È rubbata Leocadia da Rodolfo che medesimamente, senz'esser conosciuto, le toglie l'onore e l'ingravida. Si parte di Spagna per Italia; ed essa in questo mentre partorisce un fanciullo, per il cui mezzo, con non pensato accidente riconosciuto chi le fece ingiuria, vien richiamato Rodolfo alla patria, nella quale con sua sodisfazione e contento universale poi la prende in moglie.
Una notte delle più calde dell'estate ritornavano dal Tago, fiume in Toleto, di donde erano stati a ricrearsi un nobile vecchio, la moglie, un picciolo fanciullo, la figlia di sedeci in diecisette anni e la serva.
La notte era chiara, l'ora tarda, la strada senza gente e l'andare di loro molto lento, affine di non pagare con stanchezza la pensione che portano seco li spassi che nel rio o nella vega si prendono in Toleto.
Con la sicurezza che la molta giustizia e la bene inclinata gente di quella città promette, veniva il buon signore lungi dal pensare a sinistro che li fosse potuto accadere;
ma come che il più delle disgrazie vengono impensatamente, così una li ne successe che, turbandoli affatto ogni allegrezza, li diede da sospirare molt'anni.
Viveva in quella città un cavaliere di età di ventidue anni incirca, il quale la ricchezza, la nobiltà, la mala inclinazione, la libertà soverchia e le compagnie libere avevano fatto ardito in guisa che il cognome di sfacciato communemente da tutti s'aveva acquistato.
Questo tale adunque, che per buoni rispetti tacendo il suo nome lo chiameremo Rodolfo, accompagnato da altri quattro com'esso spensierati, andava per la medesima strada che il gentiluomo veniva.
Incontrò lo squadrone de' lupi quello delle pecore
e Rodolfo co' compagni, copertosi il viso, con disonesta sfacciatagine si posero a rimirar la madre, la figlia e la servente.
Turbatosi il vecchio signore, incominciò a biasimare e riprender simil atto
ma, rispondendoli essi con burle e scherni, senz'arrischiarsi ad altro passarono avanti.
Nondimeno la molta bellezza che Rodolfo avea veduto nel volto di Leocadia (così vogliono si chiamasse la figlia) talmente li restò impressa nella memoria ch'in un subito a lei concorse con la volontà e se li destò un desio di goderla al dispetto di quanti inconvenienti da ciò potessero succedere.
In un instante fece comune questo pensiero a' suoi compagni ed in un medesimo instante si risolsero di tornare adietro a rubarla per dar gusto a Rodolfo,
essendo che li ricchi che danno nel prodigo sempre hanno chi va canonizando le loro vergogne et approvando per buoni li suoi mali costumi.
Così il nascere il mal proposito, il communicarlo a' compagni, l'approvarlo essi, il determinare di rubar la giovane ed il rubarla quasi fu una stessa cosa.
Si ricopersero di nuovo il viso e nudate le spade ritornarono adietro, giungendo fra poco quelli che neanco avevano finito di render grazie a Dio che dalle mani di que' prosuntuosi li avesse liberati.
Assalse Rodolfo la giovane e cogliendola in braccio si diede a fuggire, non avendo lei forza per difendersi, essendo per la paura rimasta senza voce per lamentarsi e senza luce per vedere, poiché svenuta senza sentimento né vide chi la portava né donde era portata.
Diede voci suo padre, gridò sua madre, pianse il picciolo fratello e si graffiò la serva;
però né le voci furno sentite, né li gridi ascoltati, né mosse a compassione il pianto, ned il graffiarsi fu di giovamento alcuno, perché il tutto copriva la solitudine del luogo, il silenzio della notte e le crude voglie de' malfattori.
Finalmente allegri andarono gl'uni, rimanendo sconsolati gl'altri.
Rodolfo arrivò alla sua casa senza impedimento alcuno e li genitori di Leocadia alla loro sconsolati, afflitti e disperati:
ciechi senza gl'occhi della figlia, ch'erano la luce de' loro,
confusi, non sapendo se fosse bene dar conto della loro disgrazia alla giustizia, pensando non fossero essi li principali stromenti a publicare il loro disonore.
Vedevansi bisognosi di favori, come nobili ma poveri,
né sapevano di che lamentarsi, se non della loro contraria fortuna.
Rodolfo intanto aveva in sua casa e nella sua camera la giovane, alla quale, ancorché sentisse quando la portava essere svenuta, pure aveva coperti con un fazzoletto gl'occhi,
perché non vedesse né la strada né la casa né la camera dond'era, nella quale, senza essere da alcuno veduto, a causa che teneva un appartamento separato nella casa del padre, ch'ancor vivea, e di quello aveva la chiave, facilmente era entrato. Poco aviso de' padri che ciò comportano a' figli.
Prima che in sé ritornasse Leocadia aveva Rodolfo di già dato effetto al suo scelerato desiderio, perché gl'impeti lascivi poche volte o nissuna si raffrenano nelle commodità e nelle occasioni che più gl'incitano e scaldano. Cieco della ragione, all'oscuro rubbò la miglior parte ch'in sé avesse Leocadia; e come che li peccati della sensualità per lo più non passano più avanti che all'intero compimento d'essi, così Rodolfo avrebbe voluto che allora allora Leocadia li si fosse dileguata e dalla presenza e dalla memoria; però subito pensò di metterla in istrada così svenuta com'ella era
e mentre si apprestava a questo sentì ch'ella ritornava in sé, dicendo:
E dove sono, sventurata me?
Che oscurità è questa?
Che tenebre mi circondano?
Sono nel limbo della mia innocenza o nell'inferno delle mie colpe?
Ohimè
da chi son io toccata?
