Leocadia, ritornando una sera da spasso col padre e colla madre, vien rapita da un giovine gentiluomo. Costui se la porta via a casa tutta tramortita e, mentre ch'ella è priva di sentimento, ei la viola. Et in quello che la giovine comincia a riscuotersi, egli le benda gli occhi e la mette sulla strada. Ella se ne ritorna a casa del padre, ove dopo molti sospiri e pianti si consola con un crocifisso che segretamente ella aveva preso in casa di colui che l'aveva strupata. In capo a nove mesi ella partorisce un puttino bellissimo a meraviglia, il quale miracolosamente vien ad esser riconosciuto e riparato l'onore della madre con l'essere sposata col suo rapitore.
Una sera della stagione la più calda dell'anno, un vecchio gentiluomo in Toledo ritornava da spasso da lungo il fiume con la moglie, un figliuolino, una figliuola di sedici anni ed una serva.
La notte era chiara, le tre ore suonate; non era più nessuno sulla strada e quella compagnia caminava a passo lento, per non pagare troppo caro colla stracchezza il gusto che si piglia lungo il fiume o la pianura di Toledo.
Il buon gentiluomo, fattosi sicuro dalla sicurezza che la buona giustizia e gli ottimi costumi di quelli cittadini promettono, se ne veniva con l'onorata sua famiglia molto lontano dal pensare che nessuna disgrazia occorrer gli dovesse.
Ma, come tutte quelle che sopragiongono non sono state pensate, così, quando egli non ci pensava, gliene successe una che turbò quel suo gusto e lor diede da piangere per molti anni.
Allora in quella città stava un gentiluomo di anni ventidue, a cui il sangue illustre, la ricchezza, l'inclinazione sviata, la troppa libertà e le cattive compagnie con chi ei praticava facevano far delle stravaganze che non convenivano alla sua qualità, gli davano nome di rompicollo.
Ora questo gentiluomo, di cui per buon rispetto taceremo il nome e gli daremo quel di Ridolfo, con quattro amici suoi tutto allegri e tutto insolenti, scendendo per l'istessa costa che 'l vecchio gentiluomo saliva,
s'incontrarono l'agnelle ne' lupi.
Ridolfo ed i suoi compagni con maniere insolenti e le faccie coperte co' ferraiuoli mirarono la madre in viso, la figliuola e la serva.
Il buon vecchio turbossi tutto e lor rinfacciò l'insolenza;
eglino gli risposero con beffe e burle e senza fare altro sproposito caminaron innanzi.
Però la gran bellezza che Ridolfo avea veduta nella faccia di Leocadia (così era il nome della figliuola) cominciò a stamparsegli di modo tale nella mente che ne restò ardentemente acceso e nacque in lui il desiderio di goderla, n'arrivasse che che potesse;
ed all'istante comunicò alli compagni il suo pensiero ed in un altr'istante si risolvettero di ritornare e rapirla, per favorire i gusti di Ridolfo:
così li ricchi liberali trovano facilmente chi approvi i lor cattivi disegni e canonizi le loro ingiustizie.
Il mal pensiero, il comunicarlo, l'approbarlo ed il mandarlo ad effetto nel rapir Leocadia fu quasi tutto in un tempo.
S'ascosero le faccie con sopravi lor fazzoletti e sfoderate le spade tornarono indietro ed a pochi passi raggionsero e s'avventarono addosso a quelli che appena finivano di ringraziar Dio che gli avesse liberati da quegli insolenti.
Ridolfo diede di piglio a Leocadia e portandola in braccio prese a fuggire. Ella non ebbe forza da potere difendersi ed il ripentino insulto, levandole la voce, le vietò il lamentarsi ed anche la luce degli occhi, perché svenuta non vidde da chi né dove fosse portata.
Si dette a gridar suo padre, a stridere sua madre, a piangere il suo fratellino e la serva a graffiarsi il viso;
ma non furon le grida udite, né le strida sentite, né 'l pianto commosse a compassione, né i graffi giovarono, perciò che il luoco deserto, il silenzio della notte ed i cuori di quei crudeli non avevan orecchi.
Infine, gli uni se n'andarono allegri, gli altri restarono afflitti e sconsolati.
Senza impedimento alcuno gionse Ridolfo a casa sua ed alla loro i padri di Leocadia da gran dolore quasi disperati.
Privi della figliuola erano diventati ciechi, perch'essa era la luce degli occhi loro,
e non avendo più la sua dolce e grata compagnia restavan come solitari;
insomma si ritrovavano confusi, senza sapere se dovessero o no riferire alla giustizia l'infame caso, e querelarsi, e timorosi d'esser il principale stromento che palesasse quel disonore.
Vedevano, com'a poveri gentiluomini, mancargli il favore;
e finalmente non sapevan di chi dolersi, se non della loro disgrazia. Fra tanto Ridolfo, astuto e sagace, tenevasi già Leocadia in casa e nella propria camera; e, quando che nel portarsela s'accorse ch'ella veniva meno, le cuoprì gli occhi con uno fazzoletto,
acciò che non vedesse e notasse le strade per dove la passava né la casa e la camera nella quale era condotta, perché il padre di lui, ch'ancor viveva, gli aveva dato un appartamento ed egli ne teneva la chiave: grand'errore de' padri, che pensano ritener i figliuoli ne' loro termini, lasciandogli così vivere separatamente.
Innanzi che Leocadia si riscuotese dal suo tramortimento, Ridolfo s'ebbe sodisfatta la voglia, perché gl'impeti della gioventù non casta poche volte, o nessuna, non istanno a considerare il tempo ma solamente si vagliono delle comodità che più gl'incitano.
Così egli, fatto cieco della luce dell'intendimento, nel buio delle tenebre, rapì a Leocadia la gioia la più preziosa ch'ella s'avesse. E sì come la maggior parte de' peccati della sensualità non passano oltra i termini dell'effetto e gusto seguiti, Ridolfo avesse voluto che Leocadia allora fosse stata indi molto lontana; per il che gli venne in pensiero metterla sulla strada così svenuta com'era.
Ma in quello ch'egli s'accingeva a dargli effetto, ei sentì ch'ella tornava in sé, dicendo:
Ohimè, meschina, dove son io?
Che oscurità è questa?
Che tenebre ho io attorno?
Sono nel limbo della mia inocenza o nell'inferno de' miei peccati?
Giesù,
chi mi tocca?
Io in letto? Ah misera me!
