasciò in guardia all'istessa onestà, perch'egli più si confidava dell'onorata mia condizione che della cura ch'avesse in guardarmi. Finalmente tra le pareti e la solitudine, accompagnata solamente delle mie serve, crebbero gli anni miei ed insieme con essi la fama della mia beltà e leggiadria, sparsa qua e là tanto da' servitori che servivan in casa, quanto da un ritratto che 'l mio fratello ne fece fare di mano d'un raro pittore, acciò che, com'egli diceva, il mondo non restasse affatto di me privo, dopo che 'l cielo a miglior vita m'averia chiamata. Tuttavia non sarebbe stato questo bastante assai per la mia perdizione, se non s'avesse incontrato venir il duca di ... ad essere compare alle nozze d'una mia cugina, ove mi menò il fratello mio con sana intenzione, per onorare quella mia parente. Quivi mirai e fui mirata; quivi, per quanto credo, cattivai gli animi, sottoposi a me le volontadi, quivi sentii il gusto che recavan le lodi, quantunque date da lingue adulatrici, e quivi finalmente viddi il duca ed egli vidde me, dalla cui vista è proceduto il termine in che or mi trovo. Non voglio dirvi, signori, perché sarebbe una troppo lunga diceria, i mezi e le invenzioni con le quali il duca ed io in capo di due anni demmo ai nostri disegni, principiati in quelle nozze, desiderato fine. Perché né guardie, né strettezze, né onorate ammonizioni od altra diligenza umana non puotero far sì che non venissimo a trovarci insieme, avendomi a ciò tirata la parola, ch'egli data m'aveva, di doversi far mio sposo, perché senza di quella non sarebbe stato a lui possibile di conseguire il suo intento. Per mille volte io gli dissi che apertamente al mio fratello mi domandasse, poich'era cosa certa ch'ei non sarebbe rifiutato e non avria da dar conto al volgo, se gli addossasse colpa d'errore a causa d'inequalità tra sposo e sposa, perché la nobiltà della casata di ... niente era da manco di quella di ... A questo egli mi rispose con iscuse che ebbi per buone e legitime. A tal che, la ragione più non potendo fare scude contra l'amore e la confidanza, credetti com'innamorata e come vinta a sua volontà m'arresi, a persuasione d'una mia serva, più arrendevole alli donativi del duca ed alle sue promesse che fedele al mio fratello che avea posto in lei, per conto mio, ogni fiducia. Infatti poi indi a pochi giorni mi sentii essere ingravidata e prima che le mie vesti manifestassero le libertadi con ch'io m'era allargata, per non dar loro altro nome, finsi d'essere ammalata e feci che 'l mio fratello mi trasportasse a casa di mia cugina, a cui il duca era stato compare. Quindi gli diedi avviso, come di già io l'aveva detto alla mia serva, del termine in che mi ritrovavo e del pericolo che pareva mi minacciasse, perché m'era venuto nell'animo che 'l mio fratello avesse avuto qualche sospetto della mia scappata. Tra lui e lei fu concertato che quand'io fossi entrata nel maggior mese del partorire gliene avvisassi, ch'egli con una mano d'amici e servidori per me verrebbe e menandomi via mi condurrebbe a casa sua, ove publicamente mi torria in moglie. Questa notte è quella medesima ch'egli aveva assegnata per la sua venuta e, come io stava aspettandolo, ho sentito passare il mio fratello con molti altri e mi parve sentir il rumore delle lor armature, laonde m'è venuta tanta paura che all'istante ho partorito un figlio.

Quella mia serva mezzana delle cose mie, la quale s'era già posta all'ordine per quell'effetto, aveva fasciato ed involto il fanciullino in altre fascie ed altri panni che quelli ch'ha attorno quello che m'avete mostrato; ed alla porta della strada lo diede, come ella dice, ad un servitore del duca. Indi a poco, vestitami al meglio che potetti, secondo la presente necessità, me ne uscii di casa, credendo che il duca fosse arrivato sulla strada, il che far io non doveva, insin che non sapessi esser lui arrivato giù alla porta; ma la paura che l'armata quadriglia di mio fratello m'aveva messa, credendo io che già la sua spada mi scendesse sul collo, non mi lasciò pensar ad altro, se non che tutta sbigottita e quasi pazza mi posi per la strada, ove m'è succeduto quello ch'avete visto. Et ancorché io mi vegga senza figliuolo e senza sposo, e con timore di peggiore incontro, ringrazio il cielo che nelle vostre mani m'ha fatto capitare e venir in vostro(4) potere, dal quale spero quanto sperar si possa dalla cortesia spagnuola e particolarmente da quella che scorgo in voi, per la nobil presenza che mostrerano le persone vostre.

Questo dicendo la si lasciò cader affatto sopra del letto ed accostandosi i due gentiluomini per veder s'ella(5) era venuta meno, viddero che piangeva amaramente e don Giovanni le disse:

—Se insin a quest'ora don Antonio mio compagno ed io abbiam avuto compassione del fatto vostro, maggiormente perché veggiamo che sete donna, ed adesso che sappiamo la vostra qualità, quella compassione è passata in obligo di servirvi. Fate animo, signora, e non vi sbigottite ed ancorché non siate avezza a così fatti accidenti tanto più mostrerete esser quella che sete, quanto più pazientemente e con costanza starete salda in sopportarli.

Credete a me, ch'io m'imagino che questi vostri tanto strani successi hanno da conseguire un lieto e felice fine, perché il cielo permetter non vorrà che una tanta bellezza, illustrata da tanti onorati pensieri, diventi preda delle disgrazie. Mettetevi in letto, signora, e vogliate aver cura della vostra persona che di ristoramento ha di bisogno; e siate sicura che non siamo per mancarvi. Qui entrarà per attendere a servirvi la nostra serva, dalla qual, come di noi stessi, potete confidarvi e che non manco saprà tener segreti li casi vostri ch'essere puntualmente alle vostre necessitadi.

—Tali son quelle nelle quali or mi ritrovo —rispose la bella donna—, ch'elle m'obligano a cose più difficili; entri, signori, quella che voi volete, perché datami di man vostra non può esser altro che buona; ma pregovi che altra persona che lei non sia che mi vegga.

—Così sarà —rispose don Antonio.

E lasciandola sola don Giovanni disse alla serva ch'ella entrasse in camera di quella gentildonna e le portasse il puttino, involto nei ricchi panni ch'egli aveva quando che lo portò a casa. Colei dunque entrò ed era avvertita di ciò che risponder dovrebbe ad essa gentildonna circa quel che del fanciullino vorria domandarle. Veggendola Cornelia, —venite qua —le disse—, venite in buonora e datemi, vi prego, quel bambino ed accostate a me quel lume.

Tanto fece la serva e, prendendo Cornelia in braccio il bambino, miratolo fissamente, tutta turbata disse alla serva:

—Ditemi, cara amica, è questo il medesimo puttino che poco fa è stato a me mostrato?

—Signora sì —rispose la serva.

—Come dunque gli avete mutati i drappi? —replicò Cornelia— Invero che a me pare o che questi non sono i primi panni o che questo non sia il medesimo fanciullo.

—Potrebbe essere —rispose la serva.

—Giesù! E che dite che potrebbe essere? —soggionse Cornelia— Come puol esser questo? Ditemelo, cara sorella, che mi si scoppia il cuore, sin ch'io sappia di questo scambio. Ditemi, vi prego, di dove ed in che modo abbiate avuti questi ricchi panni, perch'io vi so dire che sono miei, se la vista e la memoria mi vagliono.

Don Giovanni e don Antonio, ch'avevano sentite queste parole, non vollero permettere che andassero più innanzi né che lo scambio ch'essi avevan fatto delle fascie e delli panni più lungamente la tenesse sospessa. Per il che le disse don Giovani:

—Questi panni, signora, e questo puttino son vostri.