Io sopra il letto, sconsolata me?
M'ascoltate voi, madre e signora mia?
M'udite, amato padre?
Ah sventurata me, ben comprendo che li miei non m'ascoltano e che sono in potere de' miei nemici.
Avventurata potrei chiamarmi se questa oscurità durasse sempre, sì che quest'occhi più non tornassero a vedere la luce del mondo e che il luogo dove ora sono servisse, qualunque egli si sia, di sepoltura all'onor mio, essendo che meglio è il disonore occulto che l'onore posto nell'opinione delle genti.
Raccordomi che poco fa io veniva in compagnia di mio padre
e che in istrada fui assalita,
onde chiaramente veggo non esser bene ch'io più comparisca fra gl'uomini.
O tu, chiunque ti sia che meco stai tenendo stretto per le mani Rodolfo, se fia che l'anima tua admetta priego di sorte alcuna, io ti priego che, già che hai trionfato dell'onor mio, trionfi ancora della vita,
non essendo bene che viva chi morto ha l'onore.
Pensa che il rigore meco usato in offendermi si temprarà con la pietà che usarai in amazzarmi
e così in un medesimo punto verrai ad essere e crudele e pietoso.
Lasciarono le parole della giovane in maniera confuso Rodolfo ch'essendo di poca età né sapeva che dirsi né che si fare, il cui silenzio diede molto di admirazione a lei, la quale per disingannarsi se era fantasma od ombra con chi parlava procurava con la mano di chiarirsene;
però toccando trovò essere corpo palpabile e, ricordandosi della forza fattale in istrada, cadeva nella verità della sua disgrazia,
di modo che tornò a rinovare le ragioni che li molti singulti e sospiri le avevano interrotte, dicendo:
Giovane prosuntuoso, che di poca età quello che tu hai commesso fa ch'io ti giudica, ti perdono l'offesa fattami con che solo mi prometti e giuri che, come l'hai coperta con questa oscurità, così pure la debbi coprire con perpetuo silenzio, non facendola nota ad alcuno.
Poca ricompensa ti chiedo di così grande aggravio,
benché dall'altra parte risguardando a me sarà la maggiore che mai sapessi addimandarti né che tu potessi darmi.
Pensa che mai ti vidi né bramo vederti,
perché, arricordandomi dell'offesa fattami, non voglio aver occasione di arricordarmi di chi la fece né conservare nella memoria l'imagine della cagione di tanto mio danno.
Fra me e 'l cielo passeranno li miei lamenti, senza curarmi che li senta il mondo, il quale ha per uso di giudicare le cose non conforme sono ma come da sé le va figurando.
Non so già com'io possa dirti questa verità che suole fondarsi nell'esperienza delle cose seguite e nel corso di molt'anni, essendo io di sì poca età che non arrivo alli diecisette,
per lo che mi do ad intendere che il dolore in un medesimo punto discioglie e lega la lingua del misero,
una volta essagerando il suo male, perché se lo credano,
ed altra tacendolo, perché non vi si trovi rimedio.
Di qualunque maniera o taccia o parla, credo debbia moverti a credere il mio male ed a rimediarvi, poiché il non credermelo sarà ignoranza e con il porvi rimedio è impossibile non vi si ritrovi qualche alleviamento,
né voglio disperarmi d'averlo costando a te sì poco il darmelo.
Non pensare che scorrendo il tempo abbia in me da temperarsi punto quella giusta rabbia e quello sdegno contro di te concetto né volere accrescere l'offesa col pensare di più godermi, anzi raccordati che già di me hai avuto quanto bramavi, che di questo modo meno si accenderanno li tuoi mali desideri.
Tu fa' conto di avermi offesa per accidente, senza che il discorso della ragione in te dominasse,
che io lo farò di non esser nata al mondo e che, se pure son nata, per altro non lo sono che per essere sventurata.
Mettimi in istrada o se così ti pare presso la chiesa maggiore, che di là saprò andare alla mia casa;
però devi giurare di non seguirmi né sapere ch'io mi sia, né il nome di mio padre, né quello de' miei parenti, perché se tanto ricchi quanto sono nobili similmente fossero non sarebbero in me così sventurati.
Perché non rispondi a questo? Forsi temi nella voce essere da me conosciuto? Lascia pure questo pensiero, perciò che in mia vita già mai ho parlato con altro uomo che con mio padre et con il mio confessore et da pochi, senza vederli, ho sentito in guisa ragionare ch'io sappia discernere nella favella li uomini.
La risposta che diede Rodolfo alla sventurata Leocadia ed a così prudenti ragioni non fu altro che di novo abbracciarla, dando segno di voler di novo col suo gusto confirmare in lei le sue vergogne.
Ma la giovane con più forza di quello che prometteva la tenera sua età incominciò diffendersi con li piedi, con le mani, con li denti e con la lingua, dicendo:
Fa' conto, traditore disanimato, e sia chi che sii, che quanto da me a forza hai tolto sia quello che potesti prendere da un tronco o da una colonna priva di senso, la cui vittoria, il cui trionfo tutto ha da ridondare in tua infamia e dispregio.
Però quello che ora pretendi non lo hai da ottennere se non con la mia morte.
Svenuta mi oprimesti ed anullasti l'onor mio ma ora che sono in me stessa prima potrai amazzarmi che vincermi. Che se desta senza farti resistenza ti concedessi quello che brami abominabile gusto, potresti imaginarti che finto fosse stato il mio svenire, mentre avesti ardire di contaminarmi.
Finalmente con tanta gagliardezza ed ostinazione si diffese che le forze a Rodolfo divennero fiacche e li desideri freddi.
