Teodosia, nobile donzella spagnuola travestita da uomo, va dietro a Marc'Antonio, il suo amante perché l'aveva abbandonata e da lei si fuggiva. Un'altra giovine anch'essa nobile, per nome Leocadia, parimente burlata dal medesimo, senza saper questa di quella, in abito similmente mentito, lo seguita. Vengon ad essere diversamente incontrate da don Raffaele fratello di Teodosia. E dopo strani avvenimenti Marc'Antonio s'ammoglia in Teodosia e don Raffaele in Leocadia.
A venti miglia dalla città di Siviglia è un castello chiamato Castelbianco, ove, in una di quelle osterie, in sul far della notte, entrò un viandante montato sopra un bel cortaldo e senza servidore che lo accompagnasse, il qual, non aspettando che se gli tenesse la staffa per ismontare, saltò dalla sella in terra con molta leggerezza.
Accorse da lui l'oste, ch'era un uomo diligente, ma non puoté essere così presto che già non fosse il viandante postosi a sedere nel muricciuolo del portone; e, sbottonatosi il giubbone con fretta, incontanente lasciossi cascare le braccia, con dar manifesto indizio di tramortirsi.
La padrona di casa, ch'era caritatevole, se gli accostò e, spruzzandogli acqua in viso, lo fece ritornar in sé; ed egli, dando segno di sentire gran dispiacere, perché l'avevano veduto in cotal accidente, prese a ribottonarsi e domandò che gli dessero presto una stanza da riposare e l'avesse sola per sé, se possibile fosse.
Rispose la padrona ch'in tutta quella casa non ve n'era più d'una ed avea due letti; però, se per sorte sopragiongesse qualch'altro ospite, bisognerebbe necessariamente accomodarlo d'uno.
Allora disse il viandante che pagherebbe i due letti, venisse, o no, altr'ospite; e cavando uno scudo d'oro, lo diede alla padrona.
Non le dispiacque quella paga e gli promise che nessuno occuperebbe il letto voto, né parte della camera, benché il primo di Siviglia vi arrivasse quella notte.
Domandogli se voleva cenare, ei rispose di no ma solamente che si avesse cura di ben trattar e governare il suo cavallo.
Poi domandò la chiave della camera e, portando una valigia, se n'entrò dentro e vi si serrò colla chiave ed ancora due sedie mise contra la porta per più assicurarla, come si conobbe dapoi.
Appena s'era riserrato che l'oste, la sua moglie, il garzone che attendeva a dispensar la biada ed altri due vicini, i quali quivi a caso si erano trovati, si ragunaron a consiglio. Tutti cinque trattarono della isquisita bellezza e gagliardezza dell'ospite, conchiudendo che mai avessero veduto un altro giovine simile a quello.
Ragionarono dell'età e giudicarono ch'esso poteva essere d'anni sedici in dicisette.
In quanto poi alla causa del suo svenimento, non essendo stato in loro il poterla trovare, stettero nell'ammirare la sua gentilezza.
Ritornaronsene i due vicini alle lor case ed andò l'oste a governare il cavallo ed a cucinare qualche sorte di cena per se a caso quella sera arrivasse altro ospite. Non molto doppo ecco entrar un altro d'un poco più d'anni che 'l primo e non di manco garbatura.
Di subito che la padrona cominciò a vederlo, Giesù! diss'ella Che cosa veggo io? Vengono questa notte per avventura angeli alla casa mia?
Perché dite questo? disse il gentiluomo.
Non lo dico per niente rispose la padrona ed io dico che voi non ismontiate, perché non ho letto da darvi: un gentiluomo ch'è là dentro in quella camera, ancorch'egli sia solo, s'ha presi i due che vi sono e me gli ha pagati, acciò nessun altro che lui entri in quella camera; e forse ancora che gli sia di gusto la solitudine non so perché; ma affé dell'anima mia, egli non ha faccia e garbo da doversi ascondere, anzi da essere veduto e benedetto da tutto il mondo.
Olà, garzone chiamò allora il gentiluomo, piglia questo cavallo; voglio vedere questo tanto lodato uomo, s'io dovessi dormir in terra.
E dando a tener la staffa al suo servidore per ismontare, domandò che gli dessero subito da cenare.
Essendo egli a tavola, entrò uno sbirro del luoco, come di ordinario s'usa in simili castelli o terriciuole, e si pose a sedere a conversazione col gentiluomo, mentre stava cenando; et entrando d'uno in altro ragionamento, lo sbirro non perdette tempo, che tracannò e mandò giù tre bossolotti di vino e si mangiò e rose lo scaramasso, o petto, ed insieme il codrione d'una pernice che gli porse il gentiluomo.
Tutto quello ricompensò lo sbirro con domandargli delle nuove di corte e delle guerre di Fiandra e della mossa e calata del Turco, non iscordandosi li successi del Transilvano.
Cenava il gentiluomo e stava zitto, perché, venendo quelle domande da tal soggetto, non voleva rispondere.
Finito ch'ebbe l'oste di governare il cavallo, anch'egli stette a sedere, per far il terzo di quella conversazione, e provando suo proprio vino con altretanti sorsi quanti n'aveva travasati lo sbirro, ed a ciascun di quelli si torceva la vita ed inclinava il capo sopra dell'omero sinistro, lodando il vino con tanti atributi ed epiteti che l'innalzava sin alle nubi, senza però mandarcelo, acciò non si guastasse.
Di tiro in tiro, egli ritornò sulle lodi dell'ospite che stava riserrato e raccontò come fosse venuto meno ed aveva voluto serrarsi nella camera senza voler cenare.
Essaminarono il comparire della valigia, la bontà del cavallo e la vistosa leggiadria del suo vestito,
il che non comportava ch'egli andasse senza il servidore, che quello che con lui veniva era il vetturino.
Tutte quelle esaggerazioni furon al gentiluomo raddoppiati desii di volerlo vedere e perciò pregò l'oste facesse in modo che potesse dormire nell'altro letto di quella camera, e gli darebbe anche lui uno scudo.
E come che l'avidità del denaro facesse piegare la volontà dell'oste a darglielo, però fu impossibile, perché la camera era serrata per di dentro e non ardiva destar quello che vi dormiva ed aveva pagato per i due letti.
A tutto ciò seppe lo sbirro trovar rimedio e si lasciò intendere che leverebbe quelle difficoltà in questo modo:
Anderò disse egli a batter alla porta con dire che sia la corte, la quale d'ordine del signor giudice viene a comandare che si dia albergo a questo gentiluomo e che, se in quest'osteria non sia altro letto che quello, gliene debba accomodare. A questo l'oste avrà da dire che se gli viene fatto torto, perciò che la stanza ed i letti sono già stati dati a colui ch'è venuto il primo e gl'ha pagati.
Con questo l'oste sarà disobligato dalla sua promessa e voi, signore, conseguirete il vostro intento.
A tutti parve bene e buona l'invenzione dello sbirro, il quale senza indugiare la mandò ad effetto e ne toccò quattro reali che gli diede il gentiluomo.
Mostrò gran sentimento il primo ospite, quando che bisognò aprir alla giustizia, ed il secondo, in domandandogli perdono dell'incomodità e di avergli interrotto il sonno, si coricò nel letto ch'era disoccupato. L'altro non gli rispose una sola parola né si lasciò veder in viso, perché appena ebbe aperto l'uscio che si ricacciò nel suo letto e, voltata la faccia verso la stradella di quello e la parete, faceva vista di dormire, però che non voleva rispondere.
Or l'ultimo venuto s'era corcato ma con questa speranza, che la mattina egli vedrebbe l'altro, quando che si levasse.
Era nel mese di decembre, di cui le notti pigre e lunghe, il freddo e la stracchezza del camino portavano di riposare. Ma né per questo il primo ospite, non potendo godersi quel beneficio, poco dopo la mezzanotte prese a sospirare tanto amaramente che a ciascun sospiro pareva che dovesse esalar l'anima, di modo tale che l'altro, bench'egli dormisse, ebbe da svegliarsi.
E grandemente meravigliato delli singhiozzi con che accompagnava i dolorosi lai, stette attento ad ascoltare i lamenti che quell'afflitto pareva mormorasse infra di sé.
Era scura la stanza ed i letti l'uno dall'altro alquanto discostati; nulladimeno, egli sentì, tra l'altre, queste parole, prononciate con voce debilitata:
Ahi, lassa me! Dove mi porta la forza invincibile del mio destino? Che strada è la mia? O che uscita posso trovare dell'intricato laberinto nel qual mi veggio? Ah, pochi anni, di poca esperienza ed incapaci di ogni buona considerazione e di sano consiglio, che fine avrà da toccare quest'errabonda vostra peregrinazione? Ah, disprezzato onore! Ah, sincero amore, male contracambiato! Ah, rispetto de' miei parenti, messo in non cale e conculcato! Et ahi di me una e mille volte, che tanto a briglia sciolta mi lasciai trasportare dai miei desideri!
O lusinghevoli parole, parole false che troppo da dovero mi obligaste a corrispondervi con opere! Ma di chi mi lamento, meschina me? Non son io quella che volle ingannare me stessa? Non son io quella che prese il coltello per con le proprie mani assassinare, come ho fatto, il mio onore, la mia riputazione, e gittare in terra il buon concetto nel quale i miei padri avevano la mia virtù?
O fementito Marc'Antonio, com'è possibile che 'l fele dell'ingratitudine e del disprezzo si sia mescolato con la dolcezza delle parole che mi dicevi? Ove sei tu, ingrato? Ove fuggisti? Respondimi, che a te parlo, aspettami, ch'io ti seguito; sostienmi, che per te io cado; pagami, che mi devi, e soccorrimi poiché in tanti mali t'ho obligato.
Tacque ed i sospiri suoi davano ad intendere ch'essi da lagrime eran accompagnati.
Tutto ciò stava ascoltando con gran silenzio il secondo ospite, comprendendo dalle parole ch'udite egli aveva che senza verun dubbio era femina che faceva quelli lamenti; per il che, se gli crebbe il desiderio di volerla conoscere e molte volte risolse di levarsi ed ire a trovarla nel letto; così l'averebbe fatto s'egli non avesse sentito ch'ella s'era levata ed avendo aperta la porta della camera chiamava l'oste acciò le insellasse il suo cortaldo, perché diceva di volersi partire.
Dopo che per un pezzo s'era lasciato chiamar l'oste, le rispose dicendo che riposasse perché ancora non era più di mezzanotte e quella tanto buia che sarebbe temerità mettersi in via.
Appagossi di questo e, riserrato l'uscio, tornò a cacciarsi nel letto, mandando fuora un amaro sospiro.
Parve allora a quello ch'ascoltava che non sarebbe se non bene parlar con lei ed offerirle ogni servizio ed aiuto e così obligarla ad iscuoprirsegli e raccontare la sua sventura, perch'egli disse:
Invero, signor gentiluomo, se i sospiri ch'avete esalati e le parole ch'avete dette non mi avessero mosso a condolermi del mal che vi fa lamentare, crederei che l'animo mio fosse di sasso in un corpo di bronzo e che l'uno e l'altro mancasse di quel sentimento che la natura dà insin alle fere. Ma se questa compassione ch'ho del vostro dolore, ed il gran desiderio che tengo di porgerli rimedio eziandio col proprio sangue, se 'l vostro male puol essere rimediato, merita qualche cortesia in contracambio, pregovi di usarla meco col dichiararmi apertamente la causa di tanto lamento.