E(6) di punto in punto le raccontò com'egli era quello a cui la sua cameriera l'aveva dato, come l'aveva portato a casa e perché fattogli mutare i panni, benché dopo ch'ella gli ebbe racconto il suo parto egli aveva conosciuto che quello era il suo figliuolo; e se non gliel'aveva detto più tosto era stato perché le fosse maggiore l'allegrezza in conoscerlo, dietro alla sospensione di non averlo conosciuto.

Ivi furono infinite le lagrime di Cornelia(7), infiniti i ringraziamenti ai suoi protettori, chiamandoli umani angeli della sua guardia, con altri titoli che davan ad intendere l'obligo grande ch'essa aveva per tanto beneficio da loro riceuto. Lasciaronla, e con lei la serva, comandandole che ne avesse cura. Eglino poi andarono a riposarsi quel che avanzava della notte, con intenzione di non entrare da Cornelia senza che gli chiamasse o per qualche urgente bisogno.

Fecesi giorno e la serva segretamente condusse una balia, la qual a finestre serrate ed allo scuro diede il latte al fanciullino. Domandaronle come stava la madre ed intendendo eglino che riposava se n'andarono allo studio, passando per la strada ove la notte innanzi era seguita la baruffa e davanti alla casa di Cornelia, per intendere che cosa se ne diceva, e dell'assenza di lei, ma nulla intesero.

Ritornati a casa,

mandò Cornelia la serva a chiamarli; essi risposero ch'avevano pensato di non tornar a mettere il piede in camera sua, per guardarle con più decoro l'onor dovuto.

Ma ella replicò con prieghi e lagrime che volessero ritornare a visitarla, che quel sarebbe il più conveniente decoro, se non per il suo rimedio, almeno per consolazione(8) ne' suoi travagli. Vi vennero ed ella con faccia allegra e molta cortesia gli ricevette e pregò di voler dar di volta per la città a veder se sentissero alcuna cosa del caso suo; ma le risposero che quella diligenza già avevano fatta con ogni puntualità, però niente s'era sentito.

In quel mentre ecco venire uno dei lor paggi, il quale chiamando al di fuora dell'uscio della camera disse:

—Da basso alla porta è uno cavaliere, il quale dice ch'egli si chiama ... e domanda il signor don Giovanni di Gamboa mio padrone.

A questo dire Cornelia tutta tremante, stringendo i due pugni e mettendoseli alla bocca, con voce bassa e timorosa disse:

—Mio fratello, signori, è mio fratello. Senz'altro egli ha saputo ch'io qui stia ed ora viene ad ammazzarmi. Soccorretemi, signori, soccorretemi per amor di Dio.

—Non vi turbate, signora, non dubitate —le disse don Antonio—, che sete in luogo ed in mano di chi non comporterà che vi sia fatto il minimo aggravio del mondo. Andate, signor don Giovanni —disse egli—, a vedere che cosa voglia quel gentiluomo ed io me ne starò qui a diffender, se occorresse, questa signora.

Don Giovanni, senza turbarsi niente, calò giù alla porta e don Antonio subitamente fece recarsi due pistole allestite e comandò ai suoi servidori che pigliassero le loro spade e stessero all'ordine. Veggendo la serva quelli preparamenti stava tremando ed anco più Cornelia. Ma don Antonio e don Giovanni erano risoluti e stavano saldi in quello che dovevano fare. Sulla porta della strada trovò don Giovanni il gentiluomo ch'era venuto a domandarlo, il quale veggendo don Giovanni gli disse:

—Prego vostra signoria mi favorisca di venir meco insin a quella chiesa qui dirimpetto, perché desidero comunicarle un negozio nel quale mi va della vita e dell'onore.

—Quest'io farò volentieri —rispose don Giovanni—, andiam, signore, dove vi piace.

Così andarono a quella chiesa e, postisi a sedere su uno scanno ed in parte ove da nessuno potevano esser sentiti, il gentiluomo così prese a dire:

—Io, signore, sono ... se non dei più ricchi, dei più nobili di questa terra; parla per me la verità senza che io abbia da lodare me stesso. Alcuni anni sono che restai orfano, con sotto 'l mio governo una sorella, la quale, se a me non toccasse così dappresso, loderei tanto che(9) forse mancherebbon le lodi, perché non potrei trovar assai che fossero corrispondenti alla sua bellezza. Il mio onore e l'essere lei giovinetta e bella mi obligavano a guardare il suo con molta cura; ma tutte quelle diligenze ch'io vi seppi adoperare non potero tanto giovare ch'ella non l'abbia defraudate con pensiero contrario al mio e sregolate voglie.

Infine, per farla corta e non recarvi tedio con troppa lunga storia, dico che 'l duca di ... con occhi di lince vinse quelli di Argo e trionfò della mia industria vincendo la mia sorella, la quale, questa notte, egli si ha menata via di casa d'una nostra parente e mi vien detto che essa abbia partorito. Subito ch'io l'ho saputo sono uscito e, questa medesima notte cercando di lui da per tutto, credo di averlo trovato, perché l'ho assaltato e con lui fatto a coltellate; ma qualche angelo l'ha aiutato e non ha voluto permettere che con il suo sangue io lavassi quella macchia ch'egli ha fatto nel mio onore. La mia cugina, che questo hammi detto, m'ha detto ancora che 'l duca abbia ingannata mia sorella, sotto promessa di pigliarla per moglie. Ma questo non lo credo, rispetto alla disuguaglianza tra l'un e l'altra, in quanto ai beni della fortuna, perché in quelli della nascita il mondo sa la qualità de' ... di Bologna. Quel ch'io me ne penso si è ch'egli si sia attenuto a ciò a che per l'ordinario s'attengono i grandi, che quando voglion ingannare una donzella timida e ritirata le mettono davanti agli occhi quel dolce nome di marito e le danno da credere che per certi rispetti non possono sposarla ancora; e queste sono menzogne che hanno apparenza di veritade e falsitadi che cuoprono una cattiva intenzione.

Ma sia come si voglia, mi ritrovo senza sorella e senza onore e però non ne faccio querela(10) publica, insin ch'io non vegga se con qualche bel modo potrò rimediarci, perché è minor male che si presumino l'infamie che l'essere sapute palesemente e perciò che tra il sì ed il no della presonzione ognuno può piegarsi a quella parte che gli piaccia.

Infine sono risoluto d'ire dal duca a domandargli di propria bocca la sodisfazione al torto ch'ei mi ha fatto, e caso che me la negasse sfidarlo allora non a combattere con isquadroni, perché non ho il modo, ma sì a corpo a corpo. In che avrei bisogno dell'assistenza della vostra persona e che però siate contento d'accompagnarmi in questo viaggio.

Mi prometto che mi favorirete in quest'occasione per essere voi spagnuolo e gentiluomo, come ne sono stato informato. E per non darne avviso ad alcuno de' miei parenti ed amici, da' quali non potrei sperare se non consigli e disuasioni per distormi da questa impresa, e che da voi posso averli che facciano pel mio onore, ancorché perigliosi. Voi, signore, mi concederete dunque questa grazia, come ve ne prego, di venir meco, perché quando io averò allato uno spagnuolo, e tale quale lo mostra la nobile presenza della vostra persona, stimerò d'avere per mia guardia tutti gli eserciti di Serse. Assai vi chieggo ma la fama che si publica della vostra nazione v'obliga(11) a cose molto maggiori di questa che io vi dimando.

