LA CINGARETTA
Novella ottava
Argomento
Costanza, figliuola di don Ferdinando d'Azevedo, cavaliere di Calatrava, e di donna Ghiomar di Menesez, vien ad essere rubbata nella sua fanciullezza e menata via da casa del padre da una vecchia cingara. Questa le impone il nome di Preziosa e come sua nipote l'alleva. In poco tempo ella riesce sì esperta in tutte le sorti di balli e giuochi di mano, ed insieme sì perfettamente bella e graziosa diventa, che chiunque la vede ne resta stupito. S'innamora di lei don Giovanni di Carcamo e per ottenerla vassene via dalla casa paterna, mentisce l'abito, si fa cingaro e chiamasi Andrea. Egli ammazza un uomo e, stando per essere condotto al supplizio, è Preziosa riconosciuta dal padre e dalla madre, i quali lo liberano da quella morte e con lui la figliuola maritano.
Pare che i cingari e le cingare non per altro sieno nati al mondo che per essere ladroni: nascono da genitori ladroni; studiano per farsi gran ladroni; e finalmente riescono sì trincati e perfetti ladroni che non la perdonano a cosa sacra o profana. Onde, la voglia di rubbare e l'istesso rubbare sono in loro com'accidenti inseparabili che dalla sola morte posson esser levati via.
Ora, per ritornare a Preziosa, ella fu allevata in diverse parti di Castiglia e, quando gionse all'età di quindici anni, la sua avola putativa la condusse a Madrid, all'antico albergo suo, ne' campi di Santa Barbara, dove i cingari sogliono abitare, perché pensava che nella corte, ove tutto si vende e tutto si compera, potrebbe vendere la sua marcatanzia.
Árbol preciosísimo
que tardó en dar fruto
años que pudieron
cubrirle de luto
y hacer los deseos
del consorte puros,
contra su esperanza
no muy bien seguros,
de cuyo tardarse
nació aquel disgusto
que lanzó del templo
Santa tierra estéril
que al cabo produjo
toda la abundancia
que sustenta el mundo.
Casa de moneda
do se forjó el cuño
que dio a Dios la forma
que como hombre tuvo.
Madre de una hija
en quien quiso y pudo
mostrar Dios grandezas
sobre humano curso
por vos y por ella.
Sois, Ana, el refugio
en cierta manera
tenéis, no lo dudo,
sobre el nieto imperio
piadoso y justo.
A ser comunera
fueran mil parientes
con vos de consuno.
¡Qué hija, y qué nieto,
y qué yerno! Al punto,
a ser causa justa,
cantáredes triunfos.
Pero vos humilde
fuistes el estudio
hizo humildes cursos.
Y agora a su lado
a Dios el más junto
gozáis de la alteza
que apenas barrunto .
Con tanta grazia cantò Preziosa ch'ella rapì quanti l'udirono.
Dio ti benedica, figlia.
Altri:
È peccato che questa fanciulla sia cingara. Invero ch'essa meritava d'esser figliuola di qualche gran signore.
Altri ancora:
Lasciate crescere la ragazza, ch'ella saprà far delle sue; affé, che in lei si va facendo una rete da pescar cuori.
Un altro, manco spiritoso, più goffo e di grosso legname, veggendola andar nel ballo sì leggera, le disse:
Allegramente, viva l'amore e pestate la polvere così minuta minutamente.
Et ella, senza lasciare il ballare:
Io pure la pesterò ancora più minuta.
Il vespro si finì ed insieme la festa di Sant'Anna e restò Preziosa alquanto stracca, però con tanto grido di bella, discreta ed espertissima ballarina che per tutta la corte, ne' circoli di persone, d'altro che di lei sola non si parlava.
Se mi verrà dato mezzo reale, io sola voglio cantare un romanzo di quei più belli, fatto per quando che la regina Margherita signora nostra se n'uscì di palazzo, dopo di parto in Vagliadolid, e se n'andò a messa a San Lorenzo. È famosa canzona e composta da un di quelli che sono chiamati poeti, anzi ch'è capitano d'essi.
Appena questo ebbe detto che quasi tutti quelli del circolo disser ad alta voce:
Cantala pure, Preziosa, e per ciascun di noi eccoti il mezzo reale.
Così ricominciarono a grandinare sopra di lei tanti mezzi reali che per raccoglierli la vecchia quasi non bastava. Fatta ch'ebbe la sua raccolta e la sua vendemia, cominciò Preziosa a cantar sopra il suo cembalo:
Salió a misa de parida
en el valor y en el nombre
rica y admirable joya.
Como los ojos se lleva,
se lleva las almas todas
de cuantos miran y admiran
su devoción y su pompa.
Y para mostrar que es parte
del cielo en la tierra toda,
a un lado lleva el sol de Austria,
al otro la tierna aurora.
A sus espaldas le sigue
un lucero que a deshora
salió la noche del día
que el cielo y la tierra lloran.
Y si en el cielo hay estrellas
que lucientes carros forman,
en otros carros su cielo
vivas estrellas adornan.
Aquí el anciano Saturno
la barba pule y remoza,
y aunque es tardo va ligero,
que el placer cura la gota.
El dios parlero va en lenguas
lisonjeras y amorosas,
y Cupido en cifras varias,
que rubíes y perlas bordan.
Allí va el furioso Marte
en la persona curiosa
de más de un gallardo joven,
que de su sombra se asombra.
Junto a la casa del sol
va Júpiter, que no hay cosa
difícil a la privanza
fundada en prudentes obras.
Va la Luna en las mejillas
de una y otra humana diosa;
de las que este cielo forman.
Pequeñuelos Ganimedes
cruzan, van, vuelven y tornan
por el cinto tachonado
de esta esfera milagrosa.
Y para que todo admire
y todo asombre, no hay cosa
que de liberal no pase
hasta el estremo de pródiga.
Milán con sus ricas telas
allí va en vista curiosa,
las Indias con sus diamantes,
y Arabia con sus aromas.
Con los mal intencionados
va la envidia mordedora,
y la bondad en los pechos
de la lealtad española.
La alegría universal
huyendo de la congoja
calles y plazas discurre,
descompuesta y casi loca.
A mil mudas bendiciones
abre el silencio la boca,
y repiten los muchachos
lo que los hombres entonan.
Cuál dice: "Fecunda vid,
crece, sube, abraza y toca
el olmo felice tuyo,
que mil siglos te haga sombra,
para gloria de ti misma,
para bien de España y honra,
para arrimo de la iglesia,
para asombro de Mahoma".
Otra lengua clama y dice:
"Vivas, ¡oh blanca paloma!,
que nos has de dar por crías
águilas de dos coronas,
para ahuyentar de los aires
las de rapiña furiosas,
para cubrir con sus alas
a las virtudes medrosas".
Otra más discreta y grave,
más aguda y más curiosa
dice vertiendo alegría
por los ojos y la boca:
"Esta perla que nos diste,
nácar de Austria, única y sola,
¡qué de máquinas que rompe!,
¡qué disignios que corta!,
¡qué de esperanzas que infunde!,
¡qué de deseos mal logra!,
¡qué de temores aumenta!,
¡qué de preñados aborta!"
En esto se llegó al templo
del fénix santo, que en Roma
fue abrasado y quedó vivo
en la fama y en la gloria.
A la imagen de la vida,
a la del cielo señora,
a la que por ser humilde
las estrellas pisa agora,
a la madre y virgen junto,
a la hija y a la esposa
de Dios, hincada de hinojos,
Margarita así razona:
"Lo que me has dado te doy,
que a do falta el favor tuyo,
siempre la miseria sobra.
Las primicias de mis frutos
te ofrezco, virgen hermosa,
tales cuales son las mira,
recibe, ampara y mejora.
A su padre te encomiendo,
que, humano Atlante, se encorva
al peso de tantos reinos
y de climas tan remotas;
sé que el corazón del rey
en las manos de Dios mora,
y sé que puedes con Dios
cuanto quieres piadosa".
Acabada esta oración,
otra semejante entonan,
himnos y voces que muestran
que está en el suelo la gloria.
Acabados los oficios
con reales ceremonias
volvió a su punto este cielo
Appena finiva Preziosa la sua canzone quando dall'illustre auditorio e grave senato che la stava ascoltando di molte voci formossi una sola che disse:
Torna, torna a cantare, Preziosetta, che non mancheranno reali.
Più di dugento persone stavano mirando il ballo e ad udire il canto delle cingane, quando che nella fuga d'esso s'abbatté a passar per là uno dei luogotenenti della terra, il qual, veggendo tanta gente insieme, domandò perché;
Canta, Preziosetta, i versi scritti in questo foglio, che sono molto buoni, ed io darotti degli altri di quando in quando, coi quali t'aquisterai il vanto della migliore cantatrice del mondo.
Io rispose Preziosa gl'imparerò volontierissimo; ma avvertite, signore, che non mi lasciate digiuna con l'acqua in bocca de' versi che mi promettete; però, con questa condizione, che siano onesti. E se volete ch'io ve li paghi accordiamoci a dozina, cioè dozina cantata, dozina pagata, perché, se pensate ch'io gli abbi da pagare innanzi tratto, è pensar l'impossibile.
Almen per carta se vi piace le disse il giovinetto sono contento che mi si paghino; e di più la canzone che non fosse onesta voglio che non entri in conto.