Et come che la forza fatta a Leocadia da altro non aveva avuto principio che da un impeto lascivo, il quale cessato altro non resta che un pentimento o che un desire sfrenato di rimoverlo, né da questo mai nasce quel vero amore che si porta all'oggetto amato, così, freddo e stanco, Rodolfo senza dire parola lasciò Leocadia sola nella camera e serrata bene la porta si partì per consigliarsi di quanto avesse a fare co' suoi compagni.
Si accorse di esser rimasta sola la giovane, così levatasi dal letto di donde era ricercò tutta la camera, tentando con le mani il muro, per vedere se rittrovava uscio donde uscire o finestra donde precipitarsi.
Ritrovò la porta però benissimo serrata, diede di capo in una finestra che subito aperse, per la quale entrando lo splendore della luna puoté distinguere il colore di alcuni damaschi che adornavano il luogo.
Vide il letto, ch'era indorato e tanto riccamente composto che pareva più tosto da prencipe che da privato cavaliere,
annoverò le sedie, rimirò benissimo li scrini,
notò la parte dove l'uscio era posto e benché al muro appesi vedesse alcuni quadri pure non puoté con la vista discernere ciò che dipinto vi fosse;
la finestra era grande, adornata e chiusa da una grossa ferrata,
la cui vista cadeva in un giardino anch'esso d'altissime mura cinto, tutte difficoltà che all'intenzione sua di precipitarsi si opposero.
Quanto di ricco e di adorno notò in quella camera le fece credere che il padrone doveva essere uomo principale e ricco, non com'essa avrebbe voluto ma d'avantaggio.
Sopra uno scrigno presso la finestra vide un picciolo crocifisso di argento, il quale pres'ella e se lo pose in una manica della veste, non per divozione, o per furto, ma per un certo suo segreto dissegno.
Fatto questo riserrò la finestra e ritornò sopra il letto, aspettando che fine dovesse avere così tristo principio de' suoi infelici successi.
Non era a suo parere passata mezz'ora quando che sentì aprire la camera; ed appressatosi a lei uno senza dire parola, bendatili gli occhi con un fazzoletto, la prese in braccio e la portò fuori.
Era questo Rodolfo, il quale benché fosse andato per li suoi compagni si pentì però di ritrovarli, parendo a lui non fosse bene l'aver testimoni di quanto con la donzella aveva passato,
anzi che aveva proposto dirli che, mosso dalle sue lagrime, pentendosi l'aveva lasciata a mezza strada.
Con questo pensiero era sì presto ritornato per Leocadia, affine di metterla presso la chiesa maggiore, com'essa lo aveva pregato; davasi fretta in farlo, perché tardando e facendosi giorno la chiarezza non lo avesse sforzato tenerla in casa fino alla notte seguente, nel qual tempo non aveva pensiero di più usare con lei né di darli occasione che lo avesse a conoscere.
Condussela fino alla piazza della Radunanza, dove con voce mezza castigliana e mezza portughese le disse che sicuramente poteva andare alla sua casa, poiché da nissuno sarebbe stata seguita;
et prima ch'ella si sciogliesse dagli occhi il fazzoletto egli di già si era dilungato in modo che più non poteva esser visto.
Restò sola Leocadia, riconobbe il luogo,
mirò d'intorno né vide persona,
però sospettando che d'indi a poco non fosse seguita a ciascun passo si fermava e si rivolgeva adietro, di questa maniera andando, finché pervenne alla sua casa che d'indi poco lontana era.
Non entrò già nella sua propria ma sì bene in un'altra alla sua vicina, affine di levare la speranza se pure l'avessero seguita di riconoscerla. Da questa casa in un subito entrò nella sua, dove rittrovò li suoi genitori che con pensiero di mai prendere riposo altro non facevano che piangere.
Quando viddero lei tanto insperatamente entrare con le braccia aperte e con le lagrime agli occhi corsero subito a riceverla.
Ma Leocadia, invece di congratularsi, tutta nel volto turbata disseli che seco si ritirassero a parte; il che fecero essi ed ella con brevi parole raccontò la miserabile sua istoria, con tutte le circonstanze d'essa, e del non avere cognizione di chi rubbato l'aveva il suo onore.
Raccontò quanto veduto aveva nel teatro dove si rappresentò la tragedia delle sue disgrazie,
la finestra, il giardino, la ferrata, li scrigni, il letto, li damaschi, ed infine dimostrò il crocifisso che seco aveva portato,
dinanzi il quale si rinovarono le lagrime, si fecero preghiere, si chiesero vendette e si bramarono miracolosi castighi.
Soggiuns'ella che, abenché non bramasse venire in cognizione di chi li aveva fatto tanto male, che pure avrebbe potuto suo padre, ciò bramando, fare che li curati delle parochie avessero publicato nelle loro chiese chi perduta avesse la tal imagine la ritroverebbe in mano del tale religioso, che esso poi avesse segnalato,
e di quel modo venire in cognizione e della casa e del loro nemico;
al che replicò il padre:
Bene hai detto, figlia, ed avrebbe effetto la cosa, se la malizia ordinaria non si opponesse al tuo discreto pensiero, poiché chiaramente si vede che questa imagine si ritroverà meno in questo giorno nella camera che dici ed il padrone di essa ha da tenere per fermo nissuno avergliela tolta che chi stette con lui; ed il sapere ch'un tal religioso la tenghi presso di sé anzi ha da servire in sapere lui chi gliela diede che saper noi chi d'essa sia il padrone, perché può essere che altro venghi per lei, al quale il vero padrone, per non essere conosciuto, abbia dato tutti li contrasegni necessari;
ed essendo questo così, anzi rimarremo noi confusi che informati, benché servendosi ancor noi dello stesso stratagemma facessimo pervenire per terza persona l'imagine in mano del religioso.