—Tanto basti, signore —disse allora don Giovanni, il quale senza interromperlo punto l'era stato ascoltando—, basta, perché insino da quest'ora costituiscomi per vostro diffensore e consigliere; e piglio sopra di me la sodisfazione o la vendetta del torto che v'è stato fatto. E questo, non solamente perché io sia spagnuolo, ma ancora perché son cavaliere e che lo sete voi di quella qualità e portata che avete detto e ch'io so con tutto 'l mondo. Guardate quando vi piacerà che partiamo ed il più presto sarà il meglio, imperò che il ferro, mentre è infocato, bisogna batterlo e l'ardor della colera accresce animo e l'ingiuria recente chiama la vendetta.

Si fece in piedi il gentiluomo ed abbracciando(12) strettamente don Giovanni, —a sì generoso petto, signore —disse egli—, com'è il vostro, non occorre proporli per muoverlo altro interesse che quello dell'onore che vi acquisterete in quest'occasione ed azione, il quale insin d'adesso io vi do, se in quella riusciremo felicemente, e con quello v'offero anche quanto tengo e posso e me insieme. Desidero che partiamo domani ed oggi provederò di ciò che fia di bisogno pel nostro viaggio.

—Così mi pare che starà bene —disse don Giovanni—; fra tanto datemi licenza ch'io possa questo negozio comunicare ad uno gentiluomo mio compagno, del cui valore, e della sua fedeltà, ben potete promettervi quanto che di me stesso.

—Poiché avete, signor don Giovanni, pigliato sopra di voi il mio onore, disponete di quello come vi piace e ditene ciò che vi paia al gentiluomo mentovato, il qual essendo vostro compagno non può essere altro che soggetto di molto conto e valore.

Con questo si abbracciarono e separaronsi l'uno dall'altro, restando stabilito che 'l dì seguente ei manderebbe(13) a chiamar don Giovanni, acciò fuori della città montassin a cavallo e travestiti seguitassero il lor viaggio.

Ritornatosene a casa don Giovanni, raccontò al compagno ed a Cornelia ciò che col gentiluomo trattato aveva ed era risoluto.

—Dio mio buono —disse Cornelia—, che grand'è, signor don Giovanni, la vostra cortesia e confidenza! Come e perché così presto vi sete obligato ad un'impresa tanto ardua e piena d'inconvenienti? E che sapete voi se 'l mio fratello(14) vi condurrà dove si ritrova il duca od altrove? Però in qualsivoglia parte ch'egli vi meni, non dubitate niente, perché potete essere certo e sicuro che con voi vada l'istessa fedeltà, benché in quanto a me insino della propria ombra non m'assicuri e come sventurata negl'atomi del sole io inciampi. E perché dunque non avrei da temere, se nella risposta del duca sta la mia vita o la mia morte? E che so io s'egli risponderà tanto discretamente che la colora non trasporti il mio fratello fuora dei limiti della raggione? E se gli trappassasse, credete che il duca s'averebbe preso a fare contra un debole nemico? E non vi pare che i giorni che tarderete a ritornare io abbia da star tremante e sospesa tra le buone o cattive nuove di quel successo? Amo io sì poco il duca o il mio fratello che le disgrazie che potessero arrivare ad ambedui non mi diano da temere, non mi toccassero nel più vivo dell'animo?

—Discorrete assai e temete assai, signora —disse don Giovanni—; ma fra tanti timori date luogo alla speranza e confidatevi in Dio, nella mia industria e nel mio buon desiderio, che vederete adempiuto il vostro con colmo di felicità.

Il viaggio non si può scusare né io manco d'accompagnarvi vostro fratello. Fin a quest'ora non sappiamo qual sia l'intenzion del duca né s'egli sappia che manchiate di casa. S'ha da sapere questo di propria sua bocca e nessuno meglio di me glielo può domandare. Però, signora, siate sicura che la salute del vostro signore fratello ed insieme quella del duca a me sono cotanto care quanto la pupilla degli occhi miei, e che non conserverò manco quelle che questa.

—Se il cielo vi vorrà dare, signor don Giovanni —gli rispose la gentildonna—, potere per rimediare i miei travagli, com'egli vi ha dato grazia di consolarmi in mezzo a quelli, mi chiamerei felice; e vorrei vedervi partire ed essere già ritornati, benché la vostra assenza m'abbia da recar sentimento.

Approvò don Antonio la risoluzione di don Giovanni e lo lodò per la buona corrispondenza che in lui avea trovata la confidenza del fratel di Cornelia; di più gli disse ch'egli voleva accompagnarlo per ogni buon rispetto.

—Non si può questo —disse don Giovanni—, tanto perché non istarebbe bene che si lasciasse sola la signora Cornelia, quanto perché il suo fratello non si avesse da pensare che per servirlo io volessi del coraggio altrui valermi.

—Il mio è il vostro proprio —replicò don Antonio— e così, però incognito e da lontano, desidero di seguitarvi, ed alla signora Cornelia questo non le parrà fuor di proposito né quella rimarrà sì sola che non abbia sempre appresso gente che la sappia servire, guardare ed accompagnare.

A questo ella disse:

—Sarà per me, signori, non poca consolazione, s'io saprò ch'andiate insieme o per lo manco in modo che possiate aiutarvi l'un l'altro, se accadesse. E perché a me pare che vi poniate ad un'impresa arrischiata ed a luogo pericoloso, ecco, vi prego, tenetevi queste reliquie sante.

Ed in dicendo questo la si cavò dal seno una croce di diamanti d'inestimabil valuta ed uno agnus d'oro non manco ricco. Mirarono attentamente i due gioielli e gl'apprezzaron via più di quel ch'avesser apprezzato il bel cordone del capello, poi glieli resero, però che a patto nessuno non vollero tenersegli, dicendo che porterebbono con loro altre reliquie, se non tant'adornate e ricche, almeno nel suo essere non manco buone. Dispiacque a Cornelia che non l'avessin accettate, però s'attenne al volere di quelli. La serva con gran cura stava attenta a servirla e, sapendo la partenza de' suoi padroni, che gliel'avevan avvisata, senza però dirle ove andassero né a che, si prese l'assonto di guardarla, benché né il suo nome ancor sapeva, con quella cura che al ritorno d'essi non vi sarebbe cosa da dire.

L'altro giorno molto per tempo, ritrovossi il gentiluomo bolognese presso alla porta della città e don Giovanni, postosi all'ordine, con il capello del cordone di diamanti ch'egli cuoprì d'un pennacchio nero e giallo e con un velo bruno, licenziossi da Cornelia, la qual, sapendo così vicino aversi il fratello, stava con sì fatta paura ch'ella non puoté sciorre una sola parola, per dir adio ai due gentiluomini nel partirsi da lei. Uscì il primo don Giovanni con il fratello di Cornelia ed in un orto fuor della terra e della strada trovarono due servidori con due buoni cavalli che gli stavano aspettando. Con quelli caminarono e per sentieri appartati tirarono verso la parte dove pensavano trovar il duca. Don Antonio sopra un buon cortaldo con abito mentito andava seguitandoli alla lontana ma perché gli pareva ch'eglino si schifassero da lui, maggiormente il bolognese, prese a seguire per il più diritto camino, assicurandosi che ivi dovesse trovarli.

Appena erano fuora della città che Cornelia si mise a raccontare alla donna che la serviva tutti i suoi successi e come quel puttino era di lei e del duca di ... con tutte quelle circostanze che sino a qui abbiamo racconte; e le disse ancora del viaggio dei padroni, nel qual accompagnavano il suo fratello a sfidare il duca. Il che udendo quella serva, come se il demonio l'avesse inspirata per intricare ed impedire o differire il rimedio sperato dall'afflitta Cornelia, con esclamazione prese a dire:

—Ah, signora! E tutte quelle cose vi son occorse e trascurata, o come s'usa dire a gambe distese, voi ve ne state qui? O non avete anima o, se l'avete, è tanto mentecatta che non ha sentimento. Credete voi che il vostro fratello a cercare il duca vada? Non lo crediate, anzi pensate che ha voluto che i miei padroni si levassin via di qui e si allontanassero da questa casa per ritornarvi lui ed essi assenti ammazzarvi; e questo potrà fare sì facilmente come bere un bicchier d'acqua. Considerate, per vita vostra, sotto che buona guardia siamo restate, con quella di tre paggi, i quali, senza impacciarsi in quegl'intrichi di guardar donne, hanno assai che fare in grattarsi la rogna onde son pieni.