Se 'l mio dolore rispose il domandato non mi avesse offuscata la mente, mi sarei ricordata ch'io non era sola in questa camera; e però averei posto freno alla mia lingua e dato qualche tregua a' miei sospiri. Ma poiché la memoria mia ha mancato in luogo dove manco mancar ella doveva, voglio per gastigarla contentarvi in ciò che domandate, perché ancora potrebb'essere che, raccontando la trista storia delle mie disgrazie, quel ritoccar la piaga, rinovando il sentimento, finisca di tormi la vita ch'ho tanto in odio.
Ma prima ch'io sodisfaccia al vostro desiderio m'avete da prometter, per quella fede che dimostrate nell'offerirmi il vostro aiuto e per quello che siete, che deve essere d'assai, per il molto che promettete, che per cosa ch'io vi dica non partirete dal vostro letto per venire al mio né mi domanderete più di quello che vorrò dirvi; e se farete in contrario, in quell'istante ch'io vi senta movere mi passerò il petto colla mia spada che tengo qui in pronto al capezzale.
Quell'altro, il quale per sapere ciò che tanto desiderava averebbe promesso ogn'imposibile, gli rispose che non trasgredirebbe neanche un sol punto delle condizioni che gli metteva e glielo affermò con giuramento.
Or disse il primo, con questa sicurtà comincierò a dire.
Sappiate, signore, che se ben son entrato in questa osteria in abito da uomo, come senz'altro costoro ve l'averan detto, tuttavia io sono una sventurata donzella, o per lo manco una ch'era donzella non è ancora otto giorni, e non l'è più, per essersi fidata, come poco avveduta e matta, di parole affettate d'un giovane leggiero e fementito.
Il mio nome è Teodosia e la mia patria un luogo de' principali di questa Andalogia, il cui nome io taccio perché non tanto a voi importa saperlo, quanto a me tacerlo. Sono nobili i miei padri e ricchi più che mediocremente. Ebbero un figliuolo ed una figliuola: quello per lor onore e riposo, questa per lo contrario.
Mandaronlo a studio a Salamanca; io stava in casa, ove mi allevarono con quella cura e puntualità che richiedeva la virtù loro ed a' pari suoi conveniva; et io, senza che mi pesasse, lor fui ubbidiente, conformandomi sempre con il loro volere e non facendo contra per quanto importasse un sol minimo punto. Ma la mia o mala sorte o troppa stravaganza, ch'ella si fosse, posemi innanzi agli occhi e mi fece invaghire d'un giovine, figliuolo d'un nostro vicino, più ricco assai dei miei padri e nobile quant'essi.
La prima volta che lo guardai non sentii altro che una certa compiacenza di averlo veduto; e non fu ciò gran fatto, perché la sua gentilezza, la sua faccia ed i suoi costumi, aggiontovi il modo del vestire, colla sua discrezione e cortesia, erano stimati molto e da tutti lodati.
Ma che giova il lodar il mio nemico e l'andar allargando con parole l'infelice successo mio o, per dir meglio, il principio della mia pazzia?
Insomma dico ch'egli mi vidde una, e più volte, da un balcone dirimpetto il mio; e quindi, per quanto mi parve, mandommi per gli occhi l'anima sua. I miei ebbero gusto in mirarlo, però con contento diverso dal primo, ed anco mi sforzarono a credere che fusse vero tutto ciò che nel volto e nelli gesti suoi io leggeva.
La vista fu l'intercessora e la mezana delle parole, le parole del dichiarare il suo desiderio e questo ad accender il mio e dar fede al suo.
V'aggionse le promesse, i giuramenti, le lagrime, i sospiri e tutto quello può imaginarsi un amante per far intendere la grandezza dell'amor suo e la fedeltà del suo cuore, per conseguire la cosa desiata. Et a me, ah meschina! che mai non mi era trovata in tai frangenti né in tali occasioni, ogni parola era un tiro d'artiglieria che batteva a cavaliere ed abbatteva parte della rocca del mio onore; ogni lagrima era un fuoco che faceva in ceneri l'onestà mia; ogni sospiro un furioso vento che rendeva maggiore il mio incendio, di sorte ch'egli finì di consumare la virtù mia, la quale sin allora non era stata né poco né assai da simil fuoco riscaldata. Infatti sotto promessa d'essere mio sposo a malgrado de' suoi parenti, i quali per un'altra l'avevan destinato, l'onor mio dette in terra, perché, senza sapere come, io me gli diedi in preda, non ne sapendo nulla i miei maggiori e non v'essendo altro testimonio della mia pazzia ch'un paggio di Marc'Antonio, che così vien chiamato il mancator di fede per cui or son ridotta a questo passo.
Due giorni dopo ch'ei ebbe ottenuto ciò che da me voleva, non comparve mai più né i di lui parenti né alcuna altra persona non seppero e non potevano imaginarsi ov'egli fosse gito.
Quale io restai dicalo pure chi potrà dirlo, ch'io per me so bene come lo sento.
Strappai i miei capegli per gastigarli, come se fossero in colpa del mio errore. Mi rovinai il viso, perciò che mi pareva ch'egli fosse stato la causa della mia caduta; maledissi la mia sorte; biasimai la troppo pronta mia risoluzione; sparsi rivi di lagrime e quasi affogata mi viddi tra di quelle ed i sospiri che l'angosciato petto mio mandava fuora.
Querelaimi al cielo in silenzio, discorsi con l'imaginazione, cercando qualche strada al mio rimedio; e quella che trovai migliore fu vestirmi da uomo e partirmi di casa dei miei padri, per correr dietro a quell'ingannator Enea, quel disleale e crudele Bireno, defraudatore delli diritti miei pensieri e delle mie legitime speranze. Così, senza lasciarmi più tirare da' miei discorsi e porgendomi l'occasione un vestito da campagna di mio fratello ed un cortaldo di mio padre ch'io medesima insellai ed imbrigliai, mi posi in via, di tempo notte molto scura, con intenzione di gir a Salamanca, ove, per quello mi fu detto, doveva essere andato Marc'Antonio, perch'egli è scolaro e compagno di mio fratello.
Né anco mi scordai di pigliare molti denari, per quanto nel mio impensato viaggio succeder mi potesse.
Ma quello che più mi travaglia si è che i miei parenti mi faranno seguitare e non mancheranno di trovarmi alli contrasegni del vestito e del cavallo con che vado. Et oltracciò, temo mio fratello che si ritrova in Salamanca, dal quale s'io venissi ad esser conosciuta, pensate voi a che pericolo avrei condotta la mia vita, perché quantunque egli ascoltasse le mie scuse, tuttavia il minimo punto del suo onore è assai più di quante gliene sapessi dare.
Con tutto ciò son risoluta, benché mi dovesse costar la vita, d'ir a cercare il disleale mio sposo, che non può dire che non lo sia senza che le sue parole sieno contrarie al pegno che me n'ha lasciato e questo è un anello di diamanti con una ziffera che così dice: "Marc'Antonio è sposo di Teodosia".
Se 'l troverò saprò da lui che cosa egli abbia trovata in me, perché sì presto mi si sia tolto, e risolutamente farò che mi serbi la parola e la promessa fede o, se no, gli leverò la vita, mostrandomi così presta alla vendetta, come fui facile a lasciarmi offendere, perché la nobiltà del sangue, che da' miei padri ho avuta, mi desta l'animo e mi promette sodisfazion o vendetta.
Questa, signor cavaliere, è la vera istoria che avete desiderato saper da me, la quale, forse, sarà scusa bastevole alli sospiri ed alle parole che non vi lasciaron dormire.
D'una cosa vi priego, anzi vi supplico, già che non potete darmi rimedio, almanco mi diate consiglio, acciò possa scansarmi ed evitare i perigli che mi minacciano, temperare la tema ch'ho d'essere trovata e facilitare i modi che debbo usare per conseguire ciò che tanto desidero ed ho bisogno.
Per buon pezzo di tempo stette senza rispondere parola quello ch'era stato ascoltando la storia dell'innamorata ed afflitta Teodosia, dico per sì buon pezzo ch'ella pensava ch'esso dormisse e niente avesse udito di ciò che gli aveva detto; a tal che, per chiarirsi di quello che se ne pensava, gli disse:
Dormite voi, signore? Non mi parrebbe meraviglia, perché lo sventurato che racconta le sue disgrazie a chi non l'ode con attenzione anzi gli reca sonno che compassione.
Non dormo rispose il gentiluomo, perché sono tanto svegliato e sento la vostra disaventura ch'io non saprei dire qual di noi due più ella prema. Imperò, non solamente vi darò il consiglio che mi chiedete ma ancora v'aiuterò in tutto ciò che potranno le forze mie. E quantunque dal modo ch'avete osservato nel raccontarmi i vostri infortuni si scorga il chiaro intendimento vostro, ed indi segua che più presto foste ingannata dalla volontà propria che dalle persuasioni di Marc'Antonio, tuttavia, voglio pigliare i pochi anni ch'avete, ne' quali non può essere l'esperienza delli molti inganni d'alcuni uomini, per discolpa del vostro fallo.
Racchettatevi, signora, e dormite se potete quel poco che della notte deve avanzare; fra tanto tornerà a farsi giorno ed egli ne darà consiglio ed il consiglio qualche rimedio al vostro male.
Ringraziolo Teodosia il meglio che puoté e seppe e procurò di dormire ancora, acciò il simile potesse far il gentiluomo. Ma non fu mai possibile che riposar potesse un sol momento, perché voltandosi or qua, or là pel letto non ci trovava luogo e cominciò a sospirare sì fattamente che Teodosia ebbe a domandargli che cosa egli aveva o, se sentiva qualche passione ch'ella potesse rimediare, s'offeriva di farlo, contracambiando la buona volontà con che se l'era offerto.
Rispose il gentiluomo:
Ancorché voi, signora, siate la causa del travaglio ch'avete in me scorto, però non sete quella che vi possa dare rimedio perché, se 'l fosse in man vostra, io avrei da sperar bene.
Non puoté Teodosia capir il sentimento di quelle confuse parole; tuttavia ella pensò che colui dovesse sentire qualche amorosa passione ed anco s'immaginò che quella per lei il facese sì fortemente sospirare. Di ciò vi era apparenza, poiché la comodità della stanza, la solitudine, l'oscurità ed il conoscimento ch'egli aveva ch'ella femina era potevano facilmente destare nell'animo d'un uomo qualche pensiero non onesto.
Il che temendo ella, vestissi con gran silenzio e molta fretta; si cinse la spada e 'l pugnale e così stette sedendo sopra il letto aspettando il giorno, il quale d'indi a poco entrò per i molti busi e fessure che d'ordinario si veggono in quell'osterie di campagna.
L'istesso che Teodosia aveva fatto fece il gentiluomo ed egli non ebbe così tosto veduta la luce del giorno che si levò del letto, dicendo:
Levatevi, signora Teodosia, ch'io voglio accompagnarvi questa giornata, e non vi discostate niente da me sin tanto che non abbiate allato come legitimo sposo il vostro Marc'Antonio o che l'uno di noi perda la vita; e da ciò potrete comprendere in quanto obligo m'ha posto la vostra disgrazia.
E con dir questo aprì le porte e le finestre di quella casa.