Quello che devi fare, figlia, sia che la governi e che ti raccommandi ad essa che, se fu testimonio delle tue disgrazie, permetterà che abbi giudice in tua giustizia;
et avverti che più nuoce un'oncia di publico disonore che un rubo d'infamia segreta.
Così potendo tu vivere onorata con Dio in publico, non ti ramaricare di vivere teco in segreto disonorata;
il vero disonore consiste nel peccato ed il vero onore nella virtù.
Con le parole, con li desideri e con l'opere si offende Dio; e poiché tu né in detto, né in pensiero, né in fatto l'hai offeso, tienti per onorata, ch'io per tale sempre ti terrò né già mai ti risguarderò se non come tuo vero ed amorevole padre.
Con queste prudenti ragioni consolò il padre la figlia ed abbracciandola di nuovo sua madre procurò anch'essa di consolarla.
Ritornò ella alle lagrime ed ai sospiri ma, non potendo altro fare, si ridusse a coprirsi il capo come ritirata dal mondo ed a vivere vita da religiosa sotto la cura de' suoi genitori con vestito tanto onesto quanto povero.
Rodolfo intanto ritornato alla sua casa ritrovò meno il crocefisso e subito s'imaginò chi glielo doveva aver levato ma, come ricco ch'egli era, non ne fece conto né li suoi glielo chiesero, quando che d'indi a tre giorni dovendosi partire per Italia consignò il tutto ad una cameriera di sua madre.
Di già molto prima aveva Rodolfo intenzione di passarsene in Italia e suo padre, che molto tempo v'era stato, glielo persuadeva, dicendo non esser cavaliere quello che solo lo era nella patria ma che bisognava mostrarlo ne' paesi stranieri;
però queste ed altre ragioni disposero l'animo del giovane a sodisfare alla volontà del padre che li fece diverse lettere di cambio per Barcellona, Genova, Roma e Napoli; così egli si partì con due suoi compagni, subito goloso di quello ch'aveva sentito dire da alcuni soldati dell'abbondanza dell'osterie d'Italia et di Francia
e della libertà che nelli alloggiamenti avevano li spagnuoli.
Suonavali bene quello ecco li buoni polastri, piccioni, presciuto e salciccie, con altri nomi di queste lecarderie che li soldati si ricordano nel ritornare alle loro case e che passano per la strettezza ed incommodità degl'osti e dell'osterie di Spagna.
Finalmente si partì senza punto ricordarsi di quanto con Leocadia aveva passato, come che con lei già mai avesse avuto a fare;
ed ella fra tanto passava una vita ritirata in casa di suo padre senza lasciarsi vedere da persona alcuna, sempre dubitando non le leggessero nel viso tanta sua disgrazia;
però d'indi a pochi mesi s'avvide esserle forza di far quello ch'allora faceva di buona voglia,
perciò che, accorgendosi d'esser gravida, vide che le conveniva nascondersi dalle genti, per la qual cosa le lagrime, se non affatto tralasciate almeno in parte smenticate, cominciorno a scaturirle dagl'occhi, ed i lamenti ed i sospiri a ferire l'aria, senza che sua madre fosse parte per consolarla.
Scorse il tempo con l'usata prestezza, finché venne l'ora del partorire, che, dubitando ella in qualche modo non pervenisse all'orecchie altrui questo suo parto, non si fidò di persona vivente, neanco della stessa comare,
usurpandosi quest'ufficio la madre che nelle sue braccia accolse un fanciullo il più bello che imaginar si possa;
e con la stessa segretezza con che era nato fu portato fuori della città ad allevare, finché compiti ebbe li quattro anni, in capo de' quali sotto nome di nipote lo condusse l'avolo a casa, dove lo crearono se non molto ricco, almeno molto virtuosamente.
Era il fanciullo, che chiamarono Luigi per esser tale il nome dell'avo, di volto bellissimo, di condizione mansueta, di acuto ingegno ed in tutte le azioni che in quella tenera età faceva dava segno di esser figlio di padre nobile, facendo di modo la sua bellezza, la sua grazia e la sua conversazione innamorare il padre e la madre di Leocadia che riputavano ventura la sventura della loro figlia, avendosi con quel mezzo guadagnato nipote di tal sorte.
Mentre passava per una strada li piovevano sopra le migliaia delle benedizioni,
benedicendo l'uno la sua bellezza, l'altro la madre,
un altro il padre ed un altro chi con tanta creanza e costume l'allevava.
Di questo modo il fanciullo, amato e da chi lo conosceva e da chi non lo conosceva, pervenne all'età di sette anni, nella quale di già sapeva leggere latino, volgare ed iscrivere lettera molto buona e formata, essendo l'intenzione dell'avo di allevarlo virtuoso e savio, già che non poteva ricco, come che le vere ricchezze fossero le virtù sopra le quali non hanno forza né i ladri né anco la fortuna stessa.
Or accadé che un giorno, andando questo fanciullo inviato dall'avola a casa d'una sua parente, si abbatté passare per una strada, dove alcuni cavalieri correvano la carriera;
ed invitato dalla curiosità si fermò per un poco a rimirare e, per mettersi in miglior posto, passò da una parte all'altra della strada in tempo che un cavaliere, essendosi mosso a tutto corso del suo cavallo, non fu bastante a ritenersi,
sì che, gettandolo per terra e calpestandolo, lo ferì in maniera che passando col cavallo innanzi lo lasciò per morto, uscendoli molto sangue dalla testa.