In quanto a me, ben vi so dire ch'io non voglio aspettare la rovina che già minaccia questa casa. Italiano vostro fratello, ch'egli si fidi di spagnuoli e mendichi il lor favore ed aiuto? Ch'io sia sbalzata, se mai il crederò. Ma se voi, signora, volete appigliarvi al mio consiglio, vel darò tale che egli vi servirà di stella per trarvi fuora di questo mar confuso e condurvi sicura a salvamento.

Attonita e come fuor di sé si ritrovava la povera Cornelia, udendo le ragioni di quella donna, che le diceva con tant'istanza e dimostrazione di timore che pareva all'ascoltante che tutto fosse vero quello ch'essa aveva detto e che poteva essere che don Giovanni e don Antonio allora fossero morti ed il suo fratello entrasse in casa a darle delle pugnalate. Per il che Cornelia le disse:

—Che consiglio, amica cara, mi sapreste voi(15) dare che fosse buono e che potesse prevenire e scansare il soprastante pericolo?

—Vel darò tale, come già vi ho detto, che un migliore non si potrebbe dare. Io, signora, ho servito un piovano d'una villa non molto lontano di qui, il qual è veramente una persona santa e buona e che per me farà quanto vorrò, perché mi tiene obligo di più che da padrone. Andiancene da lui, ch'io troverò bene chi presto ne porterà là; e quella che dà il latte al vostro fanciullino è una povera donna che non ricuserà venir con noi, se ben andassimo in capo al mondo. E, caso che siate trovata, starà meglio che sia nella casa d'un prete vecchio ed onorato che in quella ed in potere di due scolari giovani e spagnuoli, perché sì fatto genere di uomini, e questo il so benissimo, non lasciano scapparsi dalle mani un minima occasione ch'abbia qualch'apparenza di far per loro.

Ora che state male, vi hanno avuto rispetto; ma, se risanerete in casa loro, quel che sarà solo Iddio potrà rimediarlo. Perché invero se i miei disdegni, le mie ripulse e la mia integrità non m'avessero conservata, già la persona e l'onore m'averiano rovinato. Però che non è tutto oro quello che in loro riluce. Dicono una cosa e pensano un'altra. Ma non hanno ben incontrato in me che sono scaltra com'una putta scodata e so dove la scarpa mi preme; e sopra tutto son nata di buon parentado, perch'io sono dei Crivelli di Milano e tengo il punto del mio onore dieci migli di là dalle nubi.

E da questo, signora mia, si può comprendere le calamità ch'ho patite, poiché, essendo io quella che sono, ho bisognato ridurmi a servir di massara a spagnuoli, benché io non abbia da lamentarmi de' miei padroni, perché eglino sono buoni, purché non siano sdegnati. Et in questo paiono esser biscaglini, come dicono che lo sono. Ma chi sa che non siano galiziani, ch'è altra nazione di Spagna ch'ha fama d'essere d'altro umore che la biscaglina.

Insomma, tante e tal ragioni disse a Cornelia ch'ella piegò a seguire il suo(16) parere. E così in manco di quattro ore, disponendo la serva e consentendo la gentildonna, si viddero insieme la balia del puttino dentro una carrozza; e senza essere vedute né sentite dai paggi si posero in viaggio per gire alla villa del piovano. E questo seguì non solamente a persuasione della serva ma anco con i suoi denari, perché vi era poco tempo che i padroni suoi il suo salario d'un anno intiero le avevan pagato, per il che non fu di bisogno valersi d'un gioiello che le voleva dar Cornelia per impegnarlo. E perché avessero udito dire a don Giovanni che lui né il di lei fratello non seguirebbono il camino a drittura ma pigliariano per sentieri appartati, elle vollero seguitare per lo diritto e caminar pian piano per non incontrarsi in quelli, e così s'eran accordate con il cocchiere. Lasciamole andare e diciamo di quello che succedette a don Giovanni ed al fratello di Cornelia, i quali, avendo saputo pel camino che il duca non a casa sua ma a Bologna si ritrovava, lasciaron i sentieri e quelle giravolte per seguitare per la strada maestra, considerando che potrebbon su quella incontrarsi nel duca, quando che da Bologna se ne tornasse. Poco dapoi guardando verso quella parte, viddero una compagnia di gente a cavallo, per il che don Giovanni disse al gentiluomo bolognese ch'egli si scansasse dal camino, perché, se 'l duca venisse con quei cavalieri, egli voleva con lui parlare in quel luogo, innanzi ch'esso si serrasse dentro del suo castello, indi poco lontano. Così fece il bolognese, approvando il buon consiglio, e don Giovanni levò via il velo del capello onde aveva coperto il ricco scintillo.

In questo mentre, ecco appressarsi la frotta de' sopradetti cavalieri e fra di essi una donna sopra un cavallo pezzato, vestita da campagna e sulla faccia un velo. Fermossi don Giovanni in mezzo del camino aspettando che quella compagnia se gli accostasse; et in quell'appressarsi la sua vita, il garbo, il buon cavallo, la vaghezza del suo vestito ed il brillare dei diamanti attrassero gli occhi di tutti quelli caminanti, specialmente del duca, ch'era il capo d'essi, il quale, subito che gli vidde quel cordone, si ricordò che colui che lo portava dovesse essere don Giovanni da Gamboa, quello che l'aveva soccorso nella baruffa. Laonde verso di lui spinse il cavallo, dicendogli:

—Non credo prendermi errore, signor cavaliere, s'io vi chiamerò don Giovanni di Gamboa, perché la vostra gagliarda presenza e l'ornamento di quel capello mi dicono che sete desso.

—Egli è vero —rispose don Giovanni—; mai seppi né volsi negare il mio nome. Ma siate servito, signore, dirmi il vostro, acciò io non faccia qualche errore di scortesia.

—Quello voi non potreste fare per conto mio —rispose il duca— né per altro che sia; con tutto ciò, signor don Giovanni, sono il duca di ... che si ricorda essere obligato a servirvi mentr'egli abbia vita, poiché non fa ancora quattro giorni che voi gliela donaste.

Appena questo ebbe detto che don Giovanni con molta leggerezza saltò giù dal cavallo e venne a baciare la man al duca, il quale già era fuor di sella e finì di smontare tra le braccia di don Giovanni. Il gentiluomo bolognese, che da lontano stava mirando quelle cerimonie ed imaginandosi ch'esse fossero di colera e non di cortesia, verso là spinse il suo cavallo; ma lo ritenne in mezzo al corso, perché vidde il duca, ch'egli aveva di già riconosciuto, con don Giovanni strettamente abbracciato. Il duca, per di sopra le spalle di don Giovanni mirandolo, ancora lui conobbe, per lo quale conoscimento commossesi alquanto. E stando così abbracciato con don Giovanni gli domandò se quel cavalier bolognese che quivi era veniva o no in sua compagnia. Et allora don Giovanni:

—Appartianci un poco —diss'egli— e dirò a vostr'eccelenza cose stupende.