Mi sentite voi, dolce madre e signora mia?
Mi sentite, amato padre?
Ahi lassa me, ora sì ch'io conosco che né padre né madre m'odono e che mi toccano i miei nemici.
O che felice sarei io, se questa oscurità durasse eternamente e se gli occhi miei mai più vedessino luce in questo mondo, e se il luoco, ch'egli sia, nel quale mi ritrovo fosse la sepoltura del mio onore, poiché il disonore non conosciuto vale più dell'onore che solamente sta nell'openion delle genti.
Pur mi ricordo, e volesse Iddio che non mi ricordassi, che poco fa io veniva in compagnia de' miei padri.
Io mi ricordo che di repente fui assaltata;
e già m'imagino e veggo che non sta bene che la gente mi vegga.
O chi che tu ti sii che qui con meco sei ed in dicendo questo ella teneva strette le mani di Ridolfo, se tu hai l'anima capace di conceder un priego, pregoti, poiché m'hai tolto l'onore, di tormi ancora la vita;
torlami or ora, che non la deve più godere quella ch'ha perduto l'onore.
La crudeltà che m'hai usata nell'offendermi sarà da scusare per la compassione che averai di me facendomi morire;
e così in un tempo sarai stato crudele e pietoso.
Le parole e la querela di Leocadia fecero rimaner Ridolfo tutto confuso e, come giovane di poca esperienza, non sapeva che dirsi né che fare. Et il suo silenzio causava maggior meraviglia a Leocadia, la qual tastando con le mani procurava disingannarsi se quello che le stava allato fosse fantasma od ombra.
Ma conoscendo che toccava un corpo e ricordandosi della violenza usatale in presenza dei suoi padri, ella era fatta chiara della sua disgrazia.
Con questa certezza tornò a proseguire le sue querele, che i molti singhiozzi e sospiri avevan interrotte, e così diceva:
Giovine temerario, che 'l tuo procedere mi dà ben ad intendere che sei di pochi anni, io ti perdono il torto che m'hai fatto, pur che mi prometti e giuri che, come l'hai coperto con quest'oscurità, lo coprirai ancora d'un silenzio perpetuo.
La ricompensa che ti domando per così fatto oltraggio è poca cosa;
nulladimeno ella sarà per me la maggiore ch'io sapessi domandarti e tu potessi darmi.
Sappi e considera che non ho mai veduta la tua faccia, manco veder la voglio,
perché, quantunque mi si ricorda della offesa che mi fu fatta, non voglio però ricordarmi dell'offensore né serbare nella memoria l'imagine dell'autor del mio danno.
Fra di me ed il cielo passeranno i miei lamenti, senza ch'io voglia che gli senta il mondo, il quale non giudica le cose dai loro successi, se non conforme alla sua openione.
Non so come di questi particolari io possa dirti la verità, perché ha i suoi fondamenti nella isperienza di molti accidenti e nel corso di molti anni, e poiché i miei non arrivan ai dicisette.
Ma ora io conosco che il dolore lega e sciolga la lingua agl'afflitti,
alcune volte esaggerando il loro male, acciò che se lor creda,
ed altre volte tacendolo, acciò non vi si dia il rimedio conveniente.
Or in che modo io taccia o parli, credo ch'io debba indurti a credermi od a rimediarmi, posciaché il non credermi sarebbe ignoranza e troppa crudeltà il non volere dar rimedio al mio male, bench'insanabile ei sia.
Non voglio disperarmi, perché ti costerà ben poco il darmi quell'alleviamento, ed è questo il modo.
Non aspettare e non confidarti che 'l tempo temperi o mitighi il giusto sdegno che teco tengo né voler più accrescere gl'agravi miei, mentre non goderaimi, ed i tuoi desideri siano men ardenti, ricordandoti che di me avesti il godimento.
Fa' conto che a caso ed impensatamente tu m'offendesti e senza primieramente aver dato luogo alla ragione;
et io farò conto di mai esser nata al mondo o che, s'io vi nacqui, fu per essere infelice.
Or ora mettemi in mezzo alla strada, od almeno vicino al duomo, ch'indi saprò tornarmene a casa.
Ma tu hai da giurare di non seguitarmi né domandare il nome dei miei padri, il mio né de' miei parenti, i quali, se fossero ricchi quanto son nobili, non vedrebbon la lor figliuola sì infelice.
Rispondimi a questo e, se tu temi ch'io possa conoscerti alla favella, credi per certo che dal mio padre in poi ed il mio confessore mai ho parlato con uomo al mondo e sì pochi ho sentito parlare che non saprei far distinzione di voci o di parole.
La risposta che fe' Ridolfo alle discrete ragioni della dolente Leocadia altra non fu che abbracciarla, signifficando ch'egli volesse ritornare al gusto suo ed al disonore della donzella.
Ma ella, conoscendo l'intento dello scelerato, con più di forza che i teneri anni suoi non comportavano si diffendeva coi piedi, con le mani, coi denti e con la lingua, dicendogli:
Ah, traditore, uomo senza coscienza o chi che tu ti sii, le spoglie che rapite m'hai non son altro che quelle che rapir averesti potuto ad un tronco o ad una colonna che non ha sentimento. Quella vittoria e quel trionfo non può tornarti se non a disonore e ad infamia.
Però quello che ora da me pretendi non l'averai, se non con la mia morte.
Tu m'hai calcata e strappazzata mentre fui tramortita ma adesso ch'ho animo e forza anzi m'ammazzerai che vincermi. Se ora che ho riavuti i miei sentimenti mi lasciassi andare senza far resistenza ai tuoi nefandi gusti, potresti credere che il mio svenimento fosse stato infinto, quando temerariamente avesti ardire di rovinarmi.
Finalmente, Leocadia con tanta gagliardia e sì costantemente s'oppose e si difese che la seconda forza ed i desii di Ridolfo furono deboli e vani.
Or, come l'insolenza ch'egli con lei aveva usata non nasceva se non da impeto lascivo, dal quale mai procede il vero amore, che sempre sta, in luogo di quell'empito che presto passa e non lascia se non il pentimento o per lo manco una tepida volontà in sua vece, Ridolfo, freddo e stanco, senza dire parola lasciò Leocadia nel suo letto e nella sua casa, serrò la porta della camera ed andò a trovare i suoi compagni e consigliarsi con essi loro che cosa ei dovesse fare.