Ma a me tocchi l'eleggerle rispose Preziosa.
Con questo caminaron avanti per la contrada, ove da una bassa finestra inferriata furon da gentiluomini le cingare chiamate.
Volete voi, signori, quelli che vincono disse Preziosa, darmi la mancia?
E come cingara parlava un poco balbutendo, che questo in loro è artificio più che natura.
Entrino dissero, entrino qua le cingarette, che noi lor daremo la mancia.
Caro ci costerebbe quella rispose Preziosa, se ne venisse usato atto contra all'onesto.
No figlia, affé di gentiluomo e cavaliere disse uno, tu puoi entrar sicura che nessuno ti toccherà neanche la punta della scarpa; no, per questa croce ch'io porto sopra il petto ed era quella una di Calatrava.
Se tu hai voglia d'entrarvi, Preziosa disse una delle tre cingarette ch'erano con esso lei, entra in buonora, ch'io per me non voglio entrare dove sono tant'uomini.
Avvertisci, Cristina (che questo era il nome della timida cingaretta) le disse Preziosa, che sola da un uomo solo, ed in un luogo secreto, hai da guardarti e non da molt'insieme, imperò che l'esser assai scaccia la temenza d'esser offese.
Entriamo dunque, Preziosa disse Cristina, che tu sai più che non sa un filosofo.
Lor fece animo la vecchia cingara ed esse entrarono. Al primo passo che fece Preziosa all'entrar nella sala, il cavaliere dell'abito vidde la carta ch'ella si aveva in seno ed accostandosele con gentil maniera quella le tolse. A cui disse la cingaretta:
Deh, sig. cavaliere, rendetemela, ve ne prego, che sono versi che or ora mi vengon dati e non gli ho ancora letti.
E sai tu leggere, figliuola? disse un altro.
Ed anco scrivere risposegli la vecchia, che questa mia nipote l'ho allevata come se fosse figliuola d'un dottore.
Il cavaliere aprì la carta e vidde ch'uno scudo d'oro vi era dentro e disse:
Invero, Preziosa, che questa lettera porta seco il suo porto; to', piglialo.
Basta disse la cingaretta, che m'ha trattata da poveretta il poeta. Ma è maggior miracolo che un poeta mi dia uno scudo ch'io riceverlo. Se con simil aggionta m'hanno da venire i suoi versi, ch'egli coppi pure la raccolta di tutti i versi e me gli mandi a foglio a foglio, ch'io lor toccherò il polso; e se saranno duri sarò tenera ed umile nel ricevergli.
Con istupore restaron quelli ch'udirono la cingaretta, sì della sua accortezza come della grazia con che parlava.
Leggete, signor cavaliere diceva ella, leggete forte e vedremo se quel poeta è tanto valente nell'arte quanto è liberale.
Allora il cavaliere lesse i versi ed eran gli a seguenti:
Gitanica que de hermosa
te pueden dar parabienes
por lo que de piedra tienes
te llama el mundo Preciosa.
De esta verdad me asegura
que no se apartan jamás
la esquiveza y la hermosura.
Si como en valor subido
no le arriendo la ganancia
a la edad en que has nacido.
Que un basilisco se cría
en ti, que mate mirando,
nos parezca tiranía.
Entre pobres y aduares
¿cómo nació tal belleza?
o ¿cómo crió tal pieza
el humilde Manzanares?
Por esto será famoso
al par del Tajo dorado,
y por Preciosa preciado
más que el Ganges caudaloso.
Dices la buenaventura,
que no van por un camino
tu intención y tu hermosura.
Porque en el peligro fuerte
de mirarte o contemplarte,
tu intención va a desculparte,
y tu hermosura a dar muerte.
todas las de tu nación,
pero tus hechizos son
de más fuerzas y más veras.
de todos cuantos te ven,
haces, ¡oh niña!, que estén
tus hechizos en tus ojos.
pues bailando nos admiras,
y nos matas si nos miras,
y nos encantas si cantas.
De cien mil modos hechizas,
hables, calles, cantes, mires,
o te acerques, o retires,
el fuego de amor atizas.
Sobre el más esento pecho
tienes mando y señorío,
de lo que es testigo el mío,
de tu imperio satisfecho.
esto humildemente escribe
el que por ti muere y vive,
pobre, aunque humilde amador.
L'ultimo verso disse allora Preziosa finisce in "povero"? Cattivo segno: mai gl'innamorati debbono dire che sieno poveri, perché mi pare che ne' principi la povertà sia molto nemica dell'amore.
Chi t'insegna queste cose, arpietta? disse uno.
Chi me le ha da insegnare? rispose Preziosa Non ho io anima in corpo? Non ho io già quindici anni; e non sono monca né renca né scema di cervello.
Con questo che la cingaretta diceva ella teneva sospesi gli ascoltanti e quelli che giuocavano le diedero la buona mano e quegli ancora che non giuocavano.
Già era stata avvisata la signora donna Chiara, moglie del signor luogotenente, ch'avevano da venire a casa sua le cingarette e quelle stav'aspettando, come il terren asciuto aspetta la rugiada di maggio, e con esso lei le sue donzelle e donne e quelle d'un'altra gentildonna sua vicina, che tutte s'eran adunate per veder Preziosa.
Questa sì che si può dire chioma d'oro. Questi sì che sono occhi di smeraldo.
Poi la signora sua vicina a parte a parte la mirava, quasi facendo con la vista anatomia da capo a piedi di tutte le sue membra e congionture. E venendo a lodare una fossettina che Preziosa nel mento aveva:
Ohimè! Che bella fossettina, quanti occhi e quanti la mireranno hanno da inciampare in questa fossettina!
Udendo questo uno scudiere da braccio, uomo di lunga barba e di molti anni, che quivi era e che soleva accompagnare la signora donna Chiara, disse:
Quello chiama vostra signoria fossettina? Od io poco m'intendo di fossettine o buchi, o mi pare che ciò non altrimenti sia fossettina ma sepoltura di desideri vivi. Invero, tant'è bellina la cingaretta che s'ella fosse fatta d'argento o di scorza di cedro confetto non potrebbe esser migliore. Sai tu, puttina mia, dir la buona ventura?
Sì, la so dire di tre o quattro maniere rispose Preziosa.
Anco questo di più? disse donna Chiara Per vita del luogotenente mio signore che voglio che tu me la dica, puttina mia d'oro, puttina d'argento, puttina di perle, puttina di carbunchi e puttina del cielo, ch'è il più ch'io possa dire.
Date, date la mano alla puttina e con che da fare la croce disse la vecchia cingara e vederete per le cose che vi dirà ch'ella sa più che non sa un dottore in medicina.
Allora la signora luogotenente mise mano nella saccoccia ma non vi trovò pur una moneta.
Tutte le croci, in quanto sono croci, sono buone; ma quelle d'oro o d'argento sono migliori; et il fare la croce sopra la palma della mano con moneta di rame sappiano le signorie vostre che sminuisce la buona ventura e sopra tutto la mia, onde sono affezionata al far la croce prima con qualche scudo d'oro o con qualche real da otto od almeno da quattro, perciò che io sono come i medici che, quando lor viene data buona offerta, si rallegrano.
Tu sei faceta, cara mia puttina disse la signora vicina.
E voltandosi allo scudiere:
Voi, signor Contrera, avereste per sorte addosso qualche real da quattro? Datemelo, che, come venga il dottor mio marito, io vel renderò.
L'ho rispose Contrera ma l'ho lasciato in pegno per ventidue maravedis che spesi a cena iersera. Vostra signoria me gli dia, ch'anderò a riscuoterlo volando.
Non abbiamo fra tutte un quattrino soggiunse donna Chiara e ci domandate ventidue maravedis? Orsù, andate, Contrera, che sempre foste impertinente.
Una di quelle femine ch'erano presenti, vedendo la sterilità della casa, disse a Preziosa:
Ninna, farà al proposito che si faccia la croce con un ditale d'argento?
Anzi rispose Preziosa, si fanno le croci con ditali d'argento le migliori del mondo, se quelli sono molti.
Honne qui uno soggiunse la donzella; se quello basta, eccolo, ma con patto che a me ancora si abbia da dire la buona ventura.
Per un ditale disse la vecchia cingana tante buone venture? Nipote, finiscila presto, che si fa notte.
Preziosa prese il ditale e la mano della signora luogotente e disse:
Hermosita, hermosita,
la de las manos de plata,
más te quiere tu marido,
que al rey de las Alpujarras.
Eres paloma sin hiel,
pero a veces eres brava,
como leona de Orán,
Pero en un tras, en un tris
el enojo se te pasa,
y quedas como alfenique,
Riñes mucho y comes poco,
algo celosita andas,
y quiere arrimar la vara.
Cuando doncella te quiso
te hacía buena cara,
que mal hayan los terceros
que los gustos desbaratan.
Si a dicha tú fueras monja,
hoy tu convento mandaras,
porque tienes de abadesa
más de cuatrocientas rayas.
No te lo quiero decir,
pero poco importa, vaya:
enviudarás, y otra vez,
y otras dos, serás casada.
No llores señora mía;
que no siempre las gitanas
decimos el evangelio,
no llores, señora, acaba.
Como te mueras primero
que el señor tiniente, basta
para remediar el daño
de la viudez que amenaza.