Appartossi il duca e don Giovanni così gli disse:

—Quel gentiluomo bolognese che vedete là non poco si lamenta di voi: egli dice che sono quattro notti che vi menasti via la signora Cornelia sua sorella di casa d'una sua cugina, che l'avete ingannata e toltole l'onore e ch'egli vuole saper da voi che sodisfazione gliene vogliate fare. Ei m'ha pregato ch'io volessi essergli protettore; io me gli sono offerto, perché dagl'indizi ch'esso mi diede della vostra quistione ho potuto comprendere che voi, signore, eravate il padrone di questo cordone di scintillo, il quale per liberalità e cortesia vostra voleste che fosse mio; e mi sono promesso che nessuno meglio di me potesse accomodare la vostra differenza. Ora vorrei, signore, che mi diceste quel che sapete di questo fatto, cioè se sia vero quello ne dice il gentiluomo.

—Ah, caro amico —rispose il duca—, è tanto vero che non ho fronte da negarlo, ancorch'io volessi! Non ho né ingannata né menata via Cornelia di quella casa, bench'io sappia ch'ella non vi è più. Non l'ho ingannata, dich'io, perché la tengo per mia moglie; non l'ho cavata fuora di quella casa, perché non so dove la si ritrova; e, se publicamente non celebrai lo sponsalizio, fu perché io aspettava che mia madre, che tocca già gli ultimi termini della vecchiaia ed ha fatto disegno di farmi sposo di una principessa, passasse a miglior vita e per altre ragioni ed inconvenienti, forse più efficaci di quelli che v'ho detti e che adesso non conviene ch'io dica. È vero che quella notte che me soccorreste io doveva menar via Cornelia, perché era venuto il tempo che 'l pegno ch'ella aveva ricevuto da me stava in procinto di venir alla luce. Ma quando che gionsi a casa sua trovai la sua cameriera che se n'usciva; domandaile di Cornelia, dissemi ch'era uscita e che in quella notte aveva partorito il più bel puttino del mondo e ch'essa ad uno dei miei servidori, per nome Fabio, l'aveva dato in mano. La cameriera ch'io vi dico è quella che vedete; Fabio ancora lui è qui. Cornelia né 'l suo puttino non compariscono. Per due giorni mi son fermato in Bologna ad informarmi ed aspettare di sentir nuova di Cornelia ma non ne ho saputo cosa alcuna.

—Di modo che, signore —disse don Giovanni—, quando la signora Cornelia ed il suo puttino compariranno, non negherete lei essere vostra moglie e lui vostro figliuolo.

—Nol negherò —rispose il duca—, perché quantunque io faccia gran caso d'essere cavaliere, stimo più l'esser cristiano. Oltra di ciò, Cornelia è tale ch'ella merita d'esser regina. Volesse Iddio ch'io adesso la vedessi, perché, viva o muora mia signora madre, saprà il mondo quant'io l'ami e che la fede che le ho data in secreto la so guardare in publico.

—Ciò dunque che mi dite ora —disse don Giovanni— lo direte al fratello della signora Cornelia vostro cugnato.

—Anzi mi spiace —soggionse il duca— ch'egli stia tanto senza saperlo.

In quell'istante don Giovanni fe' segno al gentiluomo bolognese ch'egli smontasse dal cavallo e venisse da loro, com'esso fece, molt'alieno dal pensar alla buona nuova che l'aspettava.

Fecesi innanzi il duca ad abbracciarlo e la prima parola ch'esso gli disse fu chiamarlo cugnato.

Appena seppe il gentiluomo a sì dolce saluto e cortese accoglimento rispondere; e, stando egli così sospeso et avanti che prendesse a parlare, don Giovanni cominciò a dire:

—Signore, confessa il signor duca la secreta conversazione che con la signora Cornelia vostra sorella egli ha avuta. Confessa parimente ch'ella è sua legitima sposa e, così come lo dice qui, lo dirà publicamente quando ne sarà tempo. Concede ancora che sono quattro notti che la volse cavar di casa della sua cugina per condurla nel suo dominio ed ivi aspettare occasione di celebrar le nozze, le quali egli ha ritardate per buon rispetto e per le giustissime cause ch'esso m'ha dette. Dice di più del combattimento che con voi ebbe e che, quando ei venne per Cornelia, trovò Sulpizia sua donzella, ed è quella istessa che là vedete, dalla qual seppe che non era un'ora che Cornelia aveva partorito e che la medesima Sulpizia dette il puttino ad uno dei servidori di lui e che allora, credendosi Cornelia che 'l duca fosse quivi venuto, uscì di casa, perché s'imaginava che voi sapeste del fatto suo. Sulpizia prese errore, perché, pensando di dare il bambino ad un servidore del duca, lo diede ad un altro. Cornelia non comparisce, egli di tutto vuol incolparsi e dice che, quando comparirà la signora vostra sorella, l'accetterà per sua legitima sposa.

Ora, signore, considerate s'avete più da dire e se si può più desiare che l'aver ritrovato due sì ricchi e cari pegni.

Rispose il gentiluomo, parlando con il duca:

—Signore mio e cugnato, non potevamo mia sorella ed io sperar manco beneficio di quello che ad entrambi piace alla benignità e generosità vostra farci, a lei nel farvela eguale, a me nell'assumermi nel numero de' vostri.

In questo dire, il duca ed il gentiluomo suo cugnato avevano(17) le lagrime sugli occhi, l'uno per aversi perduta la cara moglie, l'altro per aversi trovato un così buon cugnato. Ma considerando ch'era debolezza dar segno di tenero sentimento ritennero le lagrime.

In questi termini eglino stavano quando che don Antonio da Isunza comparve, il quale fu conosciuto da don Giovanni d'assai lontano al cortaldo; ma appressatosi un poco e veggendo i cavalli di don Giovanni e del fratello di Cornelia, i quali loro servidori tenevano alquanto appartati da' suoi padroni, egli fermossi, non conoscendo qual fusse il duca, e stando in forse se si dovesse accostare o no ove vedeva essere don Giovanni. Infine, si avvicinò ai servidori del duca e loro domandò se conoscessero quel cavaliere, segnalando il duca, il quale stava parlando con gli altri due. Fugli risposto ch'era il duca ... il che lo mise in maggiore confusione e non sapeva quel che dovesse fare. Ma don Giovanni, per cavarlo di quella perplessità, chiamollo per suo nome.

Veggendo dunque egli che tutti stavano a piede, smontò dal cavallo ed andando da loro fu ricevuto molto amorevolmente dal duca, a cui don Giovanni aveva detto ch'era il suo camarata. Insomma, don Giovanni gli contò tutto quello che gli era succeduto sin allora col duca. Rallegrossene pur assai don Antonio e disse a don Giovanni:

—Perché non fatte più perfetti il contento e l'allegrezza di questi signori, anonciando loro la buona nuova dell'aver ritrovata la signora Cornelia ed il suo puttino?

—Se voi, signore don Antonio, non foste arrivato —rispose don Giovanni—, io voleva dirla loro; ma poiché sete venuto, vogliate esser contento di fare sì buon uffizio.

Come il duca ed il suo cugnato udirono parlare di ritrovamento di Cornelia e di buona nuova domandaron che cosa era.

—Che cosa potrebb'essere —disse don Antonio—, se non che voglio in questa tragicomedia far una parte con darvi avviso che la signora Cornelia col suo puttino ritrovansi in casa mia?

E seguitò in raccontare loro da fil in ago tutto ciò che sin qui è stato detto. Di che ebbero tanto gusto ed allegrezza che 'l gentiluomo bolognese abbracciossi con don Giovanni ed il duca con don Antonio, offerendo il duca per così buona nuova al(18) suo cugnato tutto il suo stato e quest'a quello tutti suoi beni, insieme con la propria vita.

Chiamarono quella donzella ch'avea dato nelle mani di don Giovanni la creatura ma quando ella vidde il fratel di Cornelia stette tremando. L'adimandarono se conoscerebbe quell'uomo a cui l'aveva data, la rispose di no, ma che gli aveva domandato se Fabio egli era ed esso avendole risposto di sì, sopra quella parola gliela aveva data.