Quando che Leocadia conobbe esser sola e serrata di dentro, uscì dal letto e caminò tutta la stanza brancolando e con le mani tastando i muri per trovare la porta, e per quella uscire, o pur qualche finestra per gittarsi giù nella strada.
Trovò la porta, ma inchiavata, poi un balcone ch'ella aprì e per dove entrò lo splendor della luna sì chiaramente ch'ella potette discernere i colori d'una tapezzaria di seta ch'adornava la stanza.
E vidde anche esser la lettiera indorata e sì riccamente guernita che pareva letto da prencipe, anzi che da privato cavaliere.
Contò le sedie e gli studioli e scrigni;
e notò da che banda stava la porta. Et ancorché vidde contra i muri alcuni quadri, non potette conoscere le lor pitture.
La finestra era grande, tutta inferiata;
guardava nel giardino che parimente era serrato attorno d'alte muraglie: difficoltadi che s'opponevano al suo disegno di buttarsi giù nella strada.
Tutto ciò ch'ella puoté vedere ed osservare della capacità e dei ricchi addobamenti di quella casa le diede ad intendere che 'l padrone di quella dovesse essere persona d'importanza e ricca, non già mezzanamente ma largamente.
In quello ch'ella andava considerando ed osservando da per tutte le bande, vidde sopra uno scrigno accanto alla finestra un picciol crocifisso tutto d'argento e quello prese e se lo portò via nella manica della vesta, non per divozione, né con animo di rubbarlo, ma per valersene in tempo e luoco come giudiziosamente aveva disegnato.
Fatto questo, riserrò la finestra e rimisesi sopra il letto, aspettando il fine del cattivo principio della sua sventura.
Appena, al parer suo, era passata mezz'ora quando ch'essa sentì aprir la porta della stanza e che se l'accostò una persona, la quale senza dir parola le bendò gli occhi con uno fazzoletto e, pigliandola pel braccio, la trasse fuora della stanza, ed ancora sentì quando quella persona andò a riserrar la porta.
Era Rodolfo il quale, quantunque uscito fosse per ir a ritrovare, come dicemmo, i suoi compagni, però non andò a cercarli, perché gli parve che non istaria bene né occorreva palesar loro e fargli consapevoli di ciò che tra quella donzella e lui era passato, e che non bisognava ch'avesse testimoni,
anzi si risolvette dir loro che, pentito del mal già fatto e commosso dalle lagrime di lei, senza toccarla nell'onore, a mezza strada, l'avesse lasciata andare.
E stando in questa determinazione, era tornato a metter Leocadia, presto come a lui chieduto aveva, presso al duomo, innanzi che spuntasse l'alba, temendo che la luce del giorno non permettesse di metterla fuora di casa e lo sforzasse a tenerla ancor in camera sin alla notte, nel quale spazio di tempo egli non aveva in animo di ritornare ad usarle più forza né dar occasione d'essere conosciuto.
Dunque, ei la conduce sin alla piazza chiamata piazza Maggiore o della Signoria. Et ivi, con voce contrafatta ed in lingua mezzo portoghesa e mezzo castigliana, le disse che poteva sicuramente tornarsene a casa, senza timore d'essere seguitata da nessuno.
E, prima ch'ella avesse tempo da levarsi dagli occhi il fazzolletto, egli già s'era posto in parte ove non potess'essere veduto.
Così restò sola Leocadia, levossi il fazzoletto e riconobbe il luoco dove l'avevano lasciata.
Guardò da ogni banda e non vidde nessuno;
tuttavia, temendo di esser da lungi seguitata, di quando in quando si fermava, andando sempre verso la casa di suo padre che non era molto lontana.
E per ingannare le spie, se ve ne fosse che la seguitassero, entrò in una casa ch'ella vidde aperta ed indi a poco gionse alla sua. Vi trovò il padre e la madre tutto afflitti e che passata avevan quella notte senza spogliarsi ed anche senza speme di poter ritrovare alcun alleviamento al suo dolore.
Quando la viddero, le corsero incontra ad abbracciarla e con le lagrime agli occhi la riceverono.
Leocadia, ch'aveva l'animo tutto turbato, pregò suo padre e sua madre che fossero contenti tirarsi con lei in disparte. Così fecero essi ed ella in poche parole lor diede conto di tutto l'infausto successo della sua disgrazia, e d'ogni circostanza d'essa, e come in modo nessuno del suo rapitore non aveva notizia.
Ma disse loro ch'avesse visto nel teatro dove della sua sventura era stata rappresentata la miserabile tragedia,
la finestra, l'inferriata, il giardino, gli scrigni, il letto, la tapezzaria; e finalmente lor mostrò il crocifisso che vi aveva preso.
Davanti a quello si rinovarono le lagrime, si fero imprecazioni, si domandò vendetta e furono desiati miracolosi gastighi.
Disse ancora che, quantunque non disiasse di conoscer colui che l'aveva offesa, però, se a' suoi padri paresse bene di doverlo conoscere, potrebbon farlo col mezo di quel crocifisso, facendo che i sagrestani o parrochiani di tutte le parrocchie della città publicassero in pulpito che chi perduto avesse un crocifisso lo troverebbono dal tale prete, ch'essi avrebbon segnalato, e che dando i contrasegni gli sarebbe restituito.
Per quella via si saprebbe la casa e si verria in cognizione della persona che sì vituperosamente l'avea trattata.
Questo staria bene, cara figliuola rispose il padre, se la malizia ordinaria non s'opponesse alle giudiziose sue ragioni, ma s'ha da credere che oggi questo crocifisso si troverà mancare in quella casa che tu dici e colui di chi egli è averà per cosa sicura che la persona che con lui era se l'averà portato via; a tal che, in luoco di venir in cognizione per la via del prete di quello a cui egli appartenga, sarà manifestare colui ch'adesso l'ha nelle mani, perché potrebbe essere che qualcun altro a chi lo scelerato violatore avesse dati i contrasegni del crocifisso si presentasse e dicesse che fosse suo.
Così cercando d'informarci, noi ci trovaremmo confusi, posto che usar possiamo il medesimo artificio che temiamo e valercene con farlo dare per terza persona in man del sagrestano o prete.
Ciò ch'hai da far, figliuola, si è di guardar questo crocifisso ed a quel ch'egli rappresenta raccomandarti. E, poich'è stato il testimonio della tua sciagura, permetterà Iddio che vi sarà il giudice per la tua giustizia.