Appena ciò successe che un cavalier vecchio, veggendo di quella maniera il fanciullo steso, con incredibile leggerezza saltò da cavallo e corse dove, di già levatolo da terra, lo teneva uno fra le braccia, dal quale toltolo, senza risguardare alla sua molta dignità che e la nobiltà e il crine tutto bianco li davano, con molta fretta si diede a caminare, ordinando alli suoi che, tralasciato il seguirlo, procurassero di un cirugico che curasse il fanciullo.
Molti cavalieri lo seguirono, dolendosi in estremo della disgrazia di sì bel fanciullo, che, da molti conosciuto per Luigi nipote del tal cavaliere e nominando suo avolo,
fecero sì che, spargendosi in un subito questa voce, pervenne all'orecchie di don Luigi suo avolo e della sconosciuta sua madre; ed ambidue, benissimo certificati del caso, come furiosi e pazzi si posero a cercare del loro amato figlio. Li fu detto da quelli che per la strada incontrarono come il tal cavaliere l'aveva portato a casa ed essi, per esser lui molto principale, conoscendolo s'inviarono verso la sua casa e vi arrivarono in tempo che di già il cirugico lo curava.
Il signore della casa e la moglie pregarono don Luigi e Leocadia, de' quali credevano fosse figliuolo, che non piangessero né che tampoco alzando la voce si lamentassero per esser questo di nissuno giovamento al fanciullo.
Il cirugico, che nella sua professione era molto valoroso, considerata la qualità del male disse che non era mortale la ferita, com'esso da principio aveva dubitato, e che si stessero di buona voglia, che fra poco sperava ridurlo nella pristina sanità.
Il fanciullo, che fino allora era stato tramortito, ritornando in sé stesso e veggendo presente li suoi si rallegrò molto e disseli, avendolo essi interrogato come si sentiva,
che dal dolore di testa in poi non si sentiva altro.
Ordinò il cirugico che lasciatolo solo lo lasciassero riposare,
il che essi fecero, ringraziando per infinito don Luigi il padrone della casa di quanto aveva fatto al suo nipote;
ma lui li rispose che soverchio era il renderli grazie, stando che in fare quel bene a quel fanciullo parevali di farlo ad un suo figlio unico che in Italia aveva, soggiungendo come appena vidde il picciolo figliuolo per terra di quella maniera calpestato, ricordandosi del suo al quale nelle fatezze tanto somigliava, mosso da una certa pietà interna lo aveva portato alla sua casa, nella quale pensava di ritenerlo finché del tutto si fosse risanato, facendoli quella servitù e quelle carezze che per lui fossero stato possibili;
promise lo stesso e molto più la moglie del cavaliere ch'era una signora molto nobile e principale.
Rimase molto admirato don Luigi della tanta bontà del cavaliere
e molto più Leocadia, la quale con la buona nova dattale dal cirugico della salute del figlio, avendo dato alquanto di riposo a' suoi travagliati spirti, rimirò con molta attenzione la camera donde suo figliuolo riposava e chiaramente conobbe a molti segni essere quella la stanza nella quale si aveva posto fine al suo onore e dato principio alla sua disgrazia; et benché non fosse adorna de' damaschi di allora, pure riconobbe la positura di essa, vidde la finestra con la ferrata che risguardava nel giardino
e molto più di ogn'altra cosa riconobbe lo stesso letto che sepoltura del corpo, come lo era stato dell'onore, avrebbe voluto che fosse stato quella notte. Vide lo stesso scrigno sopra il quale aveva tolto il crocifisso nello stesso luogo;
finalmente d'ogni sospetto la trassero e del vero la certificarono li gradi della scala che in condurla Rodolfo in istrada cogli occhi bendati per paura di precipitarsi aveva annoverati, li quali gradi similmente nel ritorno che fece alla sua casa considerando ed annoverando,
ed aggiungendovi tutte le altre cose, ritrovò vero quanto si imaginava. Fece del tutto consapevole la madre, la quale come prudente fece diligenza per sapere se il cavaliere aveva od aveva avuto figliolo maschio
et ritrovò che sì, poiché Rodolfo, che abbiam detto allora dimorante in Italia, era desso; considerò il tempo che da Spagna mancava e vidde che li stessi sette anni che il suo nipote aveva;
della qual cosa fattone consapevole il marito, determinarono fra loro e Leocadia di aspettare che fosse del figliuolo, il quale fra quindici giorni si levò di pericolo ed in capo alli trenta si levò sano del tutto, nel qual tempo sempre fu visitato dalla madre e dall'avola ed accarezzato da' signori della casa come loro proprio.
Diceva molte volte donna Esteffania, che tale era il nome della signora della casa, parlando con Leocadia, che quel fanciullo tanto rassomigliava un suo che in Italia aveva che quante volte lo rimirava sempre parevale di averselo davanti gl'occhi;
dal che prese una volta occasione Leocadia di dirli quanto con suo padre aveva determinato che furno queste o simili parole:
Quel giorno, signora mia, che li miei genitori sentirono la mala novella che il loro nipote tanto miseramente giaceva calpestato e ferito, pensarono che il cielo per loro girasse contrario e che il mondo affatto fosse desolato,
mancandoli la luce degli occhi loro ed il bastone della loro vecchiezza, ch'è questo fanciullo di sì intenso amore da loro amato che di gran lunga eccede quello degli altri padri;
ma come si dice in proverbio che se Dio dà il male dà ancora la medicina, così appunto questo fanciullo halla ritrovata in questa casa ed io insieme la rimembranza di cosa che mai sarò per ismenticarmi, mentre avrò vita.
Io, signora, son nobile, che così sono li miei genitori e sempre furno li antenati della mia casa, li quali con que' beni che mediocremente la fortuna loro concesse sempre hanno sostenuto felicemente, ovunque siano stati, il loro onore.