—È vero —rispose don Giovanni— e voi, signora donzella, incontanente serraste la porta, dicendomi ch'io mettessi quella creatura in salvo e subito tornassi.

—Egl'è così, signore —rispose lei piangendo.

—Tempo non è adesso di piagnere —disse il duca—, anzi da ridere e star allegri. Io per me non voglio ancor andar a casa senza ritornar a Bologna, e quanto prima, perché tutti questi contenti non sono che in ombra, sin tanto che la signora Cornelia con la sua presenza non gli faccia reali e veri.

Allora, senza dir più, tutti di comune consenso voltarono verso Bologna. Si mise innanzi don Antonio per avvisar Cornelia, acciò l'improvisa vista del duca e del fratello non le causasse troppa commozione. Ma come non la trovò, né gli seppero dir i paggi nuova di lei, egli diventò il più mesto e confuso uomo del mondo. E quando vidde non esservi anche la serva s'imaginò che per opera d'essa gli mancava Cornelia. Gli dissero i paggi che 'l medesimo giorno ch'essi erano iti via, subito dopo si partì la lor serva ed in quant'a Cornelia non l'avevano mai veduta.

Fuora di sé stette don Antonio per l'impensato caso, temendo che il duca gli avesse per ingannatori e falsi o che forse s'imaginasse altro di peggio che tornasse in pregiudizio dell'onor loro e di quel di Cornelia.

In questo pensier egli stava quando entrarono il duca, don Giovanni ed il fratello di Cornelia per istrade appartate e sotto portici, avendo lasciato il resto della lor compagnia fuora della città.

Gionti a casa di don Giovanni vi trovarono don Antonio che sedeva in una sedia, appoggiata la guancia sopra la mano e tutto scolorito in viso. Dimandolli don Giovanni che mal aveva e dov'era Cornelia.

—Che mal non volete ch'io abbia —rispose don Antonio—, poiché Cornelia non comparisce e colla serva che lasciammo per servirla s'è partita di casa in quello stesso giorno che ne partimmo?

Stette in poco che 'l duca ed il fratello di Cornelia non si disperassero udendo tale nuova. Tutti rimasero turbati e pieni di confusione.

In quel mentre, accostossi un paggio a don Antonio e gli disse all'orecchia:

—Signore, Santostefano, il paggio del signor don Giovanni, dal giorno che voi partiste si tien in camera riserrata una bella donna e mi pare che Cornelia io l'abbia sentito chiamare.

A cotal nuova turbossi don Antonio ed averebbe avuto più a caro che Cornelia non fosse comparsa allora, trovata in quel luogo, perché credeva che senz'altro fora lei quella che 'l paggio teneva nascosta. Con tutto ciò non disse niente ma pian piano andossene alla stanza del paggio ed ivi non trovandolo e ch'era serrata la porta, accostatosi ben a quella, disse con voce bassa:

—Aprite, signora Cornelia, e venite fuora ad accogliere il vostro fratello ed il duca vostro sposo che son venuti a cercarvi.

—Burlate forse? Sappiate che non sono sì brutta, né così sprezzata, che i duchi ed i conti non vogliano cercarmi.

Per le quali parole intese don Antonio che non era Cornelia che gli aveva risposto.

In quel mentre ecco venire Santostefano il paggio alla sua camera e, trovandovi alla porta don Antonio che gliene domandò la chiave, il paggio inginocchiatosi ai piedi di lui, con la chiave in mano, disse:

—L'assenza delle signorie vostre o, per dir meglio, la mia sciagurataggine m'ha fatto condur qua e starvi meco per tre notti una donna. Vi supplico, signore, così possiate aver buone nuove di Spagna, che 'l mio padrone non lo sappia ed or ora la farò venir fuora.

—E come si chiama quella donna? —domandò don Antonio.

—La si chiama Cornelia —rispose il paggio.

L'altro, ch'aveva scoperto il secreto, perché non era se non poco amico di Santostefano, scese ov'erano il duca, don Giovanni ed il bolognese e cominciò, o che fosse per malizia o per semplicità, a gridare:

—Beh(19), che ne dite, paggio, voi pagherete caro il piacere ch'avete avuto con la signora Cornelia! Et se la teneva serrata, il compagnone, ed averebbe voluto che i nostri padroni non fossero ancora tornati, per allungare quel suo bel tempo di tre o quattro giorni.

Il gentiluomo bolognese, che questo udito aveva, l'addimandò:

—Che cosa dite, paggio? Dov'è Cornelia?

—Di sopra —rispose egli.

Appena ebbe ciò detto quando il duca, che l'udiva, prese con gran prestezza a salire la scala per vedere Cornelia, credendosi che ritrovata fosse, e così subito se n'entrò nella camera ov'era don Antonio ed entratovi disse:

—Ov'è Cornelia? Ov'è la vita mia?

—Cornelia è qui —rispose una donna che stava in letto, involta in un lenzuolo e coperto il viso, e seguitando disse:

—Ohimè, che tanto schiamazzo! È cosa sì nuova che con un paggio abbia dormito una donna? Che gran miracolo!

Il gentiluomo bolognese, ch'era presente, con gran dispetto e colera per l'un de' capi tirato il lenzuolo, scuoprì una giovine assai bella, la quale, da vergogna ascondendosi la faccia con sopravi le mani, dette di piglio ai suoi vestimenti, che le servivano per capezzale perché quel letto non l'aveva, a chi conobbero ch'ella doveva essere una sgualdrina. Domandole il duca s'egli era vero ch'essa si chiamasse(20) Cornelia. La rispose di sì e ch'aveva nella città onorati parenti e non da manco che qualcun altro. Sì confuso stette il duca che quasi ebbe da pensare che gli spagnuoli di lui si prendessero spasso e lo burlassero. Ma per non dare credito a quel sospetto o per lo manco non farne vista, voltate le spalle, ei montò a cavallo e, seguitandolo il gentiluomo bolognese e senza dir parola, andarono via, lasciando don Giovanni e don Antonio più di loro confusi, però con risoluzione di fare ogni diligenza per trovare Cornelia ed assicurare il duca del verace lor desiderio. Licenziarono Santostefano e mandarono fuor di casa la sgualdrina Cornelia.

Nel medesimo tempo lor venne in mente l'aversi scordato di dir al duca dell'agno e della croce di diamanti che Cornelia lor aveva offerta, per lo qual contrasegno ei crederebbe ch'essa in poter loro stata fosse e che, non vi essendo più, non ne avevan colpa. Uscirono per andare a dirgli questo; ma nol trovarono in casa del gentiluomo bolognese, ove pensavano che fosse gito; il gentiluomo sì, il qual lor disse che 'l duca era ito via senza(21) fermarsi punto, avendolo pregato di cercar la sua sorella. Gli dissero quello ch'avevano da dir al duca; ma il gentiluomo rispose ch'ei si fosse partito sodisfatissimo del procedere loro e che ambedue attribuivano l'assenza di Cornelia alla sua molta temenza, e che infine permetterebbe Dio ch'ella si ritrovasse, poiché non era credibile che la terra avesse inghiottito il suo figliuolo né con lei la sua serva. Stante questo, tutti stettero consolati e, posciaché nessuno, dalla sua cugina in poi, sapeva la sua assenza, non vollero farla cercare con publica perquisizione ma solamente con le secrete diligenze, affine che fra quelli che non sapevano l'intenzion del duca l'onore di Cornelia non avesse a patir danno, perché difficil cosa è di levare a ciascheduno quelli sospetti ch'una forte presonzione nell'animo gli ha recato.