Sappi, figliuola mia, che più affligge un'oncia di publica infamia che venticinque libre di disonor segreto.
E posciaché tu puoi vivere con onore publicamente, davanti a Dio non ti dia pena l'essere stata disonorata segretamente, non avendo avuta la volontà d'offenderlo.
Il vero disonore consiste nel peccato ed il vero onore nella virtù.
Si offende Iddio con la parola, col desiderio e con l'effetto; ma poiché tu non l'hai offeso né con parole, né col desiderio, né con l'effetto abbiti per onorata, ch'io per me sempre t'avrò per tale e mai ti guarderò se non con occhio di buon padre.
Con queste prudenti parole il padre consolò la figliuola e la sua madre in abbracciandola di nuovo procurò anco di consolarla.
Ella gemì e, tornando a lagrimare, ridussesi a viver ritirata sotto la protezione del padre e della madre, vestita sì onestamente come umilmente.
Fra tanto Ridolfo, tornato a casa sua, trovò mancargli il crocifisso, però s'immaginò chi l'avesse portato via. Ma perché era ricco, non ne fe' vista né conto alcuno, manco i suoi padri ebbero a domandarglielo, quando che di lì a tre giorni, partendosi per il viaggio d'Italia, dette in nota e consegnò ad una cameriera di sua madre tutto ciò ch'ei lasciava nella sua camera.
Già molto tempo Ridolfo aveva determinato d'irsene in Italia. Il suo padre, che v'era stato, glielo persuadeva, dicendo che non eran cavalieri quelli che solamente l'erano nella patria e bisognava esserlo anche in quella d'altri.
Queste e simili altre ragioni disposero la volontade di Ridolfo a conformarsi con quella del padre, il qual gli diede lettere di credito per toccar di molti denari in Barcellona, Genova, Roma e Napoli.
Non stette guari che si partì con due compagni, adescato da quello che dir sentito aveva ad alcuni soldati dell'abondanza nelle osterie di Francia e d'Italia
e della libertà ch'avessero gli spagnuoli dove alloggiavano.
Gli eran grate all'orecchio queste parole: ecco buoni pollastri, buoni piccioni, presciuto e salciccie, con altri nomi di questo suono, de' quali i soldati si rammemorano, quando di quelle parti sono tornati in queste ed hanno da patire quella miseria e quelle incomodità che mai si partono dalle taverne ed osterie che sono in Ispagna.
Finalmente, egli si partì con sì poca memoria di quello che tra lui e Leocadia s'era passato come se giammai stato fosse.
In questo mentre, ella passava la vita in casa del suo padre, con sì stretta ritiratezza che più non era possibile, senza lasciarsi vedere da nessuno, temendo che in fronte se le leggesse la sua disgrazia.
Tuttavia di lì a pochi mesi, conobbe essere sforzata a dovere far quello che sino a quell'ora di grado aveva fatto.
Si sentì gravida e perciò conveniva che stesse ritirata ed ascosa. Successo per lo quale le lagrime, che per un pezzo erano state asciute, le tornaron agli occhi. I guai, sospiri e lamenti cominciaron di nuovo ad empir l'aria e percuoter i venti, senza che la discrezione della pietosa madre potesse consolarla.
Volò il tempo e gionse il punto del partorire, il qual fu sì secreto
che la madre istessa fece l'uffizio d'allevatrice, non osando fidarsi di chiamarvi un'altra. Dunque partorì Leocadia il più bel figliuolino ch'immaginare si potesse.
Con quella segretezza ch'egli era uscito del ventre della madre, fu nodrito ed allevato in una villa per lo spazio di anni quattro, in capo ai quali il suo nonno se lo prese in casa, ove fu allevato non delicatamente, per esser quella poco ricca, ma costumatamente, per arricchirlo di virtù.
Era il puttino, che del nome del nonno fu chiamato Luigi, bellissimo di viso, di umor mansueto, d'ingegno acuto; ed in tutte le azioni di quella tenera età mostrava segni d'essere stato ingennerato da nobil padre. Talché la sua gentilezza e bellezza e discrezione fecero che 'suoi nonni gli presero sì fatto amore ch'ebbero per buona ventura la sventura della figliuola.
Quando egli andava per la strada, gli piovevan addosso mille benedizioni.
Gl'uni benedicevano la sua bellezza,
gl'altri il padre che l'aveva ingenerato, questi la madre che sì bello l'aveva fatto, quelli colui che l'aveva sì ben creato.
Con questo applauso di quei che lo conoscevano e non lo conoscevano, pervenne il puttino all'età di sett'anni, nella qual già sapeva leggere latino e volgare ed anco scrivere buona e formata lettera.
Era l'intenzione degl'avi suoi di farlo virtuoso e savio, poiché non potevano farlo ricco, come se le virtù e la scienza non fossero ricchezze, sopra di cui non hanno poter i ladroni né quella che da tutti è chiamata fortuna.
Or successe ch'un giorno il putto fu mandato dalla sua nonna per un servizio ad un parente di lei e, passando per una strada ove alcuni cavalieri correvan all'anello,
fermossi a vedere e, per migliorare di luoco, passò da una banda all'altra ma non puoté sì prestamente farlo che un cavallo nella furia del corso, a malgrado di quello che 'l cavalcava,
non gli passasse sopra e lo calpestasse. Così il ragazzetto, distesso in terra come morto, buttava dalla testa gran quantità di sangue.
Appena era occorso quell'accidente ch'un vecchio gentiluomo, che stava a guardare quel correre, con incredibile leggerezza saltò da cavallo in terra e corse dov'era il putto mezzo morto e, levandolo dalle braccia d'uno, lo prese nelle sue e, senza far gran conto della sua vecchiezza né della sua qualità, ch'era importante, se n'andò di buon passo al suo palazzo e comandò ai suoi servidori che lo lasciassero ed andassino presto a chiamar un cirurgo per medicare il putto.
Molti gentiluomini lo seguitarono e lor rincresceva grandemente della disgrazia di sì bel figliuolino, per il che subito si sparse voce che quello che calpestato era stato da un cavallo era Luisetto, nipote del tal gentiluomo, nominando il suo nonno.
Questa voce passò di bocca in bocca sin che pervenne agli orecchi dei suoi avoli e della sua ascosa madre, i quali, fatti certi del caso, com'impazziti e forsennati uscirono di casa a cercar il lor caro pegno. E perché 'l gentiluomo che portato l'aveva seco era uno de' principali della città, molte persone di quelle ch'incontrarono lor insegnarono la casa sua, ove gionsero a tempo che 'l ragazzetto già era tra le mani del cirurgo.