Has de heredar, y muy presto,
hacienda en mucha abundancia,
tendrás un hijo canónigo,
la iglesia no se señala,
de Toledo no es posible;
una hija rubia y blanca
tendrás, que si es religiosa,
también vendrá a ser perlada.
Si tu esposo no se muere
dentro de cuatro semanas,
verasle corregidor
de Burgos o Salamanca.
Un lunar tienes, ¡qué lindo!
¡Ay Jesús, qué luna clara!
¡Qué sol, que allá en los antípodas
escuros valles aclara!
Más de dos ciegos por verle
dieran más de cuatro blancas.
¡Agora sí es la risica!
¡Ay, qué bien haya esa gracia!
Guárdate de las caídas,
principalmente de espaldas,
que suelen ser peligrosas
en las principales damas.
Cosas hay más que decirte,
si para mañana me aguardas,
y algunas hay de desgracias.
Finì Preziosa di dire quella buona ventura e con essa accese il desiderio di tutte le circostanti a voler sapere ciascuna la sua e così la pregarono dirla loro; ma ciò ella rimise per l'altro giorno, avendole esse promesso che averebbono reali d'argento da far le croci.
Affé di gentiluomo, che non ho denari adosso; date voi, donna Chiara, un reale a Preziosetta, ch'io poi ve lo renderò.
Buona per certo, signore, appunto sì che ci burlate; non abbiam avuto fra tutte noi un quattrino per farci fare il segno della croce e volete ch'abbiamo un reale?
Datele dunque disse egli qualche vostro collaro alla vallona o qualch'altra cosetta, che un'altra volta tornerà Preziosa a rivederci e la regalaremo meglio.
Al che rispose donna Chiara:
Anzi, acciò che venga, io non voglio per ora alcuna cosa darle.
Anzi disse Preziosa, se adesso non mi darete nulla, mai più ritornerò qua, perché in ogni modo, se verrò a servire sì principali signori, sarò sicura che cosa alcuna non mi daranno e così m'averanno sottratta alla fatica di aspettarla.
Così dicono e fanno disse il luogotenente quelli ch'hanno cattiva la coscienza ma il giudice ch'averà rettamente amministrata la giustizia non temerà che se gli faccia pagare alcun fio; e l'essersi portato bene nel suo uffizio sarà l'intercessore ed il mallevadore che faranno per lui, acciò d'un altro sia provisto.
Voi parlate, signore, da uomo santo soggionse Preziosa, accostiamoceli e tagliamoli della veste e lo serbaremo per reliquie.
Tu sai molto, Preziosa disse il luogotenente, lascia la cura a me, che voglio procurare ed operare che le maestà del re e della regina ti veggano, perché tu sei cosa da re.
Forse che mi vorranno per buffona disse Preziosa e non saprò l'arte, onde resterei ingannata di poter riuscire con mio vantaggio.
Orsù, figlia disse la cingara vecchia, non parlar più, che hai parlato troppo e sai più di quello ch'io t'ho insegnato; non ti assottigliare tanto, che tu ti spunterai. Parla di quello che permettono i tuoi anni e non voler volar tant'alto, che troppa altezza minaccia la caduta.
Queste cingare disse allora il luogotenente hanno il diavolo nel corpo e sanno più di lui.
Elleno presero comiato e nel partirsi disse la donzella del ditale:
Preziosa, dimmi la buona ventura o rendimi il mio ditale, ch'altro non ho che quello da lavorare.
Signora donzella rispose Preziosa, fa' conto ch'io te l'abbia detta e provediti d'altro ditale o non far alcun lavoro sin a venerdì, ch'io tornerò e dirotti più venture ed avventure che non ve ne sono in un libro di cavaleria.
Partironsi e si accompagnarono con molte contadine che all'ora dell'avemaria sogliono uscire di Madrid per ritornare alle lor ville, e con quelle sempre si accompagnano le cingane e vanno sicure, perché la cingara vecchia vivea in continovo timore che la sua Preziosa le venisse rubbata.
Ora occorse che la mattina ch'esse tornavano a Madrid a procacciarsi l'elemosina viddero insieme con l'altre cingarette, in una picciola valle fuor di strada, distante dalla città incirca cinquecento passi, un giovine gagliardo, nobilmente vestito da campagna,
Egli si accostò a loro e, parlando con la cingara vecchia, le disse:
Per vita vostra, madre, fatemi un piacere, uditemi voi e Preziosa qui in disparte due parole che vi saranno di profitto.
Purché rispose la vecchia non ci discostiamo molto e non tardiamo troppo, sia in buonora, ch'io mi contento.
E chiamando Preziosa si allontanarono dall'altre circa venti passi e così in piedi come si trovavano il giovane lor disse:
Io mi confesso talmente vinto dalla discrezione e bellezza di Preziosa che, doppo aver fatto ogni resistenza possibile per non gionger a questo passo, alla fine son restato più che mai vinto ed avvinto e con manco forze da potervi resistere.
Io, signore mie, che sempre ho da darvi questo nome, se 'l cielo favorirà la mia pretensione, sono cavaliere, come lo può mostrare questa croce e così dicendo allargò il ferraiuolo e scuoprì quella ch'ei portava sul petto, ed era una delle più onorate di Spagna e son figliuolo d'un signore, il cui nome per buon rispetto io devo qui tacere. Sto sotto la sua ubbidienza e protezione; sono figliuolo unico e ch'aspetta di succedere ad uno più che mediocre patrimonio.
Mentre che 'l cavaliere di questo diceva, miravalo Preziosa attentamente e senza dubbio non le parevan se non buone le sue ragioni e la sua presenza e nobili maniere, e rivoltasi alla vecchia le disse:
Perdonatemi, avola, s'io mi prendo licenza di rispondere a questo tant'innamorato signore.
Rispondi pur, nipote, quello che vuoi disse la vecchia, che so che hai giudizio e discrezione in ogni cosa.
Io, signor cavaliere disse Preziosa, benché sia cingara, povera e bassamente nata, tengo qui dentro in questo corpo un certo spiritello fantastico che a cose grandi m'innalza.
Se con queste condizioni vuoi arrollarti per soldato nella nostra milizia, sta in arbitrio tuo il farlo; ma se mancherai in alcuna non pensar d'accostarti alla mia conversazione.
Restò stupido il gentiluomo delle parole di Preziosa e, come fuor di sé, posesi a guardare fissamente in terra, dando a conoscere ch'egli stava considerando quello che risponder dovesse.
Non è questo negozio di sì poco momento che nel breve spazio di tempo che noi abbiamo si possa o si debba risolvere.
Al che rispose il gentiluomo:
Quando il cielo mi dispose ad amarti, Preziosa mia, deliberai di far per te ogni cosa che fosse di tuo gusto e ti piacesse comandarmi, ancor che mai mi cadé in pensiero che tu dovessi chiedermi quello ch'ora mi chiedi.
Questo no, signor gentile rispose Preziosa, e sappi che meco ha da esser sempre una libertà non impedita e senza ch'ella sia soffocata né perturbata dalla molesta gelosia; e sappi ancora che non me ne prenderò tanto che non si conosca ben da lontano che la mia onestà è tanta quanta sia la mia licenza. La prima carica ch'io t'impongo è quella della confidanza che tu debbi aver in me.
Tu hai il demonio in corpo, fanciulla mia disse allora la vecchia cingara; tu dici cose che dir non le saprebbe un dottor del collegio di Salamanca. Tu sai d'amore, di gelosie, di confidenze. Come può esser questo? Tu mi fai impazzare e ti sto ascoltando come s'ascolta una inspiritata, quando parla latino senza averlo imparato e senz'intenderlo.
Taci, avola mia rispose Preziosa, e sappi che tutte le cose che tu mi senti dire sono da niente e bagatelle, rispetto a quelle molte più importanti ch'ancor mi restano in mente.
Tutto quello che Preziosa diceva e tutto il giudizio ch'ella mostrava di avere era un aggiongere legna al fuoco che ardeva nel petto dell'innamorato cavaliere Andrea.
Taci, figliuola, che il più certo segno che questo signor abbia dato d'essersi reso è l'aver dato l'arme per segno di rendimento; et il donare in qual si sia occasione fu sempr'indizio d'animo generoso.
Per vita vostra, avola disse Preziosa, non dite più altro, ch'avete punti e termini nell'allegare tante leggi circa ed in favore del ricevere il denaro che non v'arrivano quelle che fecero gl'imperadori. Restate dunque con quegli scudi, ed il buon pro vi faccia, e voglia Iddio che gli sotterriate in luogo di dove mai più tornino per occorrenza di bisogno a riveder la luce del sole.
Così elle vedranno queste monete soggionse la vecchia come ora le vede il gran turco. Ma questo liberal signore vedrà se gli sia restata qualche moneta d'argento, o quattrini, e gli spartirà fra di esse che d'ogni poco resteranno contente.
Sì che ne tengo disse il gentiluomo e cavò dalla tasca tre reali da otto e gli spartì fra l'altre tre cingarette che con quelli restarono più allegre e sodisfatte che non suole restare un componitor di comedia, quando in concorrenza ed a gara d'un altro sogliono in favor di lui sui cantoni delle strade affiggere cartelli che dicano o gridar quando ei passa: "Victor, victor".