Confusa rimaneva donna Esteffania, non potendosi indurre a credere come in sì poch'anni, che di venti incirca la giudicava, potesse Leocadia tanto sapere, pure senza dire parola stette ad ascoltare quanto disse, che fu la sfacciataggine del suo figliuolo, il disonore di lei, il bendargli gli occhi, il rapimento, il condurla in quella camera e li contrasegni per li quali era venuta in chiarezza della verità,
in confirmazione della qual cosa trasse dal seno il crocifisso che seco aveva portato, al quale rivolta disse:
Tu, signore, che fosti testimonio della forza fattami, siami giudice della sodisfazione che mi si deve.
Ti tolsi da quello scrigno, affine di sempre raccordarti del mio agravio, non già per chiederti vendetta, che non la bramo, ma perché consolandomi m'insegnassi a portare in pace le mie disgrazie.
Questo fanciullo, signora, al quale tanto amore avete dimostrato, è vostro vero nipote.
Permise il cielo ch'egli fosse calpestato, perché portandolo in vostra casa io ritrovassi in essa, come spero, se non quel rimedio al mio male ch'è più opportuno, almeno modo di alleggerirlo in parte.
Ciò dicendo, abbracciato il crocefisso, lasciò svenuta cadersi nelle braccia di donna Esteffania, la quale, come donna e nobile, che in simili la compassione e la misericordia suol essere tanto naturale come negl'uomini la crudeltà, appena si accorse dello svenimento di Leocadia che, appressato il suo volto a quello di lei, sparse tante lagrime che non fu bisogno d'altra acqua per farla ritornare in sé stessa.
Di questa maniera stando le due, venne a caso il cavaliere nella camera, conducendo seco a mano il fanciullo, e vedendo la moglie in quella guisa sopra la giovane piangere, con molta instanza richiese la cagione di questo.
Il fanciullo similmente abbracciando la madre come cugina e l'avola come benefattrice addimandava perché piangevano.
Gran cose, signore disse donna Esteffania a suo marito, sono quelle che vi si hanno a raccontare, il fine delle quali sia che da qui avanti teniate per vostro nipote questo fanciullo e sua madre, che qui svenuta vedete, per figlia.
Questa verità mi ha raccontata questa misera giovane e la mi ha confermata e tuttavia conferma il volto di questo fanciullo, nel quale ambidue abbiamo veduto quello di Rodolfo nostro figlio.
Se più chiara non mi fate la cosa, signora disse il cavaliere, io non v'intendo.
Ritornò in questo mentre Leocadia in sé stessa, la quale, abbracciato il crocefisso, pareva conversa in un mare di lagrime,
il che maggiormente tenne sospeso il cavaliere ma la moglie con molta destrezza li raccontò quanto da Leocadia aveva inteso, sì che chiarì il marito,
il quale, bacciando il nipote ed abbracciando la madre, rendeva grazie al cielo di questo.
Spedirono subito a Napoli un corriero a Rodolfo, avisandolo come lo avevano proveduto d'una moglie bella e nobile, quale appunto a lui si conveniva, che pertanto ritornasse con molta prestezza in Ispagna a celebrare le nozze,
del che egli sopra modo goloso d'indi a due giorni con li due suoi compagni, che sempre seco erano stati, di compagnia si partì di Napoli, offerendolesi buona occasione di quattro galere che partivano per Spagna. Imbarcatosi dunque, spirandoli favorevole il vento in dodeci giorni arrivò a Barcellona e d'indi per la posta in altri sette si fece in Toleto, andando subito alla casa del padre tanto leggiadro e bizzarro che ben pareva in lui fosse tutta la leggiadria e la bizzaria raccolta.
Rallegrossi suo padre e fece festa sua madre della felice ritornata
e confusa rimase Leocadia che da parte lo stava rimirando; e questo per non uscire del concerto dato da donna Esteffania
che anco fece onesta forza alli due compagni, perché non andassero alle loro case, come bramavano fare, avendo per un suo disegno di loro bisogno.
Era poco lungi la notte quando venne Rodolfo ed intanto che si apparecchiava la cena chiamò a parte donna Esteffania li due compagni, credendo senza dubbio dovevano questi esser due delli tre da Leocadia accennati, e con molte preghiere li richiese se si ricordavano che la tal notte del tal anno aveva suo figlio rubbata in tale strada una giovane,
aggiungendo essere molto necessario il sapere questa verità, per la quietezza ed onore di tutti li suoi parenti.
Insomma tanto seppe dire, assicurandoli che non era il palesarlo altro che un farne risultare cosa di gusto e a Rodolfo e a loro stessi, che tolsero in bene il dirle quanto essa bramava.
La confessione delli due fu la chiave che aperse tutti li dubbi ch'in tal caso si fossero potuti offerire; e così determinò condurre a fine il suo buon pensiero che fu questo:
poco prima di assentarsi a cena condusse Rodolfo in una camera e cavato fuori un ritratto li disse:
Figlio, prima che ti ponghi a mangiare, voglio consolarti con la vista della tua sposa;
prendi e rimira questo ritratto;
ma avverti che, se manca in bellezza, sovrabonda però in virtù;
ella è nobile, prudente e mediocremente ricca.
Di già tuo padre meco te l'ha scelta, assicurati ch'ella è tale quale ti si conviene.
Risguardò con attenzione Rodolfo e disse:
Se i pittori, che d'ordinario sogliono essere prodighi ne' colori, hanno tenuto lo stesso stile con questa figura, senza dubio che l'originale dev'essere la stessa bruttezza.