Non aspettava meglio Teodosia che di vedere con la luce del giorno che faccia e presenza avesse quello con chi tutta la notte allo scuro stata a ragionare; ma quando lo vidde, e conobbe, averebbe voluto che mai quella mattina fosse venuta, overo ch'una notte eterna le avesse serrati gli occhi, perché appena il gentiluomo l'ebbe guardata ch'ella vidde che colui era il suo fratello, colui di chi, e con ragione, tanto temeva, alla cui vista stette in poco che non perdesse quella degli occhi suoi. Restò confusa, ammutita e pallida in volto;
però facendo animo, e dal pericolo cavando il consiglio, pose la mano al pugnale e tenendolo per la punta gittossi inginocchioni a' piedi del fratello, dicendo con voce tremola e tronca:
Ecco, signor fratello, pigliate questo ferro e vendicate e gastigate con quello l'offesa che v'ho fatta, la qual è tale che mai deve trovar perdono.
Confesso il mio errore e non pretendo che 'l pentimento mi sia per iscusa. Solamente vi prego che la pena si stenda sino a levarmi la vita, e non l'onore, perché quantunque io l'abbia esposto a manifesto pericolo fuggendo da casa nostra, tutavia egli non starà se non bene nell'opinion delle genti, se 'l gastigo che mi darete sarà segreto.
Stavala mirando fisso il fratello e, benché la temerità dell'essersi partita così segretamente lo portasse alla vendetta, le teneri parole, ed efficaci, con che la meschina si accusava lo mossero ad averne compassione, di sorte che con faccia tranquilla e maniera niente turbata l'alzò da terra ed al meglio che seppe la consolò, dicendole, fra molte altre ragioni, che per non trovare gastigo proporzionato alla sua pazzia lo sospendeva per allora e, perché gli pareva che la fortuna non gli avesse ancor serrate tutte le vie del rimedio, anzi voleva procurarglielo per tutti i mezzi possibili che di far la vendetta dell'ingiuria ch'a lei medesima si era fatta, ed a lui per riflessione di consanguineità.
Alle parole del fratello cominciò Teodosia a ricuperare gli spiriti smarriti, se le ritornò il colore in viso e ripigliaron vita le sue quasi morte speranze.
Non volle più don Raffaele (così aveva nome il suo fratello) parlare del passato; ma solamente le disse che mutasse il nome di Teodosia in quel di Teodoro e che con lui tornasse a Salamanca a cercar Marc'Antonio, ancorché non credeva ch'egli ci fosse perché, essendogli compagno com'era, se gli sarebbe lasciato vedere, ancorché per il torto ch'anco a lui aveva fatto non n'avesse avuta voglia.
Stette il nuovo Teodoro a quanto volse il fratello ed in quel mentre entrando l'oste gli ordinaron che lor portasse da fare collazione, perché volevano presto partire.
Fra tanto che si portava la collazione e si mettevano all'ordine le lor cavalcature, entrò un gentiluomo, il quale da don Raffaele fu conosciuto,
come anco da Teodoro, il quale per non esser veduto da esso non volle uscire di camera.
Si abbracciarono l'un l'altro e domandogli don Raffaele che nuova egli portasse dal Porto di Santa Maria;
rispose che quando se n'era partito vi aveva lasciato quattro galere di partenza per Napoli e sopra quelle veduto imbarcarsi Marc'Antonio Adorno, figliuolo di don Leonardo. Cotali nuove piacquero a don Raffaele e le ebbe a buon augurio di averle ancor migliori per il successo ch'egli desiderava, poiché sì impensatamente s'era incontrato in quello.
Pregò quel suo amico di volere scambiare la mula in che cavalcava con il cavallo ch'esso menava, il quale era di suo padre, che molto bene conosceva, non dicendogli che veniva ma che andava a Salamanca e che non voleva menare un così buon cavallo in sì lungo camino.
Costui, ch'era uomo cortese e dell'altro intimo amico, si contentò di quello scambio e di rimenar il cortaldo al suo padre.
Fecero collazion insieme ma Teodoro la fece solo e da parte. E quando bisognò partire, l'amico prese il camino verso Cazaglia ad una possessione ch'egli v'aveva.
Non si partì con lui don Raffaele, perché voleva scansarsi dalla sua compagnia e lasciarlo andar innanzi e perciò gli aveva detto che bisognava che in quel medesimo giorno egli se ne tornasse a Siviglia. Essendosi partito colui e stando all'ordine le mule, il conto fatto e pagato l'oste, partironsi don Raffaele e Teodoro, lasciando tutti meravigliati della bellezza d'ambedui, perciò che quella del fratello non era niente manco di quella della sorella.
Nel partirsi don Raffaele le raccontò le nuove che gli erano state riferte di Marc'Antonio e le disse lui esser di parere ch'andassero alla volta di Barcellona, ove per l'ordinario sogliono stare su l'ancore per alcuni giorni i vascelli che vanno e vengono di Spagna in Italia, e, se ancora le galere non vi fossero arrivate, ce le potrebbon aspettare e sopra quelle senza dubbio trovariano Marc'Antonio.
Rispose la sorella ch'egli facesse come a lui paresse meglio, perché il voler suo era quello di lui.
Disse don Raffaele al suo vetturino che avesse pazienza, perché gli conveniva passar a Barcellona, ma che lo pagherebbe bene per tutto il tempo che con esso lui caminaria.
Il vetturino, ch'era d'umor allegro e che conesceva aver da fare con gentiluomo liberale, rispose che per tutto lo servirebbe ed anche se volesse andare in capo al mondo.
Domandò don Raffaele alla sorella che denari aveva; ma lei, che gli tolse senza contare, rispose che altro non sapeva se non che sette od otto volte aveva messo mano nello scrigno di suo padre ed a ciascuna cavatala piena di scudi d'oro, secondo il qual conto pensò don Raffaele ch'ella potesse avere da cinquecento scudi che, con dugento altri ch'egli portava, ed insieme una collana d'oro, gli parve che potessero comodamente far viaggio e, di più, si persuadeva di trovar Marc'Antonio in Barcelona.
Con questo usaron diligenza nel caminare e, senza perdere giornata né incontrarsi in disturbo alcuno, gionsero ad un luogo otto miglia da Igualada e trentasei da Barcelona.
Furono avvisati nel camino ch'uno ambasciatore che se n'andava a Roma si ritrovava in Barcelona, aspettandovi le galere, e quell'avviso lor piacque molto.
Così stando allegri seguitarono il suo viaggio, sinché all'entrar d'un boschetto che sta in sulla via viddero uscire da quello un uomo che correva forte, e guardando indietro, come che fosse impaurito.
Fermossi davanti a lui don Raffaele e domandandogli perché sì leggiermente fuggiva così spaventato.
Non vi pare ch'io debba correre rispose egli ed avere paura, poiché appena e quasi per miracolo sono scappato da una mano di malandrini in quel vicino bosco?
Malandrini adesso disse il vetturino, stiamo male, sì, Dio m'aiuti, stiamo male; al corpo di me, ci metteranno a mal partito.
Non abbiate paura soggionse il fuggiente, perché di già sono andati via ed hanno lasciati legati agli alberi, ed in camiscia, più di trenta passeggieri; un solo è rimaso libero, acciò sciogliesse gli altri, quando quei manasdieri sarebbono passati di là dal colle che gli avevano segnalato.
Se così è disse Calvetto il vetturino, possiamo passare sicuri, perché i malandrini usano di non ritornare per molti giorni nel luogo dove hanno svaligiato, e questo so ben io, perché due volte ho dato nelle lor mani.
Così è disse quell'altro.
Il che inteso da don Raffaele, si risolvette passar innanzi; ed indi a pochi passi trovarono quelli ch'eran legati agli alberi ed il compagno ch'avevano lasciato libero e gli stava sciogliendo.
Stravagante spettacolo era vederli alcuni affato ignudi, altri rivestiti co' panni stracciosi de' manasdieri, questi piangendo per vedersi svaligiati, quelli ridendo dal vedere le strane fogge delli vestiti de' compagni. Chi contava a parte a parte ciò che se gli portavano via, chi diceva che, fra tutte l'altre cose che gli avevano tolte, nessuna gli premeva tanto quanto per una scatola piena d'agnusdei ch'ei portava da Roma.
Insomma per quel bosco altro non si sentiva che pianti e lamenti di quei meschini svaligiati.
E quello, non senza compassione, stavano mirando don Raffaele e Teodoro, ringraziando il cielo che da sì grande e sovrastante pericolo gli aveva liberati;
ma ciò che più lor dava da compassionare era il vedere un giovinetto per quel pareva di circa sedici anni, legato al tronco d'una quercia, con solamente la camiscia indosso e calzoni di tela, sì bello in volto ch'egli moveva, anzi sforzava ognuno a contemplarlo.
Smontò Teodoro e sciolselo e costui con parole molto accomodate ringraziollo di tanto benefizio, il quale, perché fosse fatto maggiore, il medesimo benefattore pregò Calvetto che volesse prestare al povero spogliato la sua gabbana, sin al primo castello, ove gliene comprerebbono una.
La dette il vetturino e Teodoro di propria mano cuoprì con quella il giovinetto, domandandogli di dove egli era, di dove veniva e dov'andava.
A tutto ciò era presente don Raffaele e rispose l'addimandato ch'egli era d'Andalogia e d'un luogo il quale, mentovato che l'ebbe, coloro intesero che da lor solamente otto miglia fosse distante,
ch'egli veniva di Siviglia e che 'l suo disegno era d'andare in Italia, a provare ventura nell'essercizio dell'arme, come usavano parecchi altri della nazion sua. Ma che per mala sorte aveva dato in quegli assassini che gli avevano tolti assaissimi denari ed insieme con quelli vestiti tali che con trecento scudi non si potrebbon fare i simili. Nulladimanco, non voleva lasciare di proseguire il suo viaggio, perché egli non era nato di sangue a cui nel primo mal successo se gli gelasse il calore del desiderio portato all'onore.
Le sensate ragioni del giovine e l'avere udito ch'egli lor era sì vicino di abitanza, e le lettere di raccomandazione che si leggevano nella bellezza della sua faccia, non portarono manco Teodoro di quel che portassero il fratello a favorirlo ed aiutare di quanto fu loro possibile.
Onde, spartiti fra di quelli in cui pareva essere più necessità alcuni soldi, specialmente a frati e preti, ch'erano più di otto, fecero che sopra la mula del vetturino montasse il giovine; e seguitando il camino in poche ore gionsero ad Igualada, ove ebbero nuova che 'l giorno innanzi erano arrivate le galere a Barcelona e se ne partirebbono in capo di due giorni, se più presto non le sforzasse la poca sicurezza di quella spiaggia.
Cotali nuove fecero che il dì seguente eglino si levarono innanti lo spuntar del sole, benché non avessin dormito tutta la notte e quel poco di essa con più batticuore che non s'avevano pensato. E questo perciò che la sera innanzi, eglino stando a cena e con essi il giovine che, come abbiam detto, era stato da loro slegato dall'albero, Teodoro, mirandolo più fissamente che non aveva ancor fatto, gli vidde avere le orecchie bucate, per il che, e per lo rossore ch'egli mostrava nel guardare, pensò ch'esser dovea femina e dopo cena averebbe voluto sola in disparte con esso lei chiarirsi di quel dubbio.
Mentre stavano cenando, gli domandò don Raffaelo chi fosse il suo padre, perch'egli bene conoscea tutti i principali del luogo di dov'era.
Rispose il giovine ch'esso era figliuolo di don Enrico di Cardenas, cavalier assai conosciuto.
Allora disse don Raffaele ch'egli molto ben conosceva don Enrico di Cardenas ma sapeva di certo ch'esso non aveva nessun figliuolo. Però, se ciò aveva detto per non dar a conoscere quali fossero gli suoi parenti, non importava e che mai più gliene domanderebbe.