Il gentiluomo e sua moglie, padroni della casa, confortarono quelli ch'essi credevano esser padri del putto a non piangere e lagnarsi sì fortemente, perché non gioverebbe nulla al poveretto calpestato.
Avendolo il cirurgo, ch'era famoso, medicato con gran destrezza e diligenza, disse che la ferita non sarebbe mortale, come temeva da principio.
A mezza cura, il putto, ch'era insin allora tramortito, si riscuosse, tornò in sé e rallegrossi nel veder i suoi nonni. Gli domandarono, piangendo, com'egli si sentiva;
rispose ch'assai bene, se non che per la vita e nella testa sentiva gran dolore.
Comandò il cirurgico che lo lasciasin riposare.
Lasciaronlo ed il suo nonno ringraziò il padron della casa della gran carità che al nipote aveva usata.
A cui rispose il gentiluomo che non vi era di che ringraziarlo, perché gli faceva sapere che quando egli vidde cascar in terra il putto, e calpestato dal cavallo, gli parve di vedere il viso d'un suo figliuolo, ch'egli amava svisceratamente, e per questo sel recò in braccio e portollo a casa, acciò vi stesse sin che fosse guarito, con quel buon trattamento che sarebbe possibile.
La moglie, ch'era una molto nobile gentildonna, disse l'istesso e più ancora.
Restarono meravigliati gl'avoli di Luigi di tanta carità;
ma più di loro meravigliossene la madre, perché, essendosi alquanto raquietato l'animo di lei per la speranza datale dal cirurgico, prese a guardare ed osservare minutamente la camera ove stava il figliuolino e da molti segni conobbe indubitatamente che quella era la stanza ove fu tolto l'onor alla figliuola; ed ancorché ella non fosse parrata come l'era allora delle sue tapezzarie ed altri adobbamenti, nientedimeno d'essa conobbe la disposizione, vidde la finestra inferriata che guardava sopra 'l giardino, com'ella seppe da qualcheduno a chi aveva domandato, perché allora la finestra era serrata a causa del ferito e non bisognava aprirla.
Ma quello che più chiaramente ella conobbe fu che il letto era quello medesimo che 'l suo onore aveva avuto per sepoltura e confermogliolo ancora che 'l proprio scrigno stava in quell'istesso luogo come quando vi prese il crocifisso.
Infine, gli scalini per dove si scendeva da quella stanza nella strada, e che giudiziosamente ella aveva contati, quando ne la trassero fuora, gli occhi bendati, chiariron ogni dubbio. E gli contò di nuovo scendendogli nel ritornar a casa ed era come prima lo stesso numero.
E così, conferendo l'uno con l'altro i segni e contrasegni, restò certissima che la sua immaginazione non era punto ingannata, di che dette minutissimo conto a sua madre.
Questa, ch'era prudente donna, s'informò se il gentiluomo, nella cui casa era il suo nipote, avesse avuto o tenesse alcun figliuolo.
Ella trovò e seppe ch'egli n'aveva uno ed era quello che chiamiamo Ridolfo e che allora si ritrovava in Italia. E computando il tempo che dissero lui esser assente di Spagna, ebbe il suo conto ch'erano i sett'anni appunto ch'aveva il nipote.
Di tutto questo ragguagliò il marito e tra di loro tre, il padre, la madre e la figliuola, risolsero di dover aspettare ciò che piacerebbe a Dio disporre del ferito, il quale in termine di quindici giorni fu fuori di pericolo ed in capo di altri quindici fu risanato, essendo stato sempre in quello spazio di tempo visitato dalla sua madre e sua nonna e ben trattato dai padroni di quella casa, come se lor proprio figliuolo stato fosse.
Alcune volte la signora Stefana (così era chiamata la madre di Ridolfo) ragionando con Leocadia li ebbe a dire che quel puttino rassomigliava tanto un suo figliuolo ch'era in Italia che quando lo guardava le pareva aversi davanti il proprio figlio.
Da questo dire Leocadia prese occasione, trovandosi allora sola con lei, di farle intender ciò che co' suoi padri ella aveva determinato dirle e fu in questo senso:
Il giorno, signora, che 'l mio padre e mia madre ebbero nuova della disgrazia succeduta al suo nipote, pensaronsi e credettero che per loro il cielo fosse affatto serrato e che se lor cascasse addosso tutto il mondo.
S'immaginarono ch'avessero perduta la luce de' suoi occhi e l'appoggio della loro vecchiezza, mancandogli questo nipote. È così grande l'amore che gli tengono ch'egli eccede quello che sogliono i padri tener ai figliuoli.
Ma come s'usa dire, quando Iddio dà la piaga, egli dà anche la medicina e guarigione. L'ha trovata il putto in questa vostra casa ed io in quella una memoria di tanto benefizio che mentre io viva non sono per scordarla.
Io, signora, son gentildonna, poiché i miei genitori sono di nobile estrazione, come anco furono tutti i miei antepassati, i quali con mediocra facoltà dei beni della fortuna si sono conservata felicemente la riputazione in qualsivoglia parte ch'abbiano dimorato.
Al sentir le parole di Leocadia la signora Stefana ebbe gran meraviglia e ne restò sospesa, non potendo capire, ancorché lo vedesse, come tanta discrezione potesse ritrovarsi in sì poca età, perché le pareva che Leocadia non passasse di venti anni e, senza dirle né replicar parola, stette aspettando sin tanto ch'avesse detto ciò che voleva dire. Infine Leocadia le raccontò di fil in ago le insolenze e l'indegno procedere del suo figliuolo, il rapimento con che egli rapì il suo onore, come le bendò gli occhi e la menò in quella camera, e tutti i segni e contrasegni ch'ella v'aveva osservati, i quali le davan certezza ch'era stato lui stesso che le avesse tolto l'onore.
E per più confermazione di quella verità, la si trasse di seno il crocifisso ch'ella s'aveva portato via e con parole efficaci guardandolo così prese a dire:
O tu, signore, che fosti testimonio della forza che mi fu fatta, sii adesso giudice della riparazione che far si deve all'onor mio.
Pigliai l'imagin tua sopra di quello scrigno, con intenzione di ricordarti sempre il torto che m'è stato fatto, non tuttavia per domandartene la vendetta, ch'io non la pretendo, ma sì perché tu dessi qualche consolazione, acciò ch'io potessi con pazienza sopportar la mia disgrazia.