Veramente, madre e signora mia, conosco esser obligo dei figli obedire li loro genitori nelle cose che li commandano
ma dall'altra parte è anco vero che dovrebbono li padri procurare di dar gusto a' loro figli nelle cose che lo comportano. Et essendo che il matrimonio è un nodo che non si scioglie se non per morte, fia dunque bene che i lacci di questo nodo siano fabricati d'uno stesso filo e d'una stessa uguaglianza.
La virtù, la bontà, la prudenza ed i beni di fortuna ben è vero che possono rallegrare quegli cui è dato in sorte goderli nella sua sposa
ma che la bruttezza di lei sia bastante rallegrare gl'occhi del marito parmi cosa impossibile.
Io sono giovane e tale che posso dirmi fanciullo, però è di dovere che nel matrimonio io goda que' diletti che gl'altri maritati godono, che se manca questo va zoppo il matrimonio e troppo disdice alla seconda intenzione,
perché il pensare che un volto brutto che tutte l'ore s'ha da tener avanti gl'occhi in sala, a tavola, in letto possa dilettare torno di nuovo a dire che mi pare cosa impossibile;
per vita vostra, madre, datemi una compagna che a trattenere m'abbia e non a tediare, acciò che senza punto torcersi dal dritto camino egualmente possiamo portar questo giogo, finché di noi altro poi destini il cielo.
Se questa signora, come dite, è nobile, prudente e ricca, non le mancherà sposo di differente umore del mio.
Alcuni cercano nobiltà, altri prudenza, altri ricchezza ed altri bellezza;
io son degl'ultimi,
poiché di nobiltà, ringrazio il cielo e mio padre che me l'ha data, non son inferiore ad altro in questa città,
della prudenza, come una donna non sia goffa del tutto e ripiena di melensagine, bastale che di sé troppo non presuma o che per esser stolta non sia di danno;
delle ricchezze poi quelle di mio padre non mi lasciano temere ch'io abbia ad esser povero;
la bellezza cerco, la bellezza voglio né con altra dote di quella dell'onestà e de' buoni costumi,
che, se questo ritrovo nella mia sposa, servendo a Dio con gusto farò contento nella vecchiezza mio padre.
Rimase a queste parole contentissima la madre, pensando come se le andava effettuando il suo disegno,
però le disse non si prendesse affanno, che non sì innanzi era il trattato con quella signora che non si fosse potuto disfare ogni cosa e di quella maniera procurare di darli moglie conforme a' suoi desiri.
Reseli grazie Rodolfo; ed essendo venuta l'ora della cena si misero a tavola,
alla quale essendosi assentato il padre, li due compagni, Rodolfo e la madre erano per cominciar a mangiare quando che donna Esteffania, con una certa finta trascuraggine levatasi in piedi, disse:
Smemorata ch'io sono, e come tratto l'ospita mia?
Andate voi e fece cenno ad uno di casa dalla signora Leocadia e ditele che senz'alcun rispetto venga, poiché questi tutti sono miei figli e suoi servitori.
Era questa un'invenzione, però del tutto era informata Leocadia,
la quale poco stette a comparire, facendo di sé la più graziosa mostra del mondo;
era, per essere d'inverno, vestita con una veste di veluto nero carica di bottoni d'oro, un cinto ed un collare ornato con molti diamanti;
li suoi stessi capelli, ch'erano lunghi e biondi, le servivano di velo, acconci con una sì nuova invenzione di lacci ed anelli che con la luce de' diamanti in essi intrecciati toglievano la vista a' risguardanti.
Era bellissima quanto al corpo, con una faccia tanto allegra che non si poteva bramar di più;
conduceva seco a mano il picciolo fanciullo, essendo essa accompagnata da due donzelle che le givano innanzi con due candelieri d'argento in mano.
All'arrivo di lei tutti si levarono in piedi a farle riverenza, come che a cosa del cielo miracolosamente ivi comparsa,
rimanendo tutti stupidi di tanta bellezza.
Leocadia allora con una certa grazia et gentile creanza si chinò a tutti, prendendola donna Esteffania per la mano, tanto che la fece assentare presso lei, e dirimpetto a Rodolfo,
ed il fanciullo vicino all'avo.
Rodolfo, che più da presso mirava l'incomparabile bellezza di Leocadia, fra sé diceva:
Quanto potrei dirmi avventurato, se la metà di questa bellezza avesse colei che mia madre m'ha scelta per isposa!
O cielo,
che vedo?
È questo per avventura alcun angelo in volto umano?
Andavaseli in questo imprimendo nell'anima la bellissima imagine di lei, la quale, tanto che li servi mettevano le vivande in tavola, vedendo sì vicino colui che di già più che la luce degl'occhi suoi amava, rimirandolo alcun tanto di furto le tornò alla mente quanto seco aveva passato,
però cominciarono ad indebolirsele quelle speranze che d'esserle sposo le aveva date la madre, temendo che alla poca sua fortuna solo dovessero corrispondere le promesse e non gl'effetti.
Pensava quanto presso era il termine di chiarirsi se doveva essere avventurosa o sventurata per sempre;
e di tanta forza fu questa considerazione, e sì profondi questi pensieri, che in modo le strinsero il cuore che incominciò sudare ed a poco a poco perdere il colore, sovragiungendole uno svenimento tanto grande che fu sforzata bassare la testa nelle braccia di donna Esteffania che, tutta conturbata in questa guisa veggendola, agiatamente la fece posare.
Rimase ciascuno da questo sì improviso accidente confuso che lasciando la tavola, correndo per rimediarla non sapevano che farsi;
però chi più degl'altri diede segno sentirne fin dentro l'anima fu Rodolfo, il quale volendo correre anch'esso a lei cadde due volte per terra.