Egli è vero replicò il giovine che don Enrico non ha nessun figliuolo, però sì un suo fratello che si chiama don Sancio.
Neanche questo ha figliuolo soggionse don Raffaele, se non una sola figliuola e quella dicono esser delle più belle di tutta Andalogia; e questo non lo so più che per fama, perché, se bene sono stato parecchie volte in quel luogo ove è nata, però mai l'ho veduta.
Tutto quello, signore, ch'avete detto è vero rispose il giovine e che don Sancio non ha che una sola figlia ma non sì bella come si dice. E se dissi ch'io era figliuolo di don Enrico è stato perché voi, signori, m'aveste in migliore stima; ma non lo sono, se non d'un maggiordomo di don Sancio, il quale da molti anni sta al suo servizio. Nacqui in casa sua e per qualche scapigliatura che feci a mio padre, avendogli rubbata buona quantità di denari, volli venire in Italia ad esercitarmi nell'arme, come v'ho detto, per via delle quali, e questo hollo visto, molti di scuro sangue si sono fatti illustri.
Tutte quelle ragioni, ed i termini con che le diceva, stava notandoli attentamente Teodoro e sempre più s'andava confirmando in ciò che ne pensava.
Finita la cena, sparecchiata la tavola, e mentre che don Raffaelle stava ad ispogliarsi, dissegli la sorella quel ch'ella si pensava del giovine, a cui, tiratelo in disparte con la licenza del fratello ad un balcone che guardava sopra la strada, ed appoggiatisi amendue a quello, così prese a dire:
Io vorrei, signor Francesco che questo aveva detto il giovine esser il suo nome, aver fatto per voi cosa che v'obligasse a concedermi quella ch'ho in mente di domandarvi; ma se il poco tempo che vi conosco non me l'abbia permesso, potrebbe essere che nell'avenire nascesse occasione nella qual vi significassi il desiderio mio tutto portato a servirvi. E se non vi contenterete di compiacere quello che ho adesso né perciò manco di quel che sono vi sarò servidore.
Ora, se bene non ho più anni di voi, ho tuttavia più di esperienza delle cose del mondo di quello ch'essi promettono, poiché con quella son venuto a sospettare che voi non siete uomo, come lo mostra il vestito nel qual andate, anzi sete donzella e sì ben nata che non ci vuole per testimonio altro che quello della vostra bellezza; e forse anco si aggionge a questa l'essere voi tanto malfortunata quanto par che lo dica il vostro travestire, essendo che tali mutazioni non augurano mai cosa di buono in chi l'adopera.
Se quest'è vero, ditemelo liberamente, che vi giuro affé di cavaliero ch'io professo di aiutarvi e servire quanto a me sia possibile.
Conosco bene che sete femina; questo nol potete negare, poiché, avendo voi le orecchie forate, per quei busi a chiaro si vede questa verità. Circa di essi non siete stata cauta, imperò che dovevate turargli e tramutare con un poco di cera incarnata, perché potrebbe essere che qualcun altro, curioso come son io ma forse manco onorato e discreto, facesse venir alla luce ciò che sapeste sì mal cuoprire.
Dicovi da ricapo che non dubbitate dirmi confidentemente chi siete, sopra la fede che v'ho giurata, e giuro di guardarvi quel secreto che m'averete confidato e d'aiutarvi con tutto quello ch'io possa.
Con molta attenzione stava il giovine ad ascoltare Teodoro; e poi, veggendo ch'egli taceva, innanzi che rispondergli parola, gli prese le mani e portandovi la bocca gliele baciò per forza, bagnandole con abondanza di lagrime, che da' suoi bellissimi occhi stillavano, le quali furono accompagnate da quelle di Teodoro, secondo la naturale condizione delle donne ben nate ch'è di intenerirsi e compassionare i mali altrui; nondimeno, ritirate ch'ebbe, però con qualche difficoltà, le sue mani dalla bocca del giovine, stette attenta a quello che le rispondesse ed egli, esalando un amaro sospiro, così disse:
Non posso né voglio negarvi, signore, quello che di me sospettaste: sono donzella ma la più sventurata che mai le donne abbian prodotto al mondo. E poiché i buoni uffici che vi piacque farmi, e gli offerimenti che mi fate, m'obligano ad ubbidirvi in tutto ciò che mi comanderete, dirovvi confidentemente chi io sono, se pure non v'incresca di sentir raccontare le mie disgrazie.
M'accompagnino altretante mentre ch'io viva soggionse Teodoro, se 'l gusto di saperle non agguaglia in me la pena dell'esser vostre, perché le sento come proprie.
Et abbracciandola di nuovo, con raddopiarle nuovi offerimenti, quella donzella alquanto racchettata così prese a dire:
In quel che tocca del mio paese ho detto il vero ma delli miei parenti no, perciò che don Enrico non è mio padre, ma l'è don Sancio suo fratello, e mio zio; ed io sono quella infelice donzella che il vostro signor fratello ha detto esser cotanto celebrata per la sua bellezza, benché il contrario si vegga nel guardar che non ne ho nessuna.
Il nome mio è Leocadia e perché io vada a questo modo travestita adesso l'udirete.
Ad otto miglia dal mio luogo, ve n'è un altro dei più nobili e ricchi della Andalogia nel quale abita un gentiluomo, la cui origine è degli antichi Adorni di Genova.
Costui ha un figliuolo, il quale, senza che la fama delle sue lodi avanzi in lui, com'ella fa in me, le qualità, è un garbato gentiluomo e delli più compiti che si possa trovare.
Egli per la vicinità de' luoghi e perché della caccia si dilettava, come anco mio padre, alcune volte veniva a casa nostra e vi passava cinque o sei giorni intieri, e parte delle loro notti, alla campagna insieme col mio padre.
Quindi la sorte, l'amore od il poco mio giudizio prese occasione di abbassarmi dalli più alti miei pensieri nella bassezza dello stato nel quale voi mi vedete,
per il che avendo io considerato, più che non conveniva ad una donzella par mia, la gentilezza e discrezione di Marc'Antonio, la qualità del sangue e quantità dei beni della fortuna ch'aveva il padre di lui, mi parve che, se l'ottenessi per mio sposo, sarebbe quella la maggiore felicità ch'io potessi desiare.
Stando io in tal pensiero, cominciai a mirarlo con più attenzione, o per dir meglio con troppa inavvertenza, poich'egli se n'accorse; e non ebbe bisogno, il traditore, d'altr'entratura più comoda per impossessarsi di me e rubbar quello di migliore ch'io m'avessi.
Ma non so come io metta a raccontarvi di filo in ago, e fuori di proposito, ad uno ad uno questi particolari del mio innamoramento, invece di dir un tratto, e tutto in una volta, ciò che egli in molte si guadagnò sopra di me con le sue continovate sollecitazioni.
E questo fu ch'avendomi data parola e giurata la fede, con giuramenti tali ch'a me pareva dovessin essere inviolabili, ch'egli sarebbe mio sposo, lasciaimi vincere con offerirmi a che facesse di me a suo piacere.
Tuttavia, non essendo io ancora intieramente sodisfatta delli suoi giuramenti, temendo che il vento se gli portasse via, feci che gli scrivesse in una polizza ch'esso mi diede scritta e sottoscritta di sua mano, con tante circostanze, e sì espresse, ch'ebbi a contentarmene.
Avendo dunque ricevuta la polizza, io gli dissi il modo con che potrebbe una notte venir da me, ed era che scalasse la muraglia di un giardino e poi entrasse in camera mia, dove con ogni sicurezza correbbe il frutto che per lui solo io servaba.
Ecco, infine venne la notte da me tanto desiderata.
Sin qui era stato con gran silenzio ad ascoltare Teodoro, con l'animo pendente dalle parole di Leocadia, ciascuna delle quali trafiggeva il cuore all'ascoltante, quando intese mentovare il nome di Marc'Antonio e vidde la peregrina bellezza della sua rivale e considerò la grandezza del valor suo e della rara discrezione con che aveva racconta quella sua storia.
Ma, quando ch'essa venne a dire ch'infine era arrivata la notte che tanto bramava, Teodoro perdé la pazienza e più non potette star saldo, ch'interruppe il ragionamento dell'altra, dicendole:
E bene? Quando che fu venuta quella felicissima notte, che cosa fece egli? Entrò per avventura? Godestelo? Confermò la sua promessa? Restò ben sodisfatto dall'avere avuto ciò che diceste essere per lui solo? Lo seppe vostro padre? Che fine ebbero tanti onesti e savi principi?
In lasciarmi nel modo come voi mi vedete rispose Leocadia, perché egli non godé me né io godei lui, non essendo venuto al luogo appostato.
A queste ultime parole respirò Teodoro e ritenne gli spiriti i quali già a poco a poco l'andavano abbandonando, violentati dalla rabbiosa pestilenza e pestilente rabbia della gelosia che di già cominciava ad entrarle potentemente per tutte l'ossa e le midolle e le faceva scappare la pazienza. Però non ne restò sì liberata che non tornasse ad ascoltare con turbazion grande quello che Leocadia continovò a dire in questo modo:
Non solamente il bugiardo non venne, come ho detto, ma otto giorni dopo ebbi avviso certo ch'egli s'era partito di casa sua ed aveva menata via una donzella da quella de' suoi padri del medesimo luogo, figliuola d'un tal gentiluomo, chiamata Todosia, d'isquisita bellezza e rara discrezione. E perché ella era di nobilissimi parenti, si seppe subito per tutto il nostro luogo il suo rapimento ed anche alli miei orecchi ne pervenne la nuova; e quella fu la spada della gelosia che mi passò il cuore ed un incendio d'insano amore, nel quale l'onor mio fu fatto ceneri, si consumò il mio credito, mi si seccò la pazienza e n'ebbe morte la mia riputazione.
Meschina me! Che subito m'imaginai dovere quella Teodosia essere più bella del sole, avanzar di discrezione ogni altra discreta, anzi l'istessa discrezione, e sopra tutto più fortunata di me, misera ed infelice.
Allora lessi quel che diceva la polizza, considerai attentamente l'efficaci parole, mirai la sottoscrizione e n'ebbi il tenore per valido e che non potrebbe mancare in quello ch'essa prometteva. Ma, benché ciò fosse l'ancora sacra della mia speranza, io veniva a naufragare quando mi si rappresentava la sospettosa compagnia ch'aveva Marc'Antonio.
Maltrattai il mio viso, strappai i miei capegli, maledissi la mia sorte; e quel che più vivamente io sentiva si era ch'io non poteva sfogarmi nel far le mie vendette, per la presenza di mio padre, da cui non poteva scansarmi.
Finalmente, per saziarmi di lamentare senza impedimento, o per più presto uscir di vita, e saria questo il mio meglio, determinai di partirmi di casa nostra ed andarmene via dai miei padri.
E sì come pare che per mandare ad effetto ogni sconcio pensiero l'occasione faciliti ed ispiani la strada e superi gl'inconvenienti, senza temer nessuno, io rubbai ad un paggio di mio padre i suoi vestiti ed al mio padre quantità di denari; e sotto il negro manto di scura notte me ne uscii di casa e caminai a piedi alcune miglia sin ad Ossana ove, accomodata sopra un carro, in capo di due giorni gionsi a Siviglia, che fu per me gran sicurezza, acciò non potesse trovarmi chi mi venisse a cercare.