Insomma concertarono, come s'è detto, la tornata colà d'indi a otto giorni e che il gentiluomo, fatto che fosse cingaro, si dovesse chiamare il Cavalier Andrea, a differenza e perché ancora fra gli altri cingari ve n'erano di questo proprio nome.
Non ebbe ardimento il Cavalier Andrea, così da qui innanti lo chiameremo, di abbracciare Preziosa, anzi lasciando in lei insieme con la vista l'anima, senza di quella, se questo si può dire, partissi ed entrossene in Madrid ed esse contentissime fecero il medesimo.
Tu sii la ben trovata, Preziosa. Hai tu mai letti i versi che poco fa ti diedi?
Al quale Preziosa:
Prima ch'io risponda alla tua dimanda, tu m'hai da dire una verità, per vita di chi più ami.
Questo è ben uno scongiuro disse allora il paggio, che, quantunque il dirla mi costasse la vita, non negarò in nessuna maniera di dirlati.
Or disse Preziosa, la verità che voglio che tu mi dichi è se per avventura sei poeta.
In quanto all'esser poeta rispose il paggio, sta bene che hai detto per avventura. Però, debbi sapere, Preziosa, che questo nome di poeta sono pochissimi che lo meritino; e così io non lo sono ma sì ben affezionato alla poesia; e quando che ho bisogno di versi io non vado a mendicare quelli d'altri. Quei che ti detti sono di mia invenzione ed ancor questi che ti do ora; ma non per questo sono poeta e che io lo sia tolgalo Dio.
Perché, è tanto male l'esser poeta? soggionse Preziosa.
Male non è rispose il paggio ma non sapere altro e non attendere ad altro che a poetare non l'ho per molto buona cosa.
Hassi da usare la poesia come una gioia preziosissima il cui posseditore non la porta ogni giorno, né a tutti né ad ogni passo la mostra, ma solamente quando conviene.
Con tutto ciò rispose Preziosa, ho udito spesso dire ch'ella poverissima sia ed abbia qualche cosa di mendica.
Anzi, è al contrario replicolle il paggio, perché non è poeta che non sia ricco, posciaché tutti si vivono contenti nel loro stato: filosofia che pochi conseguiscono.
Ma chi t'ha mossa, Preziosa, a farmi cotale domanda?
M'ha mosso a fartela rispose ella questo: che come io tengo tutti i poeti, o la maggior parte di essi, per poveri, gran meraviglia mi causò quello scudo d'oro che tu mi desti co' tuoi versi involto. Ma, ora ch'io so che tu non sei poeta ma solamente affezionato alla poesia, potrebbe essere che tu fossi ricco, di che dubito tuttavia, perché egl'è da presupporre che, quanto a quella parte che ti tocca di fare versi, verrai a consumare quanta robba tu tieni, atteso che nessun poeta, per quello che si dice, sa conservar la robba ch'egli possiede né acquistarsi quella che non ha.
Io dunque non son poeta soggionse il paggio, bench'io faccia versi, perché non sono né ricco né povero ma posso ben donare uno scudo o due a chi mi pare e piace, senza sentirne danno né scontarlo, come fanno i genovesi i lor conviti.
E così dicendo le diede la carta e tastandola Preziosa sentì che dentro era lo scudo e disse:
Ha questo foglio da vivere molti anni, perch'egli si tien in corpo due anime, una quella dello scudo e l'altra quella dei versi, i quali sempre vengono pieni d'anime e di cuori.
Però sappi, signor paggio, che non voglio tant'anime con esso meco e, se non ne caverai l'una, non pensar ch'io riceva l'altra. Per poeta ti voglio e non per donatore e di questa maniera l'amicizia fra noi potrà durare, poiché più presto può mancar uno scudo, per saldo ch'egli sia, che la fatica di fare i versi d'un romanzo.
Posciaché così è soggionse il paggio che tu vuoi, Preziosa, che povero per forza io sia, non rifiutare però l'anima che in quella carta t'invio e ritornami lo scudo, il quale, pur che con la tua mano lo tocchi, il serberò, come sogliono dire, per reliquia, mentre ch'averò vita.
Allora Preziosa cavò lo scudo dalla carta e glielo diede e si ritenne il foglio ma per decenza non volle leggerlo sulla strada.
Salite, putte, che qui vi sarà data limosina.
In questo dire si fecero alle finestre altri tre gentiluomini e con essi ancora l'innamorato Cavaliere Andrea, il quale, quando vidde Preziosa, se gli smarrì il colore in viso e stette in poco che non perdesse il sentimento, tanta fu la turbazione che gli arrecò quell'impensata di lei presenza.
Entrarono in casa tutte le cingarette e salirono alla sala e la vecchia restò da basso ad informarsi dai famigli di casa se fosse vero quello ch'Andrea aveva loro detto.
Questa, senz'altro, dev'essere la bella cingaretta che, come ho sentito dire, va per Madrid.
È dessa soggionse il Cavalier Andrea e senza dubbio è la più bella creatura che mai s'abbia veduto.
Così si dice disse allora Preziosa, che 'l tutto aveva udito entrando in sala ma affé che s'ingannano della metà del giusto prezzo.
Allora disse il cavaliere vecchio:
Per vita di don Giovannino mio figliuolo, che sete, o bella cingaretta, assai più bella di quello che si dice.
E qual è don Giovanni vostro figliuolo? domandò Preziosa.
Cotesto giovine rispose il cavaliere ch'avete allato.
Invero disse Preziosa ch'io credeva che voi giuraste per qualche vostro figliuolino di due anni. Guardate, per vita vostra, che don Giovannino è quello e che bamboccio. Vogliamo dir il vero, egli potrebbe esser già ammogliato e, per alcune linee che gli veggo in fronte, senza fallo non passeranno tre anni che lo sarà, e molto a suo gusto, purché sin a quel tempo egli non se la perda o gli si muti.
Basta disse uno di quelli ch'eran presenti, che la cingaretta s'intende di linee.
In questo, l'altre tre cingarette tiraronsi in un cantone della sala ed appressatesi l'una all'altra, per poter insieme parlare senza esser udite, con voce bassa disse Cristina:
Sorelle care, quello là è il cavaliere che questa mattina m'ha dati li tre reali.
Egli è vero dissero l'altre; ma zitto, non ce lo mentoviamo, se prima non ne parla; che sappiamo s'ei voglia che ciò si sappia?
Mentre che così stavano le cingarette a ragionare tra di loro, rispose Preziosa a colui che le aveva detto delle linee:
Io m'indovino toccando con il dito quello che veggo con gli occhi.
So del signore Giovannino, senza guardar a linee, ch'egli sia alquanto innamorato, cioè d'innamorata complessione, impetuoso e sollecito o frettoloso e gran promettitore di cose che paion impossibili; e voglia Iddio ch'egli non sia bugiardetto, che questo sarebbe il peggio di tutto.
Alle quali parole rispose don Giovannino:
Invero, cingaretta, che l'hai indovinata in molte cose della mia condizione ma nell'esser bugiardo tu non cogli nel segno, perché molto lontana sei dalla verità, attesso che io faccio professione di veritiere in ogni tempo.
Quietati, quietati, furiosetto, ed avvertisci bene a quello che tu fai avanti ch'ammogliarti e dacci un'elemosina per amor di Dio e per quello che sei, che senza dubbio credo che sii ben nato; e se con questo concorrerà ch'io abbia detto il vero canterò le tue vittorie e l'aver io ben accertato.
In quanto a quello che già t'ho detto, di nuovo io ti dico, Ninna le disse don Giovannino che doveva di breve esser il Cavalier Andrea, che in tutto ciò ch'hai detto t'aggiusti al vero, eccetto nel dubbio che dici avere ch'io non riesca verace, perché in questo tu t'inganni d'assai. La parola ch'io do in campagna l'attenderò nella città, o dovunque che sia, senz'esserne richiesto, poiché non può pregiarsi del nome di cavaliere chi dà nel vizio di bugiardo.
Udendo questo Cristina, con l'accorta segretezza dell'altra volta, disse all'altre cingarette:
Ch'io sia ammazzata, care sorelle, s'egli dice questo per i tre reali da otto che ci diede questa mattina.
Ciò non può essere rispose una dell'altre due, perché ha detto ch'erano dame e noi non siamo dame; ed essend'egli così verace, com'ei dice, non è credibile che volesse mentir in questo.
Non è bugia di tanta importanza replicò Cristina quella che si dice senza pregiudizio d'alcuno ma per comodo e credito di colui che la fa valere.
In questo stante salì le scale la vecchia cingara e disse:
Nipote mia, finisci, che si fa tardi e vi è molto che fare e più che dire.
E che cosa v'è di nuovo, avola? Vi è figliuolo o figliuola? disse Preziosa.
Figliuolo e molto gentile rispose la vecchia; vieni, Preziosa, ed udirai vere meraviglie.
Piaccia a Dio ch'egli non ci muora così presto come ci è nato disse Preziosa.
Tutto anderà bene replicò la vecchia e tanto più che sin qui è stato il parto felice e l'infante è Tutto anderà bene replicò la vecchia e tanto più che sin qui è stato il parto felice e l'infante è bello come l'oro.
Ha forse partorito qualche signora? addimandò il padre del Cavalier Andrea.