Seguitando il duca il suo viaggio, volle la buona sorte per favorirlo ch'egli arrivò nel luogo del curato, ove Cornelia, il suo puttino e la sua serva e consigliera si ritrovavano, le quali già avevan avvisato le cose loro al curato e circa quelle domandato il suo parere. Or era quel piovano intimo amico del duca e nella casa sua, accomodata da prete ricco e curioso, soleva esso duca spesso venire, tanto per curiosità e grata conversazione, quanto pel gusto della caccia ch'ei si pigliava in quel luogo. A tal che il curato non punto si meravigliò di vederlo in casa sua, perché, com'abbiam detto, non era quella la prima volta che ce l'aveva veduto; tuttavia gli dispiacque aver, di primo arrivo, conosciuto alla ciera maninconica che alcuna passione gli occupasse l'animo. Straudì Cornelia che 'l duca era lì e conturbossi grandemente, torcendosi le mani e scorrendo in qua in là, come insensata, per non sapere a che fine egli v'era venuto. Ella averebbe volentieri voluto parlare col piovano; ma egli stava trattenendo il duca, il quale gli diceva:

—Qua, bonsignor reverendo, vengo tristissimo e non voglio per oggi ritornare a casa ma sarò vostro ospite; dite ai miei, che meco vengono, ci vadano e resti solo Fabio.

Tanto fece il piovano ed attese a dar ordine perché desinasse il duca, e fosse ben trattato, e così diede occasione comoda acciò Cornelia potesse col piovano parlare, la quale, pigliandoli la mano, questo gli disse:

—Ah, caro bonsignor e padre reverendo, che cosa cerca il duca? Per amor di Dio, gli dia v. r. qualche tocco del caso mio e qualche indizio della sua intenzione procuri di scuoprire; ed in effetto, la faccia come le parrà per il meglio e la sua molta prudenza le dirà.

Al che il piovano le rispose che 'l duca stava tutto di malavoglia e che insin allora non glien'aveva detta la cagione.

—Ma quello ch'avete da fare, signora Cornelia —disse egli—, si è di metter al vostro puttino i migliori panni ch'abbiate ed adornarlo dei gioielli, principalmente di quelli che v'ha donati il duca, e poi lasciate far a me, ch'io spero in Dio ch'averemo oggi una buona giornata.

Ringrazionelo Cornelia ed andò a vestire e mettere all'ordine il suo puttino e fra tanto, e mentre che si facesse ora di desinare, il piovano tornò a trattener il duca, a cui d'uno in altro proposito domandò se fosse possibile saper la causa della maninconia che da tre migli se gli scorgeva in fronte.

—Bonsignore —rispose il duca—, egli è vero che della tristezza del cuore sogliono nella faccia apparire i segni e negli occhi leggersi la relazione di quello che sta nell'animo; ed è il peggio che per adesso non posso a nessuno altrimenti scuoprire la mia.

—Signore serenissimo —replicò il piovano—, se vostr'altezza si ritrovasse in termine di volere veder cose di gusto, io gliene mostrerei una che glielo recherebbe, come credo, e d'importanza.

—Saria di poco giudizio colui —soggionse il duca— che, quando se gli offerisce il modo d'alleviare il suo male, lo ributtasse. Però, vi prego, bonsignore, mostrarmi ciò che dite, ch'io m'imagino dover esser alcuna delle vostre curiosità, le quali a me sono di grandissimo gusto.

Allora andossene il piovano là dove Cornelia aveva già vestito il suo fanciullino ed adornatolo coi ricchi gioielli della croce di diamanti, l'agnusdei ed altri tre preziosissimi donatile dal duca; e recatosi in braccio il puttino tornò da lui e quello pose nelle sue. Quando il duca vidde e considerò i gioielli e conobbe ch'erano i medesimi che a Cornelia donati aveva, restò stupefatto e, mirando il bambino con grand'attenzione, parevagli che 'l suo proprio ritratto stesse mirando e così pieno di ammirazione domandò al piovano di chi era quel fanciullino, il quale a' suoi panni pareva essere figliuolo di qualche principe.

—Non so —rispose il piovano—, se non che da alquante notti in qua egli mi fu portato da Bologna da un non so chi gentiluomo, il quale istantemente mi pregò di averne cura, con farlo allevare, perch'egli era nato da un padre di rilevata qualità e gran valore e da nobilissima madre, non men perfetta in bellezza.

Et anco venne col gentiluomo una donna per dar il latte a questo fanciullino, alla quale ho domandato se sappia chi sia il padre e la madre di quello, ed hammi risposto non saperlo. Invero, che se colei che partorito l'ha è così bella com'è bella la ballia, ella è la più bella donna di tutta(22) Italia.

—Potremmo vederla? —domandò il duca.

—Signor sì —rispose il piovano—, venite meco; e, se la bellezza di questa creatura ed il suo adornamento v'hanno sospeso da meraviglia, credo che altretanto abbia da essere quando vedrete la sua nutrice.

Volle ripigliar il piovano il fanciullin al duca ma costui non lo volle lasciar andare stringendoselo in seno e dandogli di molti baci. Fecesi il piovano un poco innanzi ad avvisar Cornelia ch'essa sicuramente se ne venisse ad incontrar il duca che gli veniva dietro col puttino in braccio.

In quell'incontro tal rossore le venne in faccia che sopramodo la sua bellezza ne diventò più bella. Quando la vidde il duca, ebbe da spasimare ed ella a' piedi di lui gittandosi inginocchioni glieli volle baciare. Egli allora dette al piovano il puttino e, voltando le spalle senza dire parola, se n'uscì con gran fretta da quella camera, il che veduto da Cornelia, —ah —disse, voltandosi dal piovano—, è possibile che 'l duca si sia così presto e tanto infastidito dal vedermi? Gli son io cotanto in odio? Tanto gli ho paruto brutta? In questo modo hassi scordati gli oblighi ch'egli mi tiene? E come, non mi dirà per avventura una parola? Tanto gli pesava sul braccio il suo figliuolo che scaricar se ne dovesse rimettendolo ad un altro?

A tutto ciò non sapeva il piovano come rispondere, meravigliato della fuga del duca, perché gli parve ch'esso fosse fuggito, anzi che no, ancorché solamente era uscito a chiamar Fabio, a cui ei disse:

—Fabio, ritorna presto a Bologna e dirai da mia parte al fratel di Cornelia ed alli due gentiluomini spagnuoli don Giovanni da Gamboa e don Antonio da Isunza che senza scusa alcuna vengano a questo contado; ma bisogna volare e non tornare senza quelli, perché la lor presenza m'importa della vita.

Non fu pigro Fabio in eseguir prestamente il comandamento del suo signore. E ritornato il duca da Cornelia, che stava sospirando, abbracciosela e, mescolando le sue lagrime con quelle di lei, riceveva nella sua bocca i sospiri che l'afflitta gentildonna esalava, avendo da gran contento le lingue annodate. Così con onesto silenzio i due felici amanti, e veri sposi, godevansi un poco.

La balia del puttino e la serva delli gentiluomini spagnuoli, le quali per la porta d'un'altra camera stavano guardando ciò che passava tra il duca e Cornelia, trasportate da allegrezza, facevano cose da matte. Il piovano porgeva mille baci al fanciullino, ch'egli teneva in un braccio, e con l'altra mano dava altretante benedizioni agli abbracciati amanti. La serva del piovano, che non s'era trovata presente a quell'accidente per essere stata occupata in cucinar il desinare, quando ei fu apparecchiato e la tavola imbandita, se n'entrò nella camera a chiamarli(23) a mensa e fece sciorre i loro stretti abbracciamenti. Pigliò il duca il suo puttino, che teneva il piovano, e se lo tenne in braccio mentre durò il pranzo che niente aveva del sontuoso ma forse sì del saporito.

Mentre che steron a mangiare, Cornelia raccontò tutto ciò ch'era succeduto sin ch'ella gionse a quella casa per il consiglio della serva delli due gentiluomini spagnuoli, i quali l'avevano servita, protetta e guardata con quel maggior onore e rispetto che imaginar si possa. Et anche il duca le raccontò quanto s'era passato sin allora con esso loro. Ivi furon presenti le due donne ch'accompagnata avevano Cornelia, alle quali il duca per ricompensa promise molto.