Ivi comprai altri vestiti ed una mula e con alcuni gentiluomini, che con gran diligenza venivano a Barcelona, per non perder l'occasione delle galere che passan in Italia, caminai sin ad ieri, che mi successe con gli assassini (come l'avete saputo) che mi tolsero ogni cosa e fra l'altre la gioia in che stava la mia allegrezza, e ch'era l'alleviamento al grave peso de' miei travagli, dico la polizza di Marc'Antonio, il quale io pensava di trovar in Italia e presentargliela per testimonianza della sua poca fede e della mia troppo ferma e costante.
Con tutto ciò, considerai che colui che nega gli oblighi che debbono scolpirsi nell'animo negherà anco facilmente le parole scritte in carta. Et è senz'alcun dubbio che s'egli ha in compagnia la senza pari Teodosia, niente si curerà dell'infelice Leocadia, né anche pensarà di lei. Ma se bene io dovessi nell'impresa lasciar la vita, voglio presentarmi davanti a loro due, acciò che la presenza mia lor turbi il riposo.
Non pensi l'inimica della mia quiete goder a così buon mercato quello ch'è mio, perché la cercherò, la troverò e se potrò le leverò la vita.
Che colpa ne ha Teodosia disse allora Teodoro se lei ancora, come puol essere, è stata ingannata da Marc'Antonio?
S'egli è vero ch'egli l'abbia rapita rispose Leocadia, ella non ne ha colpa. E se due che s'amano scambievolmente s'accoppiano insieme, non v'è inganno, nessun per certo: si chiamano contenti godendosi l'un l'altro, con ciò sia che stessero ne' più remoti ed arsicci deserti d'Africa o nelli più solinghi ed appartati della gelata Scizia.
Ella sel gode, non v'ha dubbio, in qualsivoglia parte ch'ella sia; ed essa sola ha da pagar la pena che averò sentita sin ch'io abbia trovato il mancatore.
Può essere che v'inganniate replicò Teodoro, perché conosco bene quella nemica che voi dite e so della sua condizione e solitudine e che mai si arrischiarebbe a partirsi di casa de' suoi parenti, per secondare gli desideri di Marc'Antonio, né seguitarlo. E quando che l'avesse fatto, non conoscendo voi né sapendo cosa veruna degl'interessi ch'avevate con lui, non v'averebbe fatta ingiuria o torto alcuno e dove non vi è questa o quello non deve essere vendetta.
Della sua ritiratezza o solitudine soggionse Leocadia non occorre trattare, perché io quanto un'altra, qual la si sia, stava ritirata nei termini dell'onesto e con tutto ciò ho fatto quello ch'avete udito.
Ch'egli la menasse via per forza non ne fo dubbio; e ch'ella non m'ha fatto torto io lo confesso, quando ci penso freddamente e senza passione.
Ma il dolore che nasce dalla gelosia, rappresentandola alla mia memoria, è una spada che mi trafigge le viscere; e non è meraviglia che, come stromento che mi dà tanta pena, io procuri cavarlo fuora e farlo pezzi. E tanto più ch'è gran prudenza l'allontanar da noi le cose che sono nocive e naturale l'aver in odio non solamente quelle che ci fan male ma anche quelle che ne sviano il bene.
Che così sia come le dite, signora Leocadia rispose Teodoro, perché sì come io m'accorgo che il dolore che voi sentite non lascia che facciate discorsi più considerati e ragionevoli, anche conosco che non sete in tempo di ricevere buon consiglio.
Io per me vi torno a dire quello che già v'ho detto, che vi aiuterò in tutto ciò che sarà giusto e potrò aiutarvi. Et altretanto vi prometto per parte di mio fratello, perché la naturale sua condizione, la sua nobiltà e cortesia non ve lo negheranno.
Il nostro viaggio è per Italia, se con noi vi piace venirci, appresso a poco sapete e conoscete qual sia la nostra conversazione. D'una cosa voglio pregarvi, che mi diate licenza di ragguagliare mio fratello intorno alle cose vostre, acciò ch'egli vi tratti con quel rispetto e decoro che vi si deve ed affinché cotal avviso con più ragione l'oblighi a servirvi.
Nel rimanente, poi, a me non pare che dobbiate mutar vestito altro ch'in questa foggia; e se in questo luogo si potrà trovar da vestirvi, voglio domani da mattina comprarvi i migliori panni che vi saranno. E per le vostre pretensioni, lasciate far al tempo, ch'egli è gran maestro di trovare e dar rimedio ai casi più disperati.
Di tanti offerimenti Leocadia ringraziò cortesemente Teodosia, ch'ella credeva essere Teodoro, e le diede licenza di dire al suo fratello quanto ella volesse, supplicandolo che non l'abbandonasse, perché era esposta a di molti pericoli, se si venisse a scuoprire ch'ella femina fosse senza riparo.
Con questo andaron a dormire, Teodoro in camera del suo fratello e Leocadia in un'altra che le stava appresso.
Non ancor s'era messo in letto don Raffaele aspettando sua sorella, per intender da lei ciò ch'avesse saputo da quella ch'egli sospettava essere femina. E prima ch'ei si spogliasse, veggendola entrare, le domandò che cosa n'aveva inteso; ed ella glielo raccontò minutamente, cioè che Leocadia le aveva detto di chi ella era figliuola, palesate il suo innamoramento, la polizza o promessa di Marc'Antonio e la di lei intenzione.
Stupì don Raffaele e disse alla sorella:
S'ella è tale ch'essa dice, ben vi so dire ch'è delle principali della nostra Andalogia.
È il suo padre molto conosciuto dal nostro e la fama della sua bellezza corrisponde con quella ch'abbiam veduta nella sua faccia.
Quello che a me pare dobbiamo far in questo si è l'andarvi ocultamente e trovar modo ch'ella prima di noi non parli con Marc'Antonio, perché la polizza che dice averle fatta lui, quantunque ella l'abbia perduta, non lascia tuttavia di darmi a pensare. Però, cara sorella, andate a ritirarvi e riposate, che potremo trovar rimedio a tutto.
Andò a letto Teodoro, com'il fratello comandato gli aveva, ma in quello del riposare non fu possibile, tanto gli era entrato nell'animo la rabbia della gelosia.
O quanto più di quello ch'ella era se le rappresentava nell'imaginazione la bellezza di Leocadia e la dislealtà di Marc'Antonio! O quante volte leggeva, o fingeva di leggere, la polizza ch'esso le aveva data! Quante parole e ragioni vi aggiongeva che la facevan certa, sicura e di grand'effetto! Quante volte credette che colei s'infingesse di averla perduta! E quante s'imaginava che anche senza quella non lasciarebbe Marc'Antonio di guardar la sua parola e più non si ricorderebbe né curerebbe di ciò ch'egli dovesse alla già sua Teodosia!
In cotali raggiramenti ella passò la maggior parte della notte, senza poter dormire.
Non l'ebbe miglior il fratello, perciò che, com' egli seppe chi fosse Leocadia, non manco sentì ardere il suo cuore nel fuoco dell'amor di lei che se l'avesse da molto tempo innanzi veduta e conosciuta. E questo è il proprio e la forza della bellezza, che in un punto, in un momento, ella rapisce il desiderio e l'animo di chi la mira; e quando scuopre o mostra qualche via, e promette lasciarsi conquistare, essa incende l'anima che contempla in quella guisa ch'una scintilla innalza grand'incendio, s'ella dà nella polvere fatta per quello effetto.
Non se l'imaginava legata ad un albero né sotto vestito da uomo tutto straccioso e svaligiato, ma sì in quel da donna ed in casa de' suoi parenti, con il decoro conforme alla qualità ed alle ricchezze di essi.
Non si faceva scrupolo per conto di onore o disonore dalla causa perché a quel passo era condotta, anzi aveva a gran ventura che quell'occasione gliel'avesse fatta conoscere. Non vedeva l'ora che l'alba arrecasse la nuova luce per seguitare la giornata e trovar Marc'Antonio, non tanto per farselo cognato quanto per traversarlo ed impedire acciò che non diventasse sposo di Leocadia. E già di sì fatta maniera l'amore e la gelosia s'eran di lui impossessati che volentieri averebbe veduta la sorella restar senza rimedio, e Marc'Antonio senza vita, purché la speranza di ottenere Leocadia in lui restasse viva. Quella speranza gli prometteva che 'l suo disegno conseguirebbe felice fine o per via della dolcezza e servitù o per la forza, poiché il tempo e l'occasione gli porgevano spazio per l'una o l'altra.
Con questo che a sé stesso si prometteva, egli riposò alcun tanto l'animo suo e si addormentò. Indi a poco si fece giorno ed essi levati su, don Raffaele, chiamato l'oste, gli domandò se in quel luogo potrebbesi trovare da vestire un paggio che dalli malandrini era stato spogliato.
Disse l'oste aver un abito ch'egli voleva vendere, il quale stando bene a Leocadia comperollo don Raffaele; ed ella sel vestì, con cingersi allato una spada col suo pugnale, con tanto garbo e baldanza che ne restò sospeso l'animo di don Raffaele e raddoppiata la gelosia della sorella.
Circa le quatordici ore, partirono alla volta di Barcelona, senza volere per allora in quel camino salire l'alto monte di Monserrato a visitarvi il nominato monasterio della madonna, lasciandolo per quando piacesse a Dio, che con più di comodità, tornando essi a casa, verrebbono a visitarlo.
Cosa difficile sarebbe i pensieri di Raffaele e Teodoro voler esprimere e con quanti tra sé contrari e differenti animi ambi lor due stavano mirando Leocadia e pensando di lei, l'uno apassionato d'amore, l'altra tormentata di gelosia.
E più l'ingelosita, per mantenere viva la sua speranza, traversare ed impedire il disegno del suo fratello, andava trovando da dire contro di Leocadia, tanto più vi trovava delle perfezioni l'innamorato e quelle gli accrescevano l'affezione in amarla.
Non già per questo lasciarono di usar diligenza tale che gionsero a Barcelona prima ch'andasse sotto il sole.
Lor piacque il bellissimo sito della città e la stimarono delle più belle ch'abbia la Spagna: il timore e lo spavento delli vicini e lontani nemici, delizie de' suoi abitanti, rifugio e protettrice de' forastieri, scuola di cavaleria, esempio di fedeltà e sodisfazione di tutto quello che d'una grande, ricca e famosa città un curioso e discreto desio possa desiderare.
Entrando essi in quella, udirono strepito molto grande; e viddero correr a furia gran quantità di gente e, domandando chi di tanto rumore e moto fosse la causa, lor fu risposto che i soldati delle galere, ch'erano nella spiaggia, avevano dato all'arme contro quelli della città.
Ciò udendo don Raffaele volle andare a vedere quella trambusta, con tutto che Calvetto il vetturino gli avesse detto che non v'andasse e che non era da prudente l'esporsi a pericolo manifesto sì come era quello, e che ben doveva sapere quanto sconcio e danno venisse a coloro che s'impacciavano in sì fatti litigi ch'erano ordinari quando che a quella città arrivavano le galere.
Non valse di Calvetto il buon consiglio per far che non v'andasse don Raffaele ed insieme con lui le due travestite.
E giongendo alla marina viddero molte spade sfoderate e numero di uomini dandosi l'un l'altro con quelle. Nulladimeno, senza smontare dalle mule, vi accostaron sì dappresso che vedevano chiaramente le faccie di coloro che menavan le mani in quella mischia, perché il sole non era ancor tramontato.
Quantità di persone vi concorreva dalla città ed in buon numero quelle ch'uscivano dalle galere, nonostante che 'l sopracomito o capitano d'esse, ch'era un cavaliere valenziano per nome Pietro Viche, dalla poppa della galera capitana gridava minacciando quelli ch'erano entrati negli schiffi per andar a soccorrer gli altri.