Questo putto, signora, verso del quale v'ha piaciuto usare così gran carità è senza dubbio vostro vero nipote.
Credo che sia stata permission del cielo, quando che dal cavallo egli fu calpestato, acciò che, portato a casa vostra, io trovassi in essa, come spero trovarvi, se non il rimedio conveniente, almen il modo con che io possa riparare il danno della mia disdetta.
Questo dicendo, ed abbracciando il crocifisso, cascò svenuta tra le braccia di Stefana, la quale, come nobile e donna (sesso in cui la commiserazione e la misericordia suol esser così naturale come la crudeltà nell'uomo), appena si accorse dello svenimento di Leocadia ch'ella, congiongendo il suo viso con quello della tramortita, vi sparse sopra tante lagrime che non fu già bisogno d'altr'acqua per ispruzzarnelo, acciò la ritornasse in sé.
Mentre che loro due stavano in quel frangente, ecco entrare nella camera il gentiluomo, marito di Stefana, seco menando per mano Luisetto; e come vidde le lagrime di sua moglie ed il tramortimento di Leocadia, volse di subito che gli dicessero di dove procedesse.
Il ragazzetto abbracciava sua madre come cugina e la sua avola come benefattrice, da cui tanti benefici aveva ricevuti, e domandava ad amendue perché così piagnessero.
Disse Stefana, rispondendo al marito:
Cose grandi, signore, avrei da dirvi ma, per conchiuderle in poco giro di parole, dico che quest'afflitta giovine senz'altro è vostra nuora e questo putto vostro nipote.
Ella m'ha fatto capire questa verità ed egli ce l'ha confirmata e conferma poiché rassomiglia affatto nostro figliuolo.
Questo che dite, signora, io non intendo soggionse il gentiluomo, se non lo dichiarate meglio.
Fra tanto a Leocadia ritornaron gli spiriti smarriti e stando abbracciata col crocifisso pareva fosse trasmutata in un fonte di lagrime.
Per tutte queste cose stava confuso il gentiluomo ma uscì di confusione raccontandogli la moglie tutta la storia che raccontata gli aveva Leocadia; e permesse Iddio ch'egli ebbe a credere quanto di quel particolare gli venne detto, come se da veraci testimoni fosse stato giurato.
Egli consolò Leocadia e l'abbracciò; baciò il nipotino e quel medesimo giorno ei con la moglie spedirono un corriere a Napoli, con lettere al figliuolo che dovesse, senza indugiare, ritornarsene a casa, perché avevano trattato per ammogliarlo con una nobile donzella, d'isquisita bellezza e tale ch'a lui conveniva.
In questo mentre, non vollero acconsentire che Leocadia né il figliuolo ritornassero più a casa de' loro padri, i quali, allegri e contenti del felice successo della figliuola, ne davano infinite grazie a Dio.
Gionse il corriere a Napoli e Ridolfo, adescato dalla promessa di suo padre di fargli godere sì bella moglie, due giorni dopo ch'egli ebbe la lettera, con l'occasione di quattro galere ch'erano alestite per passare in Ispagna, s'imbarcò sopra quelle coi due suoi compagni, che mai l'avevano lasciato, e con prospero viaggio in dodici giorni gionse a Barcelona, d'indi in sette altri su per le poste pervenne in Toledo ed entrò in casa del padre sì bizarramente vestito, e sì vistosamente, che pareva ch'avesse addosso quanta galanteria ritrovar si potesse.
Suo padre e sua madre lo ricevettero molto amorevolmente e rallegraronsi della sua salute.
Stava sospesa Leocadia tra la tema e la speranza e lo mirava da certo luoco, ove la signora Stefana le aveva ordinato starsi ascosa e nel resto portarsi conforme le istruzioni che le aveva date.
I due compagni di Ridolfo vollero incontanente girsene a casa loro; ma con cortesissime parole quella signora gli ritenne, perché aveva bisogno d'essi nell'eseguire il suo disegno.
Era quasi la notte quando Ridolfo gionse e, mentre che si apparecchiava da cena, la signora Stefana ebbe a chiamar in disparte quei compagni del suo figliuolo, credendo senza dubbio ch'essi dovessero esser i due delli tre che Leocadia aveva detto ch'erano con Ridolfo quella notte ch'ei la rapì. Gli scongiurò con caldissimi prieghi le volessero dire se si ricordassero il suo figliuolo aver rapita una donzella la tal notte, in tal tempo ed in tal luoco,
perché dal sapersi la verità di questo fatto vi andava l'onore ed il riposo di tutti i suoi parenti; perloché non facessero difficoltà nessuna di voler dirle alla libera ciò ne sapessero.
Infine, con sì dolci parole gli seppe tanto ben pregare e di tal modo assicurarli che non potrebbe venirgli alcun danno per questo rapimento
ch'eglino si piegarono a confessar il vero. Dissero dunque che una notte di quella state ed in quel luoco ch'ella aveva detto lor due ed un altro compagno, andando a spasso con Ridolfo, tutti quattro insieme rapirono una donzella. Che Ridolfo l'aveva portata via, mentre ch'eglino stavan a ritener quelli che venivan con lei, i quali colle grida sforzavansi difenderla, e ch'egli il giorno seguente loro avesse detto che se l'aveva condotta a casa.
Che questo era quanto di ciò sapessero e potessero dirle.
La confessione di questi due fu la chiave che aprì tutti i dubbi che potessero occorrere in questo caso. Risolsesi dunque la signora Stefana di proseguire e condurre a capo l'intento suo buono, in questo modo.
Poco prima che si mettessero a tavola, ella fece entrare seco in una camera il suo figliuolo e così sola a solo, mettendogli un ritratto in mano, gli disse:
Ridolfo, voglio darti una cosa appetitiva acciò tu ceni meglio, con mostrarti la tua sposa.
Quest'è il vero suo rittrato;
ma tu hai da sapere che quello di bellezza che potesse mancare al suo originale dalle sue virtù vien supplito al doppio.
Ella è gentildonna, molto discreta e mediocremente ricca.
E poiché il tuo padre ed io te l'abbiamo eletta, vivi sicuro ch'ella è tale qual ti conviene.