Signor sì rispose la cingara; ma il parto è stato tanto secreto che nessun l'ha saputo da Preziosa ed io in poi ed un'altra persona; ma non possiamo dire chi ella sia.
Né qui lo vogliamo sapere disse uno di quei gentiluomini ch'erano presenti; ma infelice è ben quella che fida i suoi secreti alle vostre lingue e che nel vostro aiuto pone il suo onore.
Noi cingare non tutte siamo cattive rispose Preziosa e forse vi è tale cingara fra noi che si pregia di essere secreta e verace tanto quanto il più attilato gentiluomo che sia in questa sala; orsù, avola, andiamo, che qui poca stima fanno di noi. Sappiate, signore, che non siamo ladre e non preghiamo nessuno.
Non andar in colera, Preziosa disse il padre del Cavalier Andrea, che almeno di voi credo che non si possa presumere cosa mala, perché la vostra buona ciera vi dà credito ed è sicurtà delle vostre buone opere.
Appena questo suono ebbe tocco l'orecchio della vecchia quando disse:
Orsù, figliuole, accingetevi e date spasso e contento a questi signori.
Pigliò Preziosa i suoi sonagli e, dando le lor giravolte attorno, fecero e disfecero tutti i lor lacci ed intrecci, con tanta grazia, sveltezza e prontezza che gli occhi di tutti parevano attaccati ai piedi di quelle, specialmente quelli del Cavalier Andrea che gli teneva fissi alli piedi di Preziosa, quasi avessero quivi avuto il centro della lor gloria; ma la mala sorte la perturbò in modo che gliela convertì in un inferno d'angustie e questo fu che nella fuga del ballo cadette a Preziosa il foglio che le aveva dato il paggio, ed appena era caduto che lo raccolse quel gentiluomo che non aveva in buon concetto le cingare ed aprendolo subito disse:
Abbiamo qui un buon sonetto; cessate di ballare ed ascoltatelo, che io giudico dal primo verso ch'egli non è punto da sciocco.
Dispiacque oltramodo a Preziosa per non sapere il tenore di quello, non avendolo ancora letto, per che pregò che non lo leggessero e ce lo tornassino e quella efficace istanza che ne faceva speronava ed affrettava il desiderio del Cavalier Andrea di udirlo. E finalmente il gentiluomo lo lesse ad alta voce e così diceva:
Cuando Preciosa el panderete toca
y hiere el dulce son los aires vanos,
perlas son que derrama con las manos,
flores son que despide de la boca.
Suspensa el alma y la cordura loca
queda a los dulces actos sobrehumanos,
que de limpios, de honestos y de sanos,
su fama al cielo levantando toca.
Colgadas del menor de sus cabellos
mil almas lleva, y a sus plantas tiene
amor rendidas una y otra flecha.
Ciega y alumbra con sus soles bellos,
su imperio amor por ellas le mantiene,
y aún más grandezas de su ser sospecha.
Da cavaliere disse colui che lesse il sonetto, che tiene grazia e se n'intende il poeta che l'ha fatto.
Non è poeta, signore disse Preziosa, ma un paggio molto garbato e molto da bene.
Avvertite, Preziosa, a quello che avete detto ed a quello ch'andarete dicendo, perché queste non son lodi da paggio ma lancie che trafiggono il cuore del Cavalier Andrea che le sta ascoltando. Volete ciò vedere, Ninna? Volgete gli occhi e lo vedrete quasi fuor di sé, sopra una seggia con sudori di morte. Non pensate, donzella, che questo Cavaliere v'ami da burla e che non lo turbi e ferisca la minima delle vostre inavertenze. Accostateveli in buonora e ditegli qualche parola all'orecchio che vada diritto al cuore e lo ritorni in sé; o, se no, andate ogni giorno a pigliar sonetti in lode vostra e vedrete a che termine ve lo ridurranno.
Che hai, don Giovannino, che pare che tu senta qualche svenimento, per quel che ne mostra lo smarrito colore.
Aspettate disse allora Preziosa, lasciatemegli dire alcune parole all'orecchia e vedrete che lo ritorneranno subito in sé.
Ed appressandosi a lui gli disse, quasi senza muovere le labbra:
O gentil animo per esser cingaro, come potrete, Andrea, sofferire il tormento che tocca da dovero, poiché non potete sopportare quello solamente dipinto in una carta?
E facendoli meza dozzina di segni sopra il cuore appartossi da lui; ed allora Andrea Cavaliere respirò un poco e diede segno che le parole di Preziosa gli avevano giovato. Finalmente la doppia d'oro da due faccie fu data a Preziosa ed ella disse alle sue compagne che la scambierebbe e spartirebbe fra di loro eguale ed onoratamente.
Cabecita, cabecita,
tente en ti, no te resbales,
de la paciencia bendita;
solicita
la bonita
confiancita,
no te inclines
a pensamientos ruines,
verás cosas
Dios delante
y San Cristóbal gigante.
Quando la cingara vecchia udì l'astuzia e l'impostura dello scongiuro, restò stupefatta ma molto più il Cavalier Andrea che vidde esser tutto invenzione del suo acuto ingegno.
Sappi, signore, che qualsivoglia giorno di questa settimana è prospero per partenze e nessuno è sfortunato; affretta il partirti più presto che potrai, che t'aspetta una vita larga, libera e molto gustosa, se vuoi accomodarti ad essa.
Non è tanto libera rispose don Giovanni quella del soldato, al mio parere, ch'essa non abbia più di soggezione che di libertà. Pure con tutto questo farò ciò che vedrò essere per il meglio.
Più vedrai soggionse Preziosa di quello che tu pensi e Dio ti guidi e ti dia felice viaggio, come merita la tua buona e nobile presenza.
Di queste ultime parole restò contento il Cavalier Andrea e le cingare sodisfattissime si partirono.
Poscia scambiarono la doppia ed egualmente spartirola fra esse, ancorché la vecchia guardiana si ritenesse sempre una parte e mezza di più di quello che si raccoglieva, sì per la maggioranza come perch'ella era la bussola, per la qual si guidavano nel gran mare de' loro balli, facezie ed inganni.
Vene finalmente quel giorno che il Cavalier Andrea una mattina molto per tempo comparve sopra una mula da nolo senza nessun servitore, nel medesimo luogo dove la prima volta parlò con Preziosa, ed ivi trovolla insieme con l'avola sua, le quali, avendolo conosciuto, lo ricevettero con molta allegrezza.
Entrò il Cavaliere Andrea in una di quelle, che era la maggiore dell'albergo, e subito corsero a vederlo dieci o dodici cingari tutti giovanni e tutti gagliardi e disposti, a' quali già la vecchia aveva dato conto del nuovo compagno che doveva venire né fu bisogno di raccomandar loro tener secretta quella sua venuta, perché, come già si è detto, osservano la segretezza con molta sagacità e puntualità mirabile e mai veduta altrove.
Questa si potrà vendere giovedì in Toledo.
Questo no disse il Cavalier Andrea, perché non c'è mula da nolo che non sia conosciuta da tutti i vetturini che noleggiano in Ispagna.
Per mia fé, signor Cavalier Andrea disse uno de' cingari, che, se ben la mula avesse più segni che non ha il zodiaco, qui la trasformaremo in maniera che non la conoscerebbe la madre che la partorì né il padrone che l'ha allevata.
Ciò nonostante disse il Cavalier Andrea, per questa volta si ha da seguir il mio parere per il meglio.
È peccato grande disse un altro cingaro; ad una innocente si ha da levar la vita? Non dir tal cosa, buon Cavaliere, ma fa' così: guardala ben adesso, di modo che ti restino ben impressi tutti i suoi segni nella memoria, e lasciala a me e, se da qui a due ore la conoscerai, che sia io inlardelato come un moro fuggitivo.
A patto alcuno disse il Cavalier Andrea acconsentirò che la mula non muora, ancorché più mi assicuri la sua trasformazione. Io temo essere scoperto, s'ella non sarà coperta di terra.
Poiché così vuole il signor Andrea Cavaliere disse un altro cingaro, muoia l'inocente; e sa Dio se mi rincresce, sì per la sua gioventù, poscia che fa ancora denti, cosa non solita fra le mule da nolo, come perché la deve caminar bene, poiché non ha croste ne' fianchi né segno alcuno di spronate.
Prolongossi la sua morte sin alla notte e, nel tempo che restava di quel giorno, si fecero le cerimonie dell'entrata ed assonzione del Cavalier Andrea ad esser cingaro e furono in questo modo: subito sgombrarono un albergo de' migliori della lor abitanza e l'infrascarono di rami e giunchi e, facendo sedere il Cavalier Andrea sopra un tronco di sughero, gli posero in mano un martello ed una tenaglia ed al suono di due chitarre, che dui cingari suonavano, gli fecero spicare due capriole, poi gli snudarono un braccio e, con una cintola di seta nuova legatolo ed avvoltatala con un bastone, glielo strinsero pianamente.
Questa fanciulla, ch'è il fiore ed ornamento di tutta la bellezza delle cingare che noi sappiamo che siano in Ispagna, ti consegniamo finora o per sposa o per amica, che in questo tu puoi fare ciò che più sarà di tuo gusto, perciò che la libera e larga nostra vita non è soggetta a molti accarezzamenti.