Però, veggendo egli che 'l suo gridare e minacciare non giovavano niente, fece voltar le prore delle galere inverso gli azuffati e tirar una cannonata, ma senza palla, ch'era il segno che, se a quella non si fermassero con separarsi, un'altra con la palla presto seguiterebbe.
In quello che don Raffaele stava guardando la crudele baruffa, ei vidde e notò uno di quelli delle galere che sopra tutti i compagni si portava da valoroso e combatteva con bravura e grand'ardire ed era quello un giovane d'anni ventidue incirca, vestito d'un abito verde, con il capello pur del medesimo colore ed un cordone, o faccia, che brillava di diamanti. La destrezza con che ei combatteva e l'essere vistoso il suo vestito tiravano addosso a lui tutti gli occhi che miravano quella pugna.
Quelli di Teodoro e Leocadia vi si fissarono di modo tale che amendue insieme e ad un tempo esclamaron con dire:
Ohimè! O non ho occhi o quel dal verde è Marc'Antonio.
Questo dicendo, smontarono dalle mule con gran prestezza e, cacciando man alle spade ed a' pugnali, si spinsero, senza verun timore, insin al mezzo della turba e tanto che si posero ai due lati di Marc'Antonio che in effetto era il vestito di verde.
Non dubitate, signore Marc'Antonio, e fate animo disse nel farsi innanzi Leocadia, ch'avete allato chi metterà la propria vita per servirvi di scudo e diffender la vostra.
Chi ne dubita replicò Teodoro, poiché io son qui?
Don Raffaelo, che visto avea ed udito tutto quello che la sorella e Leocadia avevano fatto e detto, le seguitò e si mise con esse.
Marc'Antonio, occupato nel diffendere sé ed offendere i contrari, non pose mente a quello che gli avevan detto, anzi, incanito in quella zuffa, faceva pruove d'incredibile meraviglia.
Tuttavia crescendo di momento in momento il numero di quelli ch'uscivano dalla città e venivano a caricare sopra coloro delle galere, questi furono sforzati a ritirarsi, eziandio sin a gittarsi in acqua.
Ma Marc'Antonio malvolontieri si ritirava ed allato a lui del medesimo passo le due novelle guerriere Bradamante e Marfisa.
In quel frangente, ecco venire un cavaliere catalano della nominata familia delli Cardona, sopra un possente cavallo, il quale, postosi in mezo delle due parti, fece ritirar quelli della città, perché conoscendolo bene gli ebbero rispetto.
Però non tanto che, mentre egli se n'andava, non tirassero sassi da lontano contra gli altri delle galere; e volse la disgrazia ch'una sassata colse con tanta forza Marc'Antonio in una tempia che lo portò riverso in acqua e quella aveva sin al ginocchio. Appena Teodoro e Leocadia l'ebbero veduto cascare che abbracciandolo l'alzarono in piedi.
Don Raffaele s'era un poco appartato, per ripararsi meglio contra li sassi che da tutte le bande gli tempestavano addosso; e volendo egli venire a soccorrer l'anima sua, la sorella et insieme il preteso cognato, se gli fermò davanti il cavaliere catalano, dicendo:
Fermatevi, signore, per quel che dovete a buon soldato; mettetevi allato a me, ch'io vi caverò dall'insolenza di questo popolazzo.
Deh! Signor cavaliere, lasciatemi passare, perch'io veggio poste in gran pericolo quelle che più in questo mondo ho care.
Lasciollo ire il cavaliere ma non arrivò tanto a tempo che non avessero già messo dentro lo schifo della galera capitana Marc'Antonio e Leocadia, la quale mai volse lasciare tenendosela molto stretta. E volendosi Teodoro imbarcare con esso loro, o fosse perch'era stracca o per lo gran dolore che dall'aver veduto ferito Marc'Antonio ella sentiva o perciò che ella vedesse andarsene con lui la mortale sua nemica, non ebbe forza da montar nello schifo ed essendosi tramortita la sarebbe senz'altro caduta in acqua, se a soccorrerla non fosse arrivato presto il suo fratello, il quale non sentì manco dolor di lei in veder che con Marc'Antonio andava via Leocadia.
Il cavaliere catalano, presa affezione alla bella presenza di don Raffaele e di sua sorella, ch'egli credeva esser uomo, gli chiamò dalla riva, con pregarli volessero venirsene con esso lui.
Et essi, sforzati dalla necessità e da tema che 'l popolo, che non era ancor pacificato, tornasse a fargli nuovo insulto, accettarono il favore offerto loro dal cavaliere, il quale smontò da cavallo e, messosi in mezzo ad essi colla spada nuda in mano, passò a traverso la turba, pregandola di voler ritirarsi, e così fece.
Mirò ad ogni parte don Raffaele se vedesse Calvetto con le mule; ma non lo vidde perché, com'essi furono smontati da quelle, le condusse e se n'andò ad una osteria, ove dell'altre volte soleva allogiarsi.
Venne il cavaliere a casa sua ch'era uno de' più belli palazzi che fossero nella città; e domandando a don Raffaele in che galera egli era venuto, costui rispose che in nessuna ma ch'era venuto per terra e gionto in quella città sul bel principio di quella mischia e che, avendovi riconosciuto quel gentiluomo stato ferito dalla sassata entro lo schifo, non aveva temuto di mettersi in quel pericolo, perch'erano amici; e supplicollo che volesse dar ordine che così ferito com'era lo portassin a terra, perché in quello gli andava del contento o della vita.
Tanto farò, e molto volentieri rispose il cavaliere, e son certo che 'l capitano generale d'esse galere, ch'è un cortese gentiluomo e mio parente, me ne farà piacere.
Et andato alla galera allor allora trovò che medicavano la ferita di Marc'Antonio, la qual era pericolosa, per essere nella tempia sinistra, e l'ottenne dal generale, acciò ch'ei fosse medicato in terra.
E rimessolo nello schifo ed entratavi Leocadia, che sempre voleva seguirlo come il norte della sua speranza, lo posero in terra, ove il cavaliere aveva fatto portar una seggietta per trasportarlo al suo palazzo.
In questo mentre, don Raffaele aveva mandato a cercare il vetturin Calvetto, il qual nell'osteria si ritrovava molto ansioso di sapere che cosa fosse de' suoi padroni; ma quando seppe ch'essi stavano bene se n'andò a trovarli allegramente.
In quello ch'egli vi arriva, vidde venirci il signor padron della casa, Marc'Antonio e Leocadia, i quali due, insieme con don Raffaelle e la sorella, vi furono con grand'amore e magnificamente alloggiati e regalati.
Subito fece il cavaliere chiamare un chirurgio de' più esperti della città, per da ricapo medicar la ferita di Marc'Antonio; ma il chirurgo non volle farlo sin al giorno seguente, perché diceva che i chirurgi degli eserciti e dell'armate, avendo grand'esperienza nella lor arte, per i molti feriti che ad ognora passavano per le sue mani, asserrivano che non bisognava toccar le ferite, se non dopo d'un giorno che vi avevan applicato il primo rimedio.
Quello che per allora egli ordinò fu che in una buona camera mettesser il ferito a riposare per quel giorno.
In quell'istante venne il chirurgo delle galere ed a quello della città diede conto della ferita e della applicazione che vi aveva fatta ed insieme del pericolo della vita in che stava il ferito. E con questo colui della città fu fatto certo che Marc'Antonio era stato ben medicato ed esaggerò il periglio nel quale egli stava, secondo la relazione del parere dell'altro.
Udirono queste parole Leocadia e Teodoro con non minore sentimento che se sentito avessero pronunziar la sentenza della lor morte; ma per non iscuoprire il suo dolore, lo seppero dissimulare e tacere. Nulladimeno Leocadia, risoltasi di dover fare ciò che per l'onor suo le pareva conveniente, subito che i due chirurgi si furono partiti, se n'entrò nella camera di Marc'Antonio e, in presenza del signor patron della casa, di don Raffaele, di Teodoro ed altre persone, accostossi al capezzale del ferito e, pigliandolo per la mano, così gli disse:
Voi non sete in istato, signore Marc'Antonio, che vi si debba usare molte parole, per lo che desiderarei che solamente ne sentiste alcune, le quali converranno, se non alla salute del vostro corpo, a quella dell'anima vostra. E per dirvele, bisogna che vi contentate, come vi prego, di darmene licenza e mi diciate se siete in volontà di ascoltarmi, perché non istaria bene ch'avendo io procurato dal punto che vi conobbi ogni cosa di vostro gusto, in quest'ora che penso essere per l'ultima, io vi cagionassi molestia e fastidio.
Sentendo Marc'Antonio queste parole, aprì gli occhi e sulla faccia di Leocadia gli tenne fissi; e quasi conosciuta anzi alla favella che per la vista, con voce debole e querula, le disse:
Dite, signore, quel che vorrete, perché non sono ancor tanto al basso ch'io non possa ascoltarvi, né quella voce a me non è tanto spiacente ch'ella m'arrechi noia.
Stava Teodoro con grande attenzione ad udire questo colloquio e ad ogni parola di Leocadia quasi da acuta saetta si sentiva passar il cuore, e quello di don Raffaele, che anche lui stava ad ascoltarla.
E seguitò Leocadia con dire:
Se la ferita che nella testa avete rilevata o, per dir meglio, che a me ha piagata l'anima, non v'ha levato, signore Marc'Antonio, dalla memoria l'imaginazione di quella che poco tempo fa voi dicevate essere gloria vostra, il vostro cielo, ben vi potete ricordare quale fu Leocadia e quale la parola che le deste e la promessa che le giuraste, confermata con iscrittura di vostra mano. E non averete scordato il valore de' suoi parenti, l'integrità dell'onor suo e l'obligo che le avete per in tutti i vostri gusti avervi compiaciuto.
Se questo non averete scordato, conoscerete facilmente, ancorché mi veggiate in questo abito pur assai differente dal mio ordinario, nel qual già mi vedeste, ch'io son Leocadia, la quale dubitando, anzi temendo, che nuovi accidenti non mi togliessero quello che sì giustamente è mio subito che da casa vostra seppi voi essere partito, passando per di sopra ogni difficoltà e superando di molti inconvenienti, risolsi di venirvi dietro vestita a questa foggia, con pensier di cercarvi per tutto il mondo, sin ch'io vi trovassi.
E non dovete farvene meraviglia, se qualche volta sentito avete ciò che possa la forza d'un vero e fedel amore e d'una donna ingannata l'ira e la rabbia.
In questa mia cerca ho passato dei travagli, tutti i quali ora mi sono altretanto riposo pel gusto grande che ho in rivedervi, benché amareggiato dall'avervi trovato in questo stato. Dal quale se piacesse a Dio di chiamarvi a miglior vita, facendo voi, innanzi che partirvene, secondo quel che sete, quella ch'io sono e quel ch'a me dovete, mi chiamerò contenta e felice. E vi prometto che dopo della vostra morte farò tal vita che non passerà lungo tempo senza che io vada a seguitarvi.
Però, vi prego in prima per amor di Dio, a cui vanno indrizzati tutti i miei desii e le mie intenzioni, poi per quello che voi dovete alla qualità vostra e finalmente a me, a chi sete in obligo più ch'a nessuna altra persona del mondo, che di presente in questo luogo mi vogliate accettare per vostra legitima sposa e non aspettiate che la giustizia vi costringa a quello che con tante ragioni la ragione istessa deve persuadervi.