Di nissun giovamento fu l'averle aperta la veste sul petto ed il gettarli acqua fresca nel volto;
anzi, che il petto alterato ed il polso che non li trovavano davano espressi segnali della sua morte; e le serventi ed i servidori di casa come inconsiderati diedero voce della sua morte
e fecero sì che pervenne quest'amara novella all'orecchie de' suoi genitori, che donna Esteffania insieme con il curato aveva nascosti in disparte a fine di maggior gusto e contento,
li quali rompendo l'ordine uscirono ed andarono nella sala sospirando e piangendo.
Corse il curato per vedere se dava alcun segno di pentimento de' suoi peccati per assolverla;
ma invece di uno svenuto ne ritrovò due, poiché Rodolfo sopra il volto di lei, spargendo abbondantissime lagrime e perdendo a poco a poco le forze, era lasciato cadersi.
Era stata di questo cagione la madre, che, dandoli campo d'abbracciarla come cosa che doveva esser sua, egli sovrapreso dal dolore lasciò, come abbiam detto, cadersi;
ma veggendolo essa in quella guisa senza sentimento, fu in punto di svenire anch'essa; e lo faceva, se non che ritornando in sé Rodolfo tutto confuso e pieno di vergogna perché lo avessero veduto commettere tali estremi,
si ritenne per consolarlo, dicendo:
Non ti vergognare di quanto hai fatto, figlio, poiché più tosto avrai occasione di lamentarti di quello che non facesti, sapendo quello che non sono per più tenerti celato, ancorché determinato avessi non palesarlo fino a migliore congiuntura;
sappi adunque, figlio dell'anima mia, che questa, la quale svenuta vedi nelle mie braccia, è la tua vera sposa,
cioè quella che da tuo padre e da me ti è stata scelta, essendo falsa quella del ritratto.
Rodolfo questo sentendo, portato dall'amoroso suo desio, levandoli il nome di sposo quanto che e l'onestà e la decenza del luogo li davano di disturbo, mise il suo volto sopra quello di Leocadia ed appressando la bocca a quella di lei pareva aspettasse che l'anima le uscisse per riceverla esso nella sua;
però quando più le lagrime di ciascuno crescevano, le voci s'innalzavano e li gridi del fanciullo penetravano il cielo, ritornò in sé Leocadia, ritornando insieme ogni cosa in contento ed allegrezza.
Ma veggendosi nelle braccia di Rodolfo voleva con onesta forza staccarsene, il che non acconsentì lui dicendo:
No, signora mia, che non è di dovere vi partiate dalle braccia di chi già vi tiene nel cuore.
Ricovrò del tutto a queste parole Leocadia li suoi smarriti spirti; e donna Esteffania, per dar fine al suo disegno, disse al curato che subito li sposasse ambidue,
il che fece egli, non essendovi difficoltà che ostasse a questo, per esser tale la volontá delli due contraenti il matrimonio. Altra penna ed altro ingegno che 'l mio sarebbe di mestieri a raccontare l'allegrezza ed il contento universale di tutti quelli che vi si trovarono presenti,
li abbracciamenti che li genitori di Leocadia fecero a Rodolfo, le grazie che resero al cielo, le offerte d'ambedue le parti, l'admirazione delli due compagni che sì impensatamente viddero la stessa notte del loro ritorno celebrare sì vago sponsalizio, e molto più quando che donna Esteffania raccontò esser quella la donzella che Rodolfo in loro compagnia aveva quella tal notte rubbata; della qual cosa non meno confuso e admirato rimase Rodolfo
che, per certificarsi di questo, pregò la sua sposa a darli alcun segnale perché egli maggiormente venisse in cognizione della verità;
a cui ella per gratificarlo li disse:
Quando io ritornai in me stessa dello svenimento ch'ebbi, mi ritrovai nelle vostre braccia senza onore; però tengolo per bene impiegato, stando che nel ritornare che ho fatto or ora in me stessa mi sono similmente ritrovata nelle braccia d'allora, però onorata.
Et se questo segno non basta, bastavi quello di un crocefisso toltovi, che la mattina seguente ritrovaste meno,
ed è lo stesso che ora tiene la signora vostra madre.
Adunque disse Rodolfo, voi sete l'anima mia e sarete tutto quel tempo che a Dio piacerà siate, ben mio.
E di nuovo baciandola ed abbracciandola li furno di nuovo date le benedizioni e desideratoli ogni bene da tutti.
Vennero alla cena prima tralasciata, alla quale erano musici a questo effetto apparecchiati.
Specchiavasi Rodolfo nel volto del suo picciolo figliuolo e come in uno specchio lucidissimo vedeva sé stesso.
Piansero per allegrezza li due padri e le due madri,
non rimanendo cantone nella casa che non sentisse del giubilo e contento;
e benché la notte purtroppo si fosse avanzata, volando con le leggieri e nere sue ali, pure pareva a Rodolfo il contrario, sembrandoli anzi che storpiata andasse con le gruccie, non vedendo l'ora di ritrovarsi da solo con la sua amata sposa.
Venne infine il tempo desiderato, non essendovi cosa al mondo che non termini,
e ciascuno andò a riposarsi, rimanendo il tutto sepolto nel silenzio, nel quale già non rimase la verità di questo fatto, che non lo consentirono i molti figli e l'illustre discendenza ch'hanno in Toleto; ed ora vivono questi due avventurati sposi che molt'anni hanno goduto di loro stessi ed ora godono de' figli e de' nepoti; il tutto permesso dal cielo per la forza del sangue che sparso vidde nel suolo il valoroso, illustre e cristiano padre di Rodolfo.