Noi osserviamo inviolabilmente la legge dell'amicizia, niuno sollecita quel dell'altrui; viviamo esenti e liberi dell'amara pestilenza delle gelosie fra noi; e, se bene vi sono molt'incesti, non vi sono però adulteri e, quando vi cade la moglie propria od in qualche vigliaccheria l'amica, non andiamo dalla giustizia a domandar gastigo; noi stessi siamo i giudici ed i carnefici delle nostre spose od amiche; con la medesima facilità le ammazziamo e le sotterriamo per le montagne e per i deserti, come se fossero animali nocivi, e non ci sono parenti che le vendichino, né padre né madre che ci domandino conto della lor morte.
Con queste e con altre leggi e statuti ci conserviamo e viviamo allegri, siamo signori delle campagne e delli seminati, delle selve, de' monti, de' fonti e de' fiumi.
Dal sì al no non facciamo differenza, quando il dirlo fa per noi. Per noi si allevano le bestie da somma ne' campi e si tagliano le borse nelle città.
Siamo astrologi rustici, perciò che dormendo noi quasi sempre al cielo scoperto, a tutte l'ore sappiamo quelle che son del giorno e quelle della notte. Veggiamo come l'aurora nasconde e fa sparire le stelle e come ella spunta fuora con l'alba sua compagna, rallegrando l'aria, raffreddando l'acqua, inumidendo la terra, e dopo quella il sole che vien indorando le cime dei monti; né temiamo di gelarci per la sua assenza o quando per essere più vicino a noi ci percuote debolmente, né di abbrusciarsi, quando più alto ne saetta con più forza co' suoi raggi ardenti; gli facciamo il medesimo viso che al giaccio ed alla sterilità il medesimo ancora che all'abondanza.
Tacque l'eloquente e vecchio cingaro ed il novizio rispose che si rallegrava pur assai di aver saputo sì lodevoli statuti e ch'egli pensava di far professione in quegli ordini così ben fondati in ragione come in finissima politica, e che solo gli rincreseva non esser venuto più presto al conoscimento di sì allegra vita, e che da quell'ora rinonziava la professione di cavaliere e la gloria vana del suo illustre linaggio; ed il tutto poneva sotto il giogo o, per dir meglio, sotto le leggi con che essi vivevano, poiché con sì alta ricompensa sodisfacevano al desiderio ch'egli teneva di servirgli, dandogli la bellissima Preziosa, per la quale egli lascierebbe corone ed imperi o solo gli desidereria per servirla.
Al che rispose Preziosa in questi termini:
Ancorché questi signori nostri legislatori abbiano trovato per le sue leggi ch'io sia tua e che per tua mi ti hanno data, con tutto ciò ho trovato per la legge della mia volontà, ch'è la più forte di tutte, che tua non debbo né voglio essere, eccetto con le condizioni che innanzi che qua venissi fra noi due concertammo. Due anni hai da vivere nella nostra compagnia, prima che tu godi la mia, acciò che tu non abbi poi da pentirti d'essere stato leggiero né io resti ingannata per esser troppo credula e frettolosa. I patti rompono le leggi. Se quelle che ti ho proposte vorrai osservare, potrà essere ch'io sia tua e tu mio e, quando non vogli osservarle, ancora non è morta la mula, i tuoi panni sono intieri e de' tuoi denari non ci manca pur un quattrino.
Ci sono occhi ingannati, perché a prima vista tanto gli pare l'orpello quanto il fin oro; ma poco dopo conoscon bene la differenza ch'è dal vero al falso.
Tu hai ragione, Preziosa disse il Cavalier Andrea, e così, se tu vuoi che io assicuri i tuoi timori e levi li tuoi sospetti giurandoti che non trasgredirò un sol punto degli ordini che m'averai imposti, guarda che giuramento ti piace ch'io faccia o che altra sicurtà possa darti, che a tutto prontissimo mi troverai.
Le promesse ed i giuramenti che fa lo schiavo affinché gli sia data la libertà, poche volte si adempiscono. E tali sono, secondo me, quelli degli amanti, i quali per conseguire i loro desideri promettono le ale di Mercurio ed i fulmini di Giove, come promise a me un certo poeta e giurava per la laguna Stigia.
Così fia rispose Andrea Cavaliere; sol una cosa chieggo a questi signori e compagni miei ed è che non mi sforzino a rubbare alcuna cosa, almen per lo spazio d'un mese, perché mi pare che non saprei accomodarmi ad esser ladro, se prima non precedessero molte lezioni.
Taci, figliuolo disse il cingaro vecchio, che qui ti ammaestraremo di modo tale che nell'uffizio riuscirai un'aquila velocissimamente griffagna; e quando l'averai appreso lo gusterai di sorte che te ne leccherai le dita e non sapresti mai lasciarlo. È cosa da burla l'uscire voto la mattina dell'albergo e tornarvi la sera carco?
Ho visto alcuni di questi voti rispose il Cavalier Andrea tornarvi carchi di bastonate.
Non si pigliano trutte, etc. soggiunse il vecchio, perché tutte le cose di questa vita son sottoposte a qualche pericolo e le azioni del ladro sono soggette a quello della galera, de' frustamenti e della forca; però, non perché un navilio corra pericolo, sbattuto da tempesta, di affondarsi o fracassarsi contra uno scoglio, gli altri hanno da lasciare la navigazione. Buona sarebbe che, perché alla guerra muoiono tanti uomini e cavalli, si lasciasse di fare altri soldati e cercar altri cavalli.
Dunque per ricompensa disse il Cavalier Andrea di quello ch'averei potuto rubbare in questo tempo che mi vien conceduto di soprastare, voglio spartire dugento scudi d'oro fra tutti di quest'albergo.
Appena egli ebbe ciò detto che con grandissima prestezza gli accorsero attorno una mano di cingari ed alzandolo di peso e portandolo sopra le spalle gridavano: "Viva, viva il gran Cavalier Andrea", aggiongendo anco: "Viva, viva la bella Preziosa sua amata gioia".
Il dì seguente il Cavalier Andrea gli pregò che mutassero sito e si allontanassero da Madrid, perché temeva d'essere conosciuto, se quivi più lungamente stesse; eglino dissero che già avevano determinato d'andarsene verso i monti di Toledo e quindi scorrere e rubbare tutto 'l paese circonvicino.
D'indi a quattro giorni giunsero ad una terra distante sette miglia da Toledo, ove fermaron la loro abitazione, depositando prima nelle mani del castellano, o giudice, del luogo alcune tazze d'argento, per sicurtà che in quella, né in tutto il suo territorio, non rubbariano cosa alcuna.
Usando dunque tale industria in men d'un mese portò più utile alla compagnia lui solo che non fecero quattro de' più forbiti ladroni di quella, di che non poco si rallegrava Preziosa, veggendo il suo tenero amante sì lesto ed ispedito ladrone. Con tutto ciò temeva grandemente di qualche disgrazia, perché non averebbe voluto vederlo in alcuno pericolo per tutto il tesoro di Venezia, essendo obligata ad avergli quella buona volontà, per i molti regali con ch'egli l'accarezzava.
Poco più di un mese stettero i cingari nelli contorni di Toledo, dove fecero la lor raccolta, se ben era già di settembre, ed indi entrarono in Estremadura per essere paese non men ricco che caldo.
Passava il Cavalier Andrea con Preziosa parte del tempo in amorosi, discreti ed onesti ragionamenti ed ella a poco a poco andava innamorandosi del discreto e bel procedere del suo amante; e nel medesimo modo l'amor di lui sarebbe andato crescendo, se avesse potuto crescere, tant'era l'onestà, discrezione e bellezza della sua Preziosa.
Occorse poi che avendo eglino piantati li suoi alloggiamenti fra alcune quercie alquanto appartate dalla strada maestra, circa la mezzanotte udirono abbaiare i loro cani con forte veemenza e più del solito. Vennero fuora degli alberghi alcuni cingari, ed insieme con essi il Cavalier Andrea, per vedere contra chi eglino abbaiassero, e viddero che da quelli si diffendeva un uomo vestito di bianco, a cui due cani teneano co' denti afferrata una gamba. Accostaronsi presto e levaronglili d'intorno ed uno di quei cingari gli disse:
Che diavolo vi ha condotto qua, uomo da bene, ed a quest'ora e tanto fuor di strada? Venite forse per rubbare? Se così è, certo che siete gionto a buon porto.
Non vengo a rubbare disse il morduto e non so s'io venga fuor di strada o no, ancorché ben conosco che non so dove conduca questa.
Non v'è luogo né osteria rispose il Cavalier Andrea dove possiamo inviarvi; ma per medicare le vostre morsicature ed albergarvi questa notte non vi mancherà comodità nelle nostr'abitanze.
Dio l'usi con voi rispose l'uomo e conducetemi dove volete, che il dolore di questa gamba mi travaglia estremamente.
Se gli fece dappresso il Cavalier Andrea ed un altro cingaro caritativo, perché anco fra i demoni alcuni sono men cattivi degli altri e fra molti pessimi uomini suol essere qualcuno buono, ed amendue lo condussero ai loro alberghi.