Ridolfo attentamente si mise a considerare il ritratto e disse:
Se i pittori, che ordinariamente sogliono esser prodighi nel far più belli di quel lo siano i visi che ritraggono, hanno usata la loro prodigalità anche con questo, io credo senza dubbio che il suo originale debba essere la bruttezza istessa.
Affé, signora madre, è giusto e di ragione che i figliuoli ubbidischino ai padri in tutto ciò che lor comandano;
tuttavia, è cosa ancor più giusta e ragionevole che i padri e le madri diano a' figliuoli quello stato che più sia di loro gusto. E poiché 'l matrimonio è un legame che, quando è stretto, altro se non la morte non lo può sciorre, bisogna per star bene che i suoi vincoli sian uguali e tessuti d'uno istesso filo.
La virtù, la nobiltà, la prudenza ed i beni della fortuna ben possono rallegrar l'animo di colui a cui con la sposa gli vennero in sorte;
ma che la bruttezza d'una moglie contenti gli occhi del marito, questo mi pare affatto essere impossibile.
Son giovine, nientedimeno io so che 'l gusto casto e dovuto che godono i maritati col sacramento del matrimonio non è incompatibile e che, quand'egli manca, zoppica il matrimonio e disdici assai alla seconda intenzione.
Dunque pensare che un brutto viso, che ad ognora s'avrà davanti agli occhi nella sala, a tavola e nel letto, possa piacere, dico anco un'altra volta ch'io lo tengo per impossibile.
Vi supplico, signora madre, che mi diate compagnia che mi trattenga e che non mi sia a schiffo, affinché senza torcere né qua, né là sopportiam ambedui per il dritto camino il giogo impostoci dal cielo.
Se questa donzella è nobile, savia e ricca, come voi dite, non le ha da mancare sposo che sarà d'altro umore differente dal mio.
Alcuni cercano la nobiltà del sangue, altri prudenza e discretezza, altri denari, altri bellezza;
ed io sono dell'umore degli ultimi,
perché la nobiltà i miei antepassati, il mio padre e la mia madre, grazie al cielo, me l'hanno data ereditaria.
Per la prudenza e discretezza, mentre che una donna non sia sciocca o goffa, tanto le basta e che non venga a spuntarsi per troppa sottigliezza né ad esser ridicolosa per la sua goffaggine.
In quanto poi alle ricchezze, quelle che voi ed il mio padre mi lascierete faranno che mai averò da diventare povero.
Cerco bellezza, alla bellezza ho l'animo e quella bramo, non altra dote, purché ella sia accompagnata di onestà e di buoni costumi.
Se quella che mi sarà sposa averà queste qualità, servirò Dio con tutto 'l cuore e sarò grato appoggio alla vecchiezza dei miei genitori.
Contentissima restò Stefana delle ragioni di Ridolfo e da quelle comprese che le riuscirebbe il suo disegno.
Risposegli ch'ella desiderava ammogliarlo conforme il di lui desiderio e che però stesse di buona voglia e consolato, però che facil cosa era di sconcertare e rompere l'accordo ch'avevan fatto di dargli per sua moglie la gentildonna originale del ritratto.
Ne la ringraziò Ridolfo e venuta l'ora di cena si posero a mensa.
Ma come il padre e la madre, Ridolfo ed i suoi due compagni s'erano già posti a sedere, la signora Stefana, come se se l'avesse scordato, prese a dire:
O ch'io sono malcreata, certo sì ch'io tratto bene la mia ospite!
Andate voi disse ad un famiglio a dir alla signora Leocadia da parte mia ch'io la prego che, senza farsi scropolo a causa della sua onestà, ella si contenti venire ad onorare questa tavola e che tutti quei che vi sono son miei figliuoli e suoi servitori.
Questo era invenzion sua, e lo faceva a disegno, e Leocadia era avvisata di quanto avesse da fare.
La stette poco a venir fuora e comparire ed a fare di sé un'improvisa e la più bella mostra che mai potesse fare un'adornata e natural bellezza.
Era vestita, per esser d'inverno, d'una vesta di velluto nero, grandinata tutta di bottoni d'oro e di perle, la cintura e la gargantiglia di diamanti.
La sua propria chioma, che molto lunga era e bionda mediocremente, le serviva d'adorno e d'acconciatura di capo; e la vaghezza de' ricci e dell'intrecciatura di quella con brilli di diamanti abbagliava gli occhi che la miravano.
Era Leocadia di bella vista e svelta.
Ella menava per la mano il suo figliuolino e le andavano davanti due donzelle, facendo lume con due candele di cera in dui candelieri d'ariento.
Tutti si fecero in piedi a farle riverenza, come se fosse qualche cosa del cielo che quivi apparisse miracolosamente.
Di quanti erano in quella compagnia non fu nessuno a chi bastasse l'animo di dirle pur una parola, tant'erano stupiti nel rimirarla.
Leocadia con molto garbo e modesta umiltà fece riverenza a tutti e Stefana pigliandola per mano se la fe' sedere accanto ed a fronte a Ridolfo.
Et il putto sedette presso all'avolo.
Ridolfo più attentamente di nessun altro stava contemplando l'incomparabile bellezza di Leocadia e diceva fra sé:
Se quella che mia madre mi vuole dar per sposa avesse la metà della bellezza di costei, io mi chiamerei il più felice de' mortali.
O Dio,
che cosa veggo io?
È egli per avventura qualche angelo ch'io sto contemplando?
Così discorrendo fra sé stesso gli entrava per gli occhi e penetrava nell'anima, impossessandosi di quella, la bell'imago di Leocadia, la quale, mentre si cenava, e veggendosi tant'appresso colui ch'ella amava più che i propri occhi, co' quali alle volte di soppiatto il guardava, se le cominciò a rivolgere per l'immaginazione ciò che tra Ridolfo e lei s'era passato.
Di sorte che le speranze che la madre di lui le aveva date ch'egli saria il suo sposo cominciarono a svanirsi nel suo animo, temendo che le sue promesse avessero da corrispondere con la sua mala ventura.
Considerava quanto fosse vicina d'esser felice od infelice per sempre mai.
Or fu tanto intensa la considerazione, vi s'immerse cotanto ed i pensieri talmente andarono sossopra che se le strinsero il cuore di sì fatta maniera ch'ella cominciò a sudare, con smarrirsele il colore in viso tutto ad un tempo, per che le venne un sì forte tramortimento che fu sforzata a chinare la testa tra le braccia della signora Stefana che tutta conturbata ce la sostenne.