Qui tacque Leocadia e tutti quelli ch'erano nella camera, avendola con gran silenzio ascoltata, con il medesimo stettero ad aspettare la risposta di Marc'Antonio, la quale fu in questo senso:
Non posso negare, signora, di conoscervi, perché la vostra favella e la vostra faccia nol permettono.
Né manco posso negare i molti oblighi che vi tengo, la vostra onestà, che non ha paragone, ed il valore dei vostri parenti.
E perché sete venuta a cercarmi in abito mentito, e sì diverso dal proprio vostro, non vi ho in minore stima; anzi più ve ne lodo e loderò mentre io viva.
Però, e poiché la mia mala sorte m'ha condotto a questo termine, il quale credo, come avette detto, sarà l'ultimo della mia vita, ed ancora perché in simili stretti passi si deve dichiarare la verità, voglio dirvene una, la quale, se per adesso non vi fosse di gusto, potrà essere che qualche giorno ella vi sia d'utile.
Io confesso, bella Leocadia, che v'ho amata e voi m'avete amato. Ma ancora confesso che la promessa che v'ho fatta, e scritta in una polizza, è stata più per compiacervi e conformarmi col vostro desiderio che con il mio, perciò che molti giorni innanzi ch'io la facessi aveva data l'anima mia e la volontà ad un'altra donzella del mio medesimo luogo, che credo conoscete, chiamata Teodosia, figliuola di parenti niente manco illustri delli vostri. E se vi diedi quella polizza sottoscritta di propria mano, a colei diedi l'istesa mano, confirmando con tali opere e testimoni che restai impegnato a non poter più darla, né la mia fede, a nessuna altra del mondo.
L'amore che con voi trattai fu solamente per passatempo ed altro non ne ebbi che quelli fiori che sapete, i quali allora non vi potevano offendere né lo posson adesso in nessuna maniera.
Quelli ch'io colsi in Teodosia mi diedero ancora a raccorne il frutto ch'ella mi puoté dare, e che desiderai ch'essa mi desse, sotto la fede ch'io dovessi esserle sposo, come lo sono.
E se ambe voi due lasciai in un istesso tempo, voi incerta ed ingannata, lei timorosa, parendole aver perduto il suo onore, io lo feci da giovine che sono, senza considerare, e credendo che quelle cose non fossero se non di poca importanza e che senza scrupolo io poteva fare come feci, con degli altri pensieri che mi si raggiravano allora per l'animo ed erano sollecitati dal desiderio di venirmene in Italia, a spendervi alcuni anni della gioventù mia, e poi tornare alla patria, a veder quello ch'avesse piaciuto a Dio far di voi e di Teodora, mia legitima e vera sposa.
Ma di me dolendosi il giusto cielo, credo senz'alcun dubbio ch'egli abbia permesso ch'io sia venuto a questo passo nel quale mi vedete, acciò che, confessando io di propria bocca questa verità, nata da colpa mia, debba pagare in questa vita quello che debbo e voi restate disingannata e libera, per poter fare quel che vi piaccia.
E quando Teodosia saprà della mia morte, potrà anco saper da voi, e da questi che sono presenti, che moriente ho sodisfatto alla promessa che vivente le feci.
E se nel poco tempo che ho da vivere io posso servirvi, signora Leocadia, vi prego che vogliate liberamente dirlo, perché dall'esservi sposo in poi, ch'io nol posso, procurerò ogni altra cosa far pel vostro servizio.
Mentre diceva Marc'Antonio queste parole, egli stava col capo appoggiato sopra la mano e, nel finir di dirle, lasciò andare giù il braccio, perch'era tramortito.
Allora fattosi innanzi don Raffaele ed abbracciandolo strettamente gli disse:
Fate animo, caro signore, ed abbracciate me, il vostro amico e cognato, poiché vi piace ch'io lo sia, riconoscete don Raffaele vostro compagno, il qual sarà verace testimonio della volontà vostra e del favore ed onore che fate a mia sorella in accetarla per vostra sposa.
Ritornò in sé Marc'Antonio ed all'istante riconobbe don Raffaele ed abbracciatolo strettamente e baciato in viso così gli disse:
A quest'ora, caro fratello e signor mio, posso dire che il grandissimo contento che sento in vedervi altro non mi può recare ch'un grave dispiacere, poiché si dice esser vero che dopo la tristezza seguita l'allegrezza; ciò nonostante, non terrò a disgrazia qualsivoglia sorte di male che a me possa venire, in cambio del gran gusto e del bene ch'io ricevo in vedervi.
Voglio farvelo più perfetto, signore Marc'Antonio replicò Raffaele, con presentarvi questa gioia ch'è vostra sposa.
E cercando di Teodosia, trovolla dietro agli astanti piangente e sospesa tra dui estremi, il dispiacere e l'allegrezza, per quello che vedeva ed aveva udito. Presala per la mano il suo fratello, la si lasciò facilmente menare ov'egli volle, che fu davanti a Marc'Antonio, che la conobbe, et abbracciatosi con essa pressero ambedui a piangere teneramente.
Di così strano accidente stettero meravigliati quelli ch'ivi erano presenti e si guardavano l'un l'altro senza dire parola ed aspettando il fine di quelle cose.
Ma l'infelice Leocadia, che veduto aveva quanto era stato fatto da Marc'Antonio, e quello ch'ella s'era pensato esser fratello di don Raffaele in braccio a colui che sempre s'aveva creduto dover esserle sposo, e veggendo con questo andar fallaci i suoi disegni ed isvaniti le sue speranze, si tolse via furtivamente dagli occhi di tutti di quella compagnia, i quali stavano attenti, mirando che cosa facesse il ferito con quel paggio ch'egli teneva abbracciato, ed uscita dalla camera in un istante posesi sulla strada, con intenzione d'irsene disperata e raminga pel mondo o tapina in qualche luogo ove mai più fosse veduta.
Ma non sì tosto fu fuor di casa che s'accorse don Raffaele ch'ella v'era da dire e, come se a lui fosse mancata l'anima, dimandava di lei a tutti e non trovò nessuno che gli sapesse dire ov'era gita. Laonde, senza indugiare, anche lui disperato, le uscì dietro a cercarla e venne dove alloggiava Calvetto il vetturino, a veder se vi foss'andata a pigliar una mula per andarsene via. Ma non trovandola in quella osteria, correva come matto qua e là per le strade a cercare di lei; e pensando che potrebbe esser tornata alle galere, ei tirò verso la marina; e poco prima che v'arrivasse, udì da terra chiamar forte, perché vi passassin lo schifo della galera capitana, e conobbe alla voce che chi gridava era la bella Leocadia, la qual sentendosi gente alle spalle, e temendo di qualche affronto, subito impugnò la spada e stette salda ed in guardia aspettando se se le accostasse don Raffaele, ch'ella conobbe di prima gionta, e le dispiacque che l'avesse trovata, maggiormente in luogo sì appartato e sola, perché già s'era accorta a più d'un segno che le aveva mostro don Raffaele ch'egli avesse qualche disegno sopra di lei e che l'amasse, e tanto, ch'essa s'avrebbe recato ventura se Marc'Antonio le fosse stato così affezionato.
Con che parole potrò adesso dire quello che disse don Raffaele a Leocadia, dichiarandole l'amor suo con tante e sì belle ragioni che non mi basta l'animo a poterle descrivere?
Ma poich'io non posso non dirne alcune, tra l'altre furon queste:
Se con la buona sorte, che a me manca, o bellissima Leocadia, mi mancasse insieme l'animo e l'ardimento di scuoprirvi i secreti dell'intrinseco mio, la più innamorata e sincera affezione che mai sia nata o possa nascere in un petto d'amor acceso rimarrebbe sepolta in eterno oblio.
Ma per non fare questo torto a sì giusto disegno, qual è il mio, sia che sia, voglio, signora, che sappiate, se il precipitato giudizio vostro vel può permettere, che Marc'Antonio sopra di me non può avere altro vantaggio che quello che l'onora in essere da voi amato.
Il mio legnaggio è illustre al pari del suo e nelli beni, che son chiamati di fortuna, niente m'avvanza.
In quanto poi a quelli di natura, non conviene lodar me stesso, massimamente se quelli da' propri occhi vostri non sono stimati.
Tutto questo io dico, appassionata signora, acciò vi vogliate valere dell'aiuto e del rimedio che l'amica sorte vi porge in quest'estremo della vostra disgrazia. Già voi vedete che Marc'Antonio non puol essere vostro, perché il cielo l'ha dato a mia sorella; ed il medesimo cielo, ch'oggi vel toglie, vi vuol ricompensare col farvi dono della mia persona; così non bramo maggior bene in questo mondo di quello ch'averò nell'esservi fedele sposo.
Considerate che 'l buon successo sta picchiando alla porta per entrar dentro in luogo del cattivo che sino a quest'ora avete avuto.
E non pensate che la licenza che voi v'avete presa, e l'ardimento in cercar Marc'Antonio, faccia ch'io vi disprezza e vi abbia da manco di quel che v'averei avuta quando non vi foste portata a questa impresa, perché in quella medesima ora che mi sarete sposa voglio scordare per sempre mai, come di già mi scordo, quanto io abbia saputo di questo fatto, sapendo molto bene che quella forza che m'ha sforzato ad amarvi, quell'istessa vi ha tirata e condotta al passo nel qual vi ritrovate. E così, dove non è stato errore, non occorre cercare scusa.
A tutto quello che disse a Leocadia don Raffaele, ella non rispose parola ma solamente di quando in quando esalava sospiri da mezzo il cuore.
Ebbe baldanza don Raffaele di pigliarla per una mano ed essa animo non ebbe da impedirglielo.
Finite diceva egli baciandogliela spesse volte, finite,
unica signora dell'anima mia, di esserla ancora della mia persona, in presenza di quello stellato cielo che ne guarda, di quel mar tranquillato che ci ascolta e di queste umide arene che ne sostengono.
Dite il di sì, il quale senza dubbio non è manco conveniente al vostro onore di quel ch'egli lo sia al mio contento.
Torno a dirvi che, come voi sapete, son gentiluomo, ricco a bastanza, e che vi ama, e di questo dovete far maggiore stima, e che in cambio di ritrovarvi sola, in abito che disdice in gran maniera al vostro onore, allontanata dalla casa del vostro padre e parenti, senza nessuno che attenda e provegga ai vostri bisogni e priva di speranza di poter conseguire il bene che voi cercavate, potrete tornar alla patria vestita dei vostri panni propri ed ordinari, accompagnata da così buon marito come quello che v'eleggeste, ricca, contenta, stimata e servita, ed anche onorata e lodata da tutti quelli ch'averanno notizia delli successi di questa vostra storia.
Se questo sia come è in effetto, non so perché dobbiate starne in dubbio.
Finite, torno a dirvi, d'innalzarmi dal suolo della mia miseria al cielo della gloria del meritarvi; e ciò facendo mi farete felice, farete anco per voi stessa e guarderete insieme le leggi della cortesia e della gratitudine, mostrandovi in un istesso tempo riconoscente e discreta.
Or dunque disse allora la dubbiosa Leocadia, poiché così l'ha ordinato il cielo, e non è in mio potere, né di vivente alcuno, opponersi a quello che da lui viene determinato, sono contenta, signore mio, di secondare la vostra volontà; e sa l'istesso cielo con che rossore mi piego a quella: non perché io non conosca quale sia il bene che mi guadagno nell'ubbidirvi ma perciò che ho tema che, conformandomi col vostro desiderio, abbiate poi da guardarmi con altri occhi che quelli che insin adesso, mirandomi, forse vi hanno ingannato.