Prese alcuni peli de' cani ch'avevano morduto e fecegli frigger nell'olio, poi, lavate con vino le due morsicature ch'aveva il giovine nella gamba sinistra, gli pose sopra con l'olio insieme ed un poco di rosmarino fresco masticato e fasciò molto bene con pezze nette e segnolle con alquanti segni di croce, dicendogli:
Dormite, amico, che con l'aiuto di Dio non sarà altro.
Intanto ch'ella lo medicava, stava presente Preziosa e lo mirava fissamente ed il medesimo faceva egli a lei, di modo che 'l Cavalier Andrea s'accorse dell'attenzione con che il giovane stava mirandola; ma ciò egli attribuì all'esser impossibile che la molta di lei bellezza non traesse a sé gli occhi di chiunque la mirava.
Ti ricordi, Andrea, d'una carta che mi cadé in casa tua, quando io ballava con le mie compagne, e ch'io credo ti diede gran martello?
Me ne ricordo rispose egli e ch'era un sonetto in tua lode ed assai buono.
Hai dunque da sapere seguitò Preziosa che colui che lo fece è quel giovine morsicato ch'abbiam lasciato nella tua capanna ed è certo che non m'inganno punto, perché parlò con esso meco in Madrid due o tre volte; e di più diedemi una molto buona canzone. Quivi, se bene mi ricordo, egli andava vestito da paggio, non come degli ordinari ma come delli favoriti di qualche prencipe. Et invero ti dico, Cavaliere Andrea, che il giovine è discreto, di buon discorso e sopramodo onesto. Non so che cosa io m'abbia da imaginare della sua venuta in questo luogo ed in quell'abito.
Che cosa t'abbi da imaginare, Preziosa disse il Cavaliere, te la dirò: nessun'altra, se non che la medesima forza che ha fatto me cingaro ha fatto lui travestire da mulinaio per venir a cercarti. Ah, Preziosa, Preziosa, come si va scuoprendo che tu ti pregi aver più d'un amante!
Ah, Dio aiutami disse allora Preziosa, o quanto tu sei delicato, Cavaliere Andrea, in pensar male! Et a quanto sottil capello tieni appese le tue speranze e la mia fede, poiché con tanta facilità t'ha penetrata l'anima l'acuta spada della gelosia.
Sappi, Andrea, che a me non rincresce il vederti geloso ma mi rincresce bene il vederti niente discreto.
Purché tu non mi vegga diventar pazzo, Preziosa disse il Cavaliere, ogn'altra dimostrazione sarà poca o da nulla per poter dare ad intendere dove gionge e quanto travaglia l'amara e penosa gelosia.
Io m'imagino che mai la gelosia non lascia l'intelletto libero, acciò ei possa giudicare le cose per quello ch'esse sono. Sempre guardano i gelosi con quegl'occhiali che fanno parer grandi le cose picciole, giganti i nanni ed i sospetti veritadi.
Con questo ella prese licenza dal Cavalier Andrea, il quale, avendo l'animo pien di turbazione e di mille tra sé contrarie imaginazioni, aspettò che spuntasse il giorno per intendere dal morduto a che far egli era venuto in quel luogo.
Fratello, s'io fossi giudice e voi foste caduto sotto la mia giuridizione per qualche delitto, per lo quale io dovessi farvi gl'interrogatori che vi ho fatti, la risposta che m'avete fatta m'obligherebbe a farvi dare tratti di corda.
Io m'imagino una cosa, se non travia la mia imaginazione, che voi vi sete incontrato con la vostra buona ventura nell'esservi incontrato in me.
È vero disse il morsicato, e ce l'ho veduta questa notte parole per le quali il Cavalier Andrea restò come difunto, parendogli che fosse gionto al capo della confirmazione del suo sospetto,
Dunque seguitò il Cavaliere, voi siete il poeta che vi ho detto.
Io son quello rispose il giovine, che né posso né voglio negarlo; e forse potrebbe essere che, dove io abbia pensato di perdermi, fossi venuto a guadagnarmi, se fedeltà si trova nelle selve e rifugio ne' monti.
La vi si trova senza dubbio disse il Cavalier Andrea e fra noi cingari la maggior secretezza del mondo.
Denari tengo rispose il giovane in queste maniche di camiscia ch'io porto attraversata su per le spalle e sono quattrocento scudi d'oro.
Fu questa un'altra ferita mortale che penetrò il Cavaliere, veggendo che 'l portar tanti denari colui non poteva esser per altro che per comprarsi il suo caro pegno. E con voce quasi tremula disse:
Questa è buona quantità, non occorre altro, se non manifestare il vostro intento e quello sortirà effetto e la fanciulla, ch'è niente sciocca, conoscerà di che vantaggio le potrà essere se sarà vostra.
Ahi! Amico, sappiate che la forza che mi ha fatto mutare l'abito non è quella d'amore né il desiderare Preziosa, come voi dite, perciò che in Madrid non mancano di molte belle che possono e sanno rubbar i cuori e cattivare l'anime sì destramente e meglio che le più belle cingare, ancorch'io conceda che la bellezza di questa vostra parente avanza quanto ho mai vedute.
Per queste parole che 'l giovine andava dicendo, si sentiva il Cavalier Andrea ricuperando gli spiriti smarriti, parendogli che fossero indrizzate ad altro fine, differente da quello ch'egli s'era imaginato; e desideroso d'uscire di quella confusione tornò ad assicurarlo che poteva sicuramente aprirgli il suo secreto; ond'egli seguitò dicendo:
Io stava in Madrid in casa d'un signore de' principali, e titolato, il quale io serviva non come mio signore ma come mio parente.
Infine, di parere del conte mio parente e dei sopradetti uomini, dopo quindici giorni che stemmo ascosi il mio compagno, vestitosi da contadino, se n'andò alla volta di Aragona con pensier di passarsene in Italia ed indi sin in Fiandra, per aspettare che fine averebbe avuto questo caso.
Egli è così rispose il Cavalier Andrea ed ora la lasciate alla man destra ottanta miglia incirca da questo luogo, acciò che voi sappiate quanto diritto viaggio avreste fatto, se vi foste stato.
Quello che in effetto ho pensato di fare soggionse il giovine non è più oltra di Siviglia, che quivi sta un gentiluomo genovese, amicissimo del conte mio parente, il quale suole mandar a Genova gran quantità d'argento; ed io fo disegno ch'egli m'accomodi con quelli ch'hanno da condurlo, come s'io fossi uno di essi, e con questo stratagema potrò passare sicuramente insin a Cartagena e d'indi in Italia, perché di breve debbono venir due galere ad imbarcare quest'argento.
Sì che vi condurranno rispose il cavalier Andrea; e se non verrete nella nostra compagnia, perché sin adesso non so s'ella abbia da gire all'Andalogia, andrete con un'altra, la quale, per mio credere, incontraremo fra due giorni e, dando loro qualche cosa di quello che con voi avete, faciliterete con essi e superarete ogni difficoltà.
Lasciollo il Cavaliere Andrea ed andò a dar conto agli altri cingari di quanto il giovine narrato gli aveva e di quanto desiderava, con l'offerta di buona paga e ricompensa.
Furono tutti di parere ch'egli restasse nella lor compagnia ma solo Preziosa non ci acconsentiva, manco l'avola sua, perch'ella non ardiva andare a Siviglia né alli suoi contorni, perciò che negl'anni passati aveva fatta una burla in quella terra ad un berrettaio chiamato Trighiglio, molto conosciuto in essa, il quale ignudo ella aveva fatto porre in un tinazzo pieno d'acqua fino al collo e postogli in capo una corona di cipresso, aspettando la mezzanotte, che in quel punto egli doveva uscire dal tinazzo a zappare e cavare un gran tesoro, ch'essa gl'aveva fatto credere star sotterrato in una certa parte della sua casa, e per averglielo rivelato aveva da lui tocchi molti denari. E quando il berrettaio udì suonare il matutino a mezzanotte, per non perdere congiontura di zappar all'ora prefissa, volle uscire con tanta fretta ch'egli ed il tinazzo dettero in terra e dal gran colpo della caduta e dei pezzi del tinazzo rottogli addosso se gl'ammaccarono le carni, si sparse l'acqua ed ei restò come se s'annegasse in quella, per che cominciò a fortemente gridare che s'affogava. Vi corsero la moglie ed i vicini con lumi e trovaronlo facendo effetti di nuotatore, sbuffando e strascinando la panza per terra ed allargando e dibattendo le braccia e le gambe con molta fretta e gridando quanto poteva: "Aiuto, signori, ch'io m'annego". Tant'era la sua paura che veramente non conosceva altro se non d'essere in un lago dov'egli s'affogasse.
L'abbracciarono subito cavandolo di quel pericolo e ritornato in sé ebbe da raccontar la burla della cingara; e con tutto ciò zappò in quella parte ch'ella gl'aveva detto più che d'un braccio in profondo, al dispetto di quanto gli dicevano ch'era inganno della cingara; ed averia continovato quel zappare, se non gliel'avesse impedito un suo vicino, perché aveva già cominciato a toccare le fondamenta della sua casa e di modo ch'averebbe fatto rovinare amendue, quella e questa.