In tutti ricominciò il gusto e l'allegrezza col fine del felice successo; e per condurlo al colmo della sua perfezione, altro non s'aspettava che la venuta del fratel di Cornelia, di don Giovanni e don Antonio, i quali, dopo tre giorni, gionsero bramosi grandemente di sapere se 'l duca avesse intesa alcuna nuova di Cornelia, perché Fabio, che a chiamarli era venuto a Bologna, non seppe dirne loro, ed era vero ch'ei non sapeva niente, ella si fosse ritrovata.

Uscì ad incontrarli e ricevere il duca in una sala davanti alla camera ove stava Cornelia, senza ch'egli facesse vista del suo contento, di che i due gentiluomini ebber assai da contristarsi.

Fattagli(24) insieme con lui star a sedere e voltatosi dal fratel di Cornelia, così gli disse:

—Ben sapete, signore N., che mai ho ingannata vostra sorella, di che il cielo e la mia coscienza sono veraci testimoni. Sapete parimente la diligenza che per cercarla ho usata ed il gran desiderio ch'io ebbi di trovarla per isposarla conforme gli promisi. Ma, poich'ella non comparisce, non è già di ragione che la mia parola eternamente mi tenga obligato. Son giovine e non sì attaccato agli affari del mondo che i miei gusti non possano ad ogni passo portarmi via. L'istessa affezione che mi fece promettere di sposare Cornelia aveva fatto che, innanzi che a lei, il simile io promisi ad una contadina di questo luogo, la quale pensai di lasciare per voltarmi al valore ed all'amore della vostra sorella (gran prova dell'amicizia mia inverso di quella) benché ciò con la mia coscienza non s'aggiustasse. Poi, dunque, che nessuno può ammogliarsi colla donna che sia assente e non è ragionevole d'ir a cercarla quand'ella fugge, per trovare ciò che ne odia, dico, signore N., che guardiate qualche sorte di sodisfazione io debba darvi per riparar un torto che mai v'ho fatto, poiché unqua mi venne in animo di farvelo; e così voglio che mi diate licenza di sodisfare alla prima mia promessa ed isposarmi con la predetta contadina, che si ritrova in questa casa.

Mentre così diceva il duca, di mil colori mutavasi il viso del gentiluomo bolognese ed egli non poteva star saldo nella sedia che sedeva, segni chiari che la colera s'andava impossessando di tutti li suoi sentimenti. Nel medesimo termine si ritrovavano i due spagnuoli, i quali si risolsero d'anzi perder la vita che di lasciar al duca eseguire il suo pensiero. Ma egli, nelle lor faccie leggendo l'intenzion sue, così prese a seguitare:

—Racchettatevi, signor N., perché, prima che mi rispondiate, voglio che la bellezza che vederete in quella che penso sposare v'oblighi a concedermi la licenza ch'io v'ho domandata; dico una bellezza tale ch'ella potrebbe valer di scusa ad errori maggiori.

Detto questo, levossi e se n'entrò nella camera di Cornelia, la quale in quel giorno pomposa e riccamente s'era vestita ed adornata.

Partito il duca, alzosi don Giovanni ed appoggiate ambe le mani sopra le braccia della sedia in che sedeva il bolognese gli disse all'orecchia:

—Per San Giacomo di Galizia ed affé di cristiano e cavaliere, così permetterò al duca di fare ciò ch'egli si pensa, come io sia per farmi moro. Ha da morire per le mie mani o mantener la parola ch'egli ha data alla signora vostra sorella, o per lo manco darne tanto tempo che basti per andar a cercarla; e sin tanto che non si sappia s'ella sia morta egli non ha da maritarsi.

—Anch'io a questo son risoluto —rispose il fratello.

—Così ancora dirà il mio compagno —replicò don Giovanni.

In questo entrò Cornelia in sala in mezzo al piovano ed il duca che la teneva per la mano; e venivano dietro Sulpizia donzella di Cornelia, che 'l duca per lei aveva mandato al suo castello, la balia del puttino e la serva dei gentiluomini spagnuoli.

Quando il bolognese vidde la sua sorella e che finiva di raffigurarsela e conoscere, perché da principio l'impossibilità ch'egli trovava in quel successo non dava che fosse fatto certo di quella verità, gittosi, però inciampando nelli suoi propri piedi, inginocchioni a quei del duca che l'alzò su e mise tra le braccia della sorella. Con che sentimento di allegrezza s'abbracciaron l'un l'altro allora il fratello e la sorella! Don Giovanni e don Antonio dissero al duca ch'egli aveva fatta loro la più discreta e la più grata burla del mondo.

Il duca recossi in braccio il fanciullino che Sulpizia portava, poi, dandolo al fratel di Cornelia, così gli disse:

—Ricevete, signor cugnato, il vostro nipotino e mio figliuolo e guardate se mi volete dar licenza ch'io mi sposi con questa contadina, la qual è quella prima a cui ho data la mia parola di tormela per moglie.

Sarebbe mai finire il voler raccontare ciò che 'l fratello di Cornelia rispose al duca, quello di che domandò don Giovanni e ciò che sentì don Antonio, il giubilo che fece il piovano e l'allegrezza di Sulpizia, il gusto della consigliera, il gran piacere della balia, l'ammirazione di Fabio, e finalmente il general contento di tutti quanti.

Senza frametter tempo gli sposò il piovano e fu compare don Giovanni da Gamboa; e fur tutti avvisati di tenere secreto quel parentado e sponsalizio, sin tanto si vedesse in che si terminasse la malatia che teneva molto al basso la duchessa madre del duca, e che fra tanto la signora Cornelia col suo fratello se ne tornasse a Bologna. Così fu fatto e morì la duchessa; e dopo della sua morte fece Cornelia nella città del duca pomposa entrata; il vestire a bruno cangiossi allegramente in quel da nozze; Sulpizia fu maritata con Fabio e l'altre donne furono fatte ricche; e don Giovanni e don Antonio restaron contentissimi d'aver fatto servizio a Cornelia, al suo fratello ed anche al duca, il quale lor offerì due sue cugine in mogli, con buonissima dote. Ma eglino risposero che la più parte de' gentiluomini biscaglini usavan ammogliarsi nella lor patria, e che non per disprezzo del suo parentado, poiché mai non sarebbono per fargli tal offesa, ma per guardar l'usanza del lor paese e la volontà de' parenti, i quali poteva essere che gli avessero già promessi, però non potevano accettare un così grand'onore, del quale mille e mille volte ringraziavanlo.

Ebbe il duca per buone le loro scuse e con onorevoli mezi cercò l'occasioni, e le trovò, di mandar loro a Bologna molti presenti ed alcuni di quelli cotanto ricchi e mandati in tempo e congiontura tale che, quantunque potessino non esser accettati, acciò che non paresse ch'essi gli ricevessero per ricompensa, nulladimeno il tempo facilitava il tutto, massimamente quelli che lor mandò quando furono per partirsi di ritorno in Ispagna e quegli ancora ch'egli stesso lor presentò quando alla sua città vennero a licenziarsi da sua altezza e trovaron Cornelia ancor madre di due figliuole e più che mai di lei innamorato il duca. La duchessa donò a don Giovanni la croce di diamanti e l'agnusdei a don Antonio, i quali non potettero tanto scusarsi che non gli ricevessero.

Arrivati poi in Ispagna a casa loro s'ammogliaron con nobilissime e ricche e belle gentildonne e trattennero sempre l'acquistata benevolenza del duca e della duchessa sua consorte e l'amicizia del fratello di lei, con contento grande d'ognuno.