Pur sia come piace a Dio, non posso perdere in esser moglie del signor don Raffaele Villavicenzo e con solo tal titolo viverò contentissima.
E se i costumi che in me vederete, quando che sarò fatta vostra, potrano fare che m'abbiate in qualche stima ringrazierò il cielo di avermi condotta per tanti strani aggiramenti e per tanti travagli al riposo dell'esser vostra.
Per promessa di esser mio, datemi, signore, la mano ed ecco che vi do la mia per donarmi a voi. E ne siano testimoni quelli ch'avete detto, il cielo, il mare, quest'arene e questo silenzio percosso ed interrotto da' miei sospiri e dai vostri prieghi.
Dicendo questo e datasi la mano l'un l'altro, ella da lui si lasciò abbracciare, celebrando il notturno e nuovo sponsalizio, con solamente le lagrime che il contento, malgrado la passata tristezza, le faceva stillar dagli occhi.
Indi se ne ritornaron a casa del cavaliere catalano, il quale stava con gran pensiero a causa della loro assenza, e più di lui Marc'Antonio e Teodosia, i quali già per mano del parochiano erano sposati, perché, temendo lei che qualche nuovo accidente, sopragiongendo, le sviasse il bene ch'ella trovato avea, il cavaliere era stato sollecito a mandar per il prete.
Di modo che, quando don Raffaele e Leocadia entrarono e ch'esso raccontò ciò che con lei succeduto gli era, il cavaliere ne sentì doppia allegrezza, come se a lui stati fossero stretti parenti: e questa è condizione naturale e propria della nobiltà catalana di mostrarsi amici a' forastieri e favorirli.
Il parochiano, ch'ivi era presente, ordinò che Leocadia e Teodosia mutassero vestiti ripigliando i loro propri; il che fu fatto subito, facendole il cavaliere vestire di due ricche vesti di quelle della moglie ch'era gentildonna di molto conto, della casata de' Granogliechi, antica e famosa in quel regno.
Fu avvisato il chirurgo che 'l ferito parlava troppo e gli stavano sempre appresso, onde fu astretto d'ordinare che lo lasciassin solo ed in silenzio.
Nientedimeno Iddio, adoperando per istromento delle opere sue, quando egli vuol fare alcuna meraviglia, quello che la natura non può comprendere, aveva ordinato che lo stare allegro Marc'Antonio, e con poco silenzio, fosse in parte causa di venirgli miglioramento; talché il dì seguente che ritornarono a medicarlo, trovaronlo fuor di pericolo; e dopo quatordici giorni, ei si levò dal letto così ben risanato che senza più temer di niente poteva mettersi in viaggio.
Or è da sapere che, mentre Marc'Antonio stett'in letto, fece voto a Dio d'andar in peregrinaggio a piede a San Giacomo di Galizia, nella quale promessa l'accompagnarono don Raffaele, Leocadia e Teodosia ed ancora Calvetto il vetturino, cosa poco usata fra gente di quell'ufficio, per la bontade e franchezza ch'aveva conosciuto essere in don Raffaele, la quale l'obligava a non lasciarlo sin tanto che non ritornasse a casa sua.
E veggendo Calvetto che come peregrini dovevano andar a piede, ebbe da rimandar le mule a Salamanca.
Venuto il giorno della loro partenza, ed accomodatisi di schiavine e manteletti di corame e di tutto il necessario, pressero comiato dal liberale cavaliere, don Sancio de Cardona, al quale essi per essere stati da lui favoriti e ben trattati promisero che sempre mai, con tutti i loro, ne serbariano memoria e gliene averebbon obligo, non potendo altrimenti ricompensarlo.
Don Sancio gli abbracciò tutti, dicendo loro che il far quelle opere od altre buone a tutti quelli ch'egli sapeva overo si imaginava essere gentiluomini castigliani era cosa la qual nasceva da naturale sua condizione.
Furono duplicati gli abbracciamenti e con allegrezza, mischiata di qualche sentimento di tristezza, si separarono; e, caminando secondo che lo permetteva la tenerezza delle due novelle peregrine, arrivarono in tre giorni a Monserato; e dopo l'esserci fermati altretanti, a far le lor divozioni, continovarono il lor camino e senza disturbo alcuno gionsero a San Giacomo.
Sciolto che ch'ebbero il voto con la maggior divozione che potero, non vollero lasciare l'abito da peregrino sin che non fossero ritornati a casa, ove a poco a poco pervennero stracchi e contenti. Ma prima che arrivarvi, trovandosi a vista del luogo di Leocadia, scuoprirono dalla cima d'una collina quello di Teodosia non distante dall'altro com'abbiam detto che di quattro migli. Allora non potettero ritenere le lagrime che l'allegrezza di rivedergli lor trasse in sugli occhi e particolarmente alle due spose, a cui quella veduta rinovò la memoria de' loro passati successi.
Dal medesimo colle vedevasi un'assai larga valle, che divedeva l'un dall'altro i due sopradetti luoghi, ed in quella, all'ombra di un ulivo, viddero un forte cavaliere sopra un possente cavallo, con uno scudo bianco su il braccio sinistro ed impugnata dalla man destra una robusta lancia.
Mirandolo con attenzione, ancora viddero venire altri due con apparenza ed arme simili a quelle del primo comparso; ed essendosi messi insieme e stato per un poco di tempo, separaronsi l'un dall'altro; cioè, l'uno degli ultimi venuti, con quello che il primo era venuto a fermarsi sotto l'ulivo, e questi due, spingendo i loro cavalli, vennero ad urtarsi con le lancie con tanto impeto e non manco destrezza nello scansarsi dalli colpi, e nel ripararsene con gli scudi, che ben mostravano essere espertissimi in quello esercizio.
Il terzo cavaliere si stava a guardarli, senza muoversi dal suo posto. Ma non volendo don Raffaele e Marc'Antonio da sì lontano star a vedere così fatto combattimento, a tutto correre calarono dal colle, e dietro a loro le due spose; e ben tosto si posero appresso alli due combattenti, appunto quando cominciavano a ferirsi e malmenare. Et essendo all'uno caduto il capello e la celata che sotto avea, don Raffaele conobbe quello essere il suo padre; e l'altro, nel voltar la faccia, fu conosciuto da Marc'Antonio esser il suo.
Leocadia, che stava con grand'attenzione mirando quello delli tre il qual non combatteva, conobbe anche lei ch'egli era suo genitore, alla vista de' quali restaron tutti quattro stupefatti e fuor di sé. Tuttavia, quel primo moto lasciando luogo al discorso della ragione, i due cognati, senza metter tempo in mezzo, gittaronsi tra l'un e l'altro combattitore, dicendo ad alta voce:
Fermatevi, signori, fermatevi, che noi che ve ne supplichiamo siamo vostri figliuoli.
Io son Marc'Antonio, son quello, o signor padre, per chi com'io credo la veneranda vostra vecchiezza è venuta a questo pericoloso combattimento. Acchettate, vi prego, tanto furore che v'ha messo l'arme in mano, gittate via quella lancia, deponete quell'armature o voltatele contra altro nemico che quello v'avete davanti, il quale da qui innanzi a voi ha da esser fratello.
Con simili ragioni don Raffaele supplicava il suo padre, alle quali fermaronsi i due gentiluomini, guardando fissamente quelli che le dicevano. E voltata la faccia, viddero che don Sancio, padre di Leocadia, era smontato dal cavallo e si teneva strettamente abbracciato quello ch'essi credevano essere peregrino. Così, essendo Leocadia conosciuta dal padre, pregavalo ch'andasse a metter pace tra i due nemici, raccontandogli brevemente come don Raffaele l'era marito e Marc'Antonio di Tedosia.
Il che udendo il padre, tornò ad abbracciarla, poi la lasciò ed andò per metter d'accordo i due cavalieri. Ma non fu di bisogno ch'egli vi si affaticasse, perciò che avevano già riconosciuti i lor figliuoli e, messo piè a terra, gli tenevano abbracciati, spargendo padri e figli lagrime in abbondanza, nate da grand'amore ed indicibile contento.
S'unirono insieme i padri e, tornando a contemplare i figliuoli, non sapevan che cosa dirsi ma solamente lor tastavan i corpi, per vedere se quelli eran fantasme, perché la loro improvisa venuta gli recava questo sospetto.
Ma fatti certi della verità, ritornaron agli abbracciamenti ed alle lagrime.
In quel mentre, ecco apparire lungo la sopradetta valle gran quantità di gente armata a piè ed a cavallo che veniva alla difesa ciascuno del signore del luogo. Ma come s'appressarono e viddero ch'essi erano abbracciati con quelli peregrini, e le lagrime agli occhi, smontarono da cavallo e stettero sospesi da grand'ammirazione, sin che don Sancio lor disse in poche parole ciò che Leocadia sua figliuola gli aveva raccontato.
Allora tutti si fecero innanzi a salutare i pelegrini, con dimostrazione di sentirne tanto contento che non è cosa da poter dire.
Don Raffaele tornò di nuovo a raccontar a tutti, con quella brevità che 'l breve tempo ricchiedeva, tutto 'l successo de' suoi amori e come egli s'era ammogliato con Leocadia e Teodosia sua sorella maritata con Marc'Antonio, nuove le quali causarono nuov'allegrezza.
Incontanente dei medesimi cavalli di quelli che venuti erano al soccorso ne presero perché portassero i cinque pelegrini e s'accordarono d'andarsene al luogo di Marc'Antonio, che il padre di lui lor offerriva per celebrarvi le due nozze. Alcuni di coloro che a questo concerto s'erano trovati presenti s'inviarono davanti a portare alli parenti ed amici degli sposi quella buona nuova e domandarne loro la mancia.
E pel camino seppero don Raffaele e Marc'Antonio la causa della contesa dei lor padri ed era che il padre di Teodosia e quello di Leocadia avevano sfidato il padre di Marc'Antonio come consapevole degl'inganni che il suo figliuolo aveva fatti alle loro figliuole; et essendo i due venuti sul luogo del campo, ove trovaron solo lo sfidato, non vollero valersi contro di lui di alcuno vantaggio se non combatterlo ad uno ad uno, da bravi cavalieri com'erano.
Diedero grazie a Iddio i quattro pelegrini che fossero arrivati così a tempo in quella occasione ed avessero impedito il cattivo successo che poteva seguire.
E l'altro giorno, dopo la loro arrivata, fece il padre di Marc'Antonio, con gran magnificenza e splendidezza, celebrare le nozze di suo figliuolo e Teodosia e di don Raffaele e Leocadia, i quali vissero felici e contenti per molti anni in compagnia delle loro spose, lasciando nei lor figliuoli illustre generazione, la quale, ancor il dì d'oggi, vive ne' sopradetti due luoghi d'Andalogia. E la causa perché di quella discendenza qui si tace il nome è per guardar l'onore delle due donzelle, alle quali per avventura le lingue maldicenti, o scioccamente scrupolose, rinfaccierebbono a loro la leggerezza dei suoi desideri ed il subito mutamento dei loro vestiti. Io gli prego non voler biasimare simili scappate, o libertadi, ma prima pensino di sé stessi, se sono stati in qualche tempo tocchi dagli strali d'amore, cioè sforzati da quell'inevitabil forza che l'appetito sensuale fa sopra la ragione.
Calvetto ebbe in dono la mula di don Raffaele ed anche donativi dagli altri sposi. Et i poeti, quelli ch'eran allora in reputazione, ebbero da esercitare le loro penne in discrivere la bellezza ed i successi delle tanto ardite quant'oneste donzelle, soggetto principale di questa mirabil novella.