Per l'accidente si commossero tutti e si levarono da tavola per aiutarla.
Ma più di tutti Ridolfo mostrò di sentirlo, poiché nel correre presto da lei inciampò e cascò due volte.
Né per islacciarle il petto né spruzzarle acqua in viso non tornava in sé;
anzi il palpitante cuore ed il polso, che le mancava, davano evidenti segni della vicina morte; talché i famigli e le serve di casa, come poco considerati, si misero a gridare ch'ell'era morta.
Pervenne questa cattiva nuova alle orecchie dei padri de Leocadia che la signora Stefana faceva star ascosi per a suo tempo accrescere la sperata allegrezza.
Eglino col parrochiano ch'era con loro rompendo l'ordine dato dalla signora Stefana entraron nella sala.
Presto il parrochiano s'accostò alla tramortita, per veder s'ella dava qualche segno d'attrizione e pentimento de' suoi peccati per assolvernela;
e dov'egli pensò trovar un solo tramortito trovonne dui, però che in seno di Leocadia vidde Ridolfo già tenere chinato il viso.
Gli aveva dato sua madre comodità di accostarsele come a cosa che doveva essere sua;
però quando s'accorse che anco lui aveva perso il sentimento, poco mancò che non perdesse il suo e l'avesse perduto se Ridolfo non fosse tornato in sé, come tornò vergognoso e confuso, perché lo avessero visto aver dato in quegli estremi.
Ma sua madre, che quasi si indovinava dove il male lo premesse, gli disse:
Non ti vergognare, Ridolfo, perché tu abbi mostrata tanta debolezza; ma più presto vergognati per quello che tu non facesti, quando saprai ciò che più non voglio celarti e ch'io aspettava scuoprirti con più allegra occasione.
Dunque hai da sapere, caro figliuolo, che questa sconsolata che tra le braccia, come tu vedi, sostengo tramortita, è tua vera e legitima sposa:
così la chiamo, poiché 'l tuo padre ed io insieme te l'abbiamo eletta, perché quell'altra del rittratto è stata finta.
Quando Ridolfo sentì questo, di modo tale fu trasportato dall'amoroso ed ardente suo disio che, il nome di sposo levandogli ogni considerazione ed impedimento che l'onestà e decenza del luoco gli potessin metter davanti, si gittò sopra il viso di Leocadia e, stringendo la bocca colla bocca di lei, stava com'aspettando ch'ella spirasse l'anima, per riceverla lui dentro la sua.
Ma mentre che le lagrime di tutti andavano crescendo per lo pietoso caso, che le strida s'alzavano più fortemente, che il padre e la madre di Leocadia i loro canuti capegli strappavano e che le grida di Luigetto penetravano sin al cielo, riscossesi e tornò in sé Leocadia ed agli astanti l'allegrezza che loro aveva involata il funesto accidente.
Trovossi Leocadia in braccio a Ridolfo e con onesto sforzo sforzava liberarsi; ma egli così disse:
No, questo no, signora, non conviene che vi sforziate per liberarvi dalle braccia di quello che nell'anima vi tiene strettamente.
Quest'ultime parole fecero ritornar intieramente a Leocadia gli spiriti smarriti; e più innanzi la signora Stefana non volle seguitare il suo primo disegno, per che disse al piovano, e lo pregò, ch'allora allora volesse sposare il suo figliuolo con Leocadia.
Tanto fece il piovano, perché non v'era impedimento per esser succeduto il caso in tempo e luoco che con la sola volontà delle parti, e senza che s'usassero le diligenze e forme giuste e sante ch'ora si usano, era fatto il matrimonio.
Così fu fatto questo. Lascio ad altra penna più delicata della mia a raccontar il giubilo universale di tutti quelli che vi furon presenti:
gli abbracciamenti che i padri di Leocadia dettero a Ridolfo, le grazie che diedero al cielo ed ai padri dello sposo lor genero, gli scambievoli complimenti, l'ammirazione delli compagni di Ridolfo che viddero sì impensatamente la notte istessa della lor arrivata così nobile sponsalizio. Ma tutti ebbero assai più da meravigliarsi, quando la signora Stefana raccontò che Leocadia era quella donzella che 'l suo figliuolo rapita aveva. Questo non fu di manco meraviglia a Ridolfo,
il quale, per meglio informarsi di quella verità, pregò Leocadia si contentasse di dirgli qualche contrasegno con che avesse chiara cognizione di quello di che non faceva dubbio alcuno, poiché il suo padre e la sua madre n'erano bene informati.
Quando io mi riscossi rispose Leocadia dall'altro mio tramortimento, trovaimi nelle vostre braccia senza onore; tuttavia io l'ho per benissimo speso, posciaché, al tornar in me da quello ch'ora ho sostenuto, mi ritrovo ancora tra le medesime braccia ma con onore.
E se non basta questo contrasegno, supplirà quello d'un crocifisso, il quale nissun altro che me non ve l'ha potuto rubbare, se sia quello che 'l dì seguente voi trovaste mancarvi
e quell'istesso che mia signora si tien appresso.
Dette queste parole egli abbracciolla da ricapo e furon raddoppiate le benedizioni e le carezze con compimenti di congratulazione.
Fu portata la cena e vennero i musici e suonatori che per quest'allegrezza stavano in punto.
Vedevasi Ridolfo, si rimirava e si riconosceva sé stesso, come in uno specchio, nel viso del figliuolo.
I quattro padri sparsero lagrime da eccessiva gioia e tenerezza.
Non vi fu cantone in casa che dal giubilo e contento non fosse visitato.
E benché la notte venisse volando con ale nere e leggiere, tuttavia pareva a Ridolfo ch'ella non volasse con ale ma caminasse lentamente colle gruccie, tant'era il desiderio ch'egli aveva di vedersi solo con la sua amata sposa.
Finalmente, sì come non è cosa che non abbia il suo fine, gionse l'ora desiderata.
Andarono tutti a dormire. Stette tutta la casa sepolta nel silenzio; ma non vi resterà la verità di questa storia, poiché non lo permetterà l'illustre discendenza dei molti figliuoli che questi due felici maritati lasciaron in Toledo, dov'essi vivono ancora. Hannosi goduto l'un l'altro per lo spazio di molti anni e veduti i figliuoli dei loro figliuoli. Così l'ha permesso il cielo e la forza del sangue che vidde sparso in terra il valoroso, l'illustre e cristiano avolo di Luigetto.