I cingari, che già sapevano dal Cavalier Andrea che 'l giovane aveva soldi in buona quantità, facilissimamente lo riceverono nella lor compagnia, con offerirgli di guardarlo ed occultare tutto il tempo ch'egli vorrebbe, e deliberarono di torcere il viaggio a man sinistra ed entrar nella Mancia e nel regno di Murcia, poscia chiamarono il giovine e gli dissero quello che volevano per lui fare. Ei gli ringraziò e donò loro cento scudi in oro, acciò se gli spartissero fra tutti. Con questo donativo restarono inteneriti più che non è una mela ben cotta e molto affezionati verso di lui. Solo a Preziosa non piacque che don Sancio con loro si restasse, questo disse il giovene esser il suo vero nome, ma nonostante ciò i cingari glielo mutarono chiamandolo Clemente e così da indi in poi lo chiamarono sempre.
Lasciaron dunque l'Estremadura ed entrarono nella Mancia e caminando a poco a poco gionsero nel regno di Murcia
Insino dalla prima volta che tu sei gionto a questi nostri alloggiamenti, io ti conobbi, Clemente, e mi venne in mente che tu mi desti alcuni versi in Madrid ma cosa alcuna non volli dire, perch'io non sapeva con che intenzione eri venuto qua; e quando seppi della tua disgrazia mi rincrebbe nell'anima e poi rassicurossi l'animo mio, ch'era tutto turbato, pensando che, come vi erano nel mondo dei don Giovanni che si mutavano in Cavalieri Andrea, così vi potessero essere delli don Sanci che si mutassino in altri nomi.
Io voglio che tu mi contracambi questo buon desiderio con non rinfacciar mai al mio Cavalier Andrea la bassezza del suo intento né gli metti davanti agli occhi quanto disdica alla qualità sua il suo perseverare in questo stato, che, quantunque io creda che sotto alla chiave della volontà mia stia la sua, però a me rincrescerebbe molto vederlo mostrar segni, per minimi che fossero, di qualche pentimento.
A questo rispose Clemente:
Non credere, unica Preziosa, che 'l Cavalier Andrea con leggierezza d'animo m'abbia scoperto chi egli sia; prima l'ho conosciuto io ed i suoi occhi mi scuopriron i suoi pensieri.
Disse Clemente queste parole con tanto affetto che 'l Cavaliere stette in dubbio se quelle avesse dette come innamorato o come uomo discreto e cortese, perciò che della gelosia l'infernale infermità è di tal sorte ch'ella nasce da un atomo, perché s'egli tocca la cosa amata, l'amante s'ange e si dispera.
Tuttavia, egli non ebbe per sì fatte parole la gelosia confirmata, fidandosi molto più nella fede di Preziosa che nella sua buona ventura, perché sempre gl'innamorati si chiaman infelici, mentre che non conseguiscono quello che bramano.
Occorse dunque ch'essendo la compagnia alloggiata in una valle distante sedici miglia da Murcia, una sera per passar tempo, stando a sedere Andrea al piè d'un sughero e Clemente a quello d'una quercia, ciascuno con la sua chitarra ed invitati dal silenzio della notte, a vicenda cantarono i seguenti versi:
Mira, Clemente, el estrellado velo
con que esta noche fría
compite con el día
de luces bellas adornando el cielo;
y en esta semejanza,
si tanto tu divino ingenio alcanza,
aquel rostro figura
donde asiste el estremo de hermosura.
CLEMENTE
Donde asiste el estremo de hermosura,
y adonde la preciosa
honestidad hermosa
con todo estremo de bondad se apura,
en un sujeto cabe,
que no hay humano ingenio que le alabe,
si no toca en divino,
en alto, en raro, en grave y peregrino.
ANDRÉS
En alto, en raro, en grave y peregrino
estilo nunca usado
al cielo levantado,
por dulce el mundo y sin igual camino,
tu nombre, ¡oh gitanilla!,
causando asombro, espanto y maravilla,
la fama hoy quisiera
que le llevara hasta la octava esfera.
CLEMENTE
Que le llevara hasta la octava esfera,
fuera decente y justo,
dando a los cielos gusto,
cuando el son de su nombre allá se oyera,
por donde el dulce nombre resonara
música en los oídos,
paz en las almas, gloria en los sentidos.
ANDRÉS
Paz en las almas, gloria en los sentidos
se siente cuando canta
la sirena, que encanta
y adormece a los más apercebidos,
y tal es mi Preciosa,
que es lo menos que tienes ser hermosa,
dulce regalo mío,
corona del donaire, honor del brío.
CLEMENTE
Corona del donaire, honor del brío,
eres bella gitana,
frescor de la mañana,
céfiro blando nel ardiente estío,
rayo con que amor ciego
converte el pecho más de nieve en fuego,
fuerza que ansí la hace,
que blandamente mata y satisface.
Davano segni il libero ed il cattivo di non finire così presto, se non avessero udito risuonarsi alle spalle la voce di Preziosa, che la lor aveva sentito, e per udirla meglio e senza moversi con grand'attenzione e meraviglia stettero ad ascoltarla.
En esta empresa amorosa,
donde al amor entretengo,
por mayor ventura tengo
ser honesta que hermosa.
La que es más humilde planta,
si la subida endereza,
por gracia o naturaleza
a los cielos se levanta.
En este mi bajo cobre,
siendo honestidad su esmalte,
no hay buen deseo que falte
ni riqueza que no sobre.
No me causa alguna pena
no quererme o no estimarme,
que yo pienso fabricarme
mi suerte y ventura buena.
Haga yo lo que en mí es,
que a ser buena me encamine,
y haga el cielo y determine
lo que quisieres después.
Quiero ver si la belleza
tiene tal prerrogativa,
que me encumbre tan arriba,
que aspire a mayor alteza.
Si las almas son iguales,
podrá la de un labrador
igualarse por valor
con las que son imperiales.
De la mía lo que siento
me sube al grado mayor,
porque majestad y amor
no tienen un mismo asiento.
Qui Preziosa pose fine al suo canto ed il Cavalier Andrea e Clemente si fecero in piedi per riceverla. Tra loro tre passarono discreti ragionamenti e Preziosa nel suo parlare fece conoscere tanta discrezione ed onestà esser in lei, accompagnata dall'acutezza del suo bell'ingegno, che appo di Clemente l'intenzione del Cavaliere trovò discolpa, che sin allora non l'aveva ancor trovata, perché attribuiva più a gioventù che a prudenza quella sua precipitosa determinazione.
Cavaliere Andrea che già ella sapeva il suo nome, io sono donzella e ricca, perché la mia madre altri figliuoli non ha che me e questa casa è sua; ed oltre a questo ha molte vigne ed altre quattro case;
Restò stupito il Cavalier Andrea della risoluzione della Carduccia e con quella prestezza ch'ella aveva chiesto le rispose:
Signora donzella, ho già data parola di ammogliarmi e non s'ammogliano i cingari se non con cingare; però Iddio vi dia ogni bene e vi guardi da male, per tanta grazia che voi mi volevate fare, della quale non sono degno.
Stette quasi la Carduccia per cader morta all'acerba risposta del Cavaliere, a cui avrebbe replicato altre parole, se non avesse veduto ch'entravano altri cingari nel cortile.
Giuravano tutti i cingari che cosa alcuna non avevan rubbata e vuotarebbono tutti i sacchi e ripostigli della lor compagnia.
Signora donzella, quest'è la mia guardarobba e questo il mio asino, se voi troverete in quella ciò che dite mancarvi, voglio pagarvelo sette volte più di quello che vale, oltra il sottopormi al gastigo che dà la legge ai ladri.
Corsero subito i ministri della giustizia a svaliggiare ed a cercare in quelle robbe; e poco ebbero cercato che trovaron il furto, di che restò sì sbigottito e spaventato il Cavaliere, e come fuor di sé, che fatto immobile pareva che trasmutato fosse in una pietra.
Oh! Dunque non fu vano il mio sospetto disse allora la Carduccia; guardate, signori, come sotto sì bella ciera si cuopre un sì gran ladrone.
Il giudice del luogo, ch'era presente, prese a dire mille ingiurie al Cavaliere ed a tutti i cingari chiamandoli publici ladri ed assassini da strada.
Non vedete com'è restato confuso il cingaro ladron esperto ed invecchiato nel rubbare?
Il che dicendo egli, senza far più parole, alzò la mano e gli dette una guanciata a braccio sciolto, e sì gagliarda, che lo fece tornar in sé e gli destò nella memoria ch'ei non era allora il Cavalier Andrea ma sì ben don Giovanni, e vero cavaliere, perciò che subito egli assalì il soldato con gran prestezza e con più colera, cavandogli per forza dal fodero la propria spada, gliela rinfoderò nel corpo gittandolo morto a terra.
Finalmente furono tanti ad avventarsi addosso al Cavaliere che restò preso e con due molto grosse catene l'incatenarono.
Fece il giudice prendere tutti quei cingari e cingare ch'egli puoté, perché la maggior parte d'essi era scampata via e fra loro Clemente che temé d'esser colto ed iscoperto.
Infine, con un sommario dell'informazioni del caso e con una gran fila di cingari, il giudice, i suoi ministri ed altra gente armata entrarono in Murcia, fra' quali era Preziosa ed il povero Cavaliere tutto avvinto e carco di catene e con manette alle mani ed i ceppi a' piedi, sopra un mulo.
Con ragione la lodano per bella.
Ed accostandosele abbracciolla teneramente e non si saziava di mirarla e domandò a sua avola di che età era quella fanciulla.
Ell'ha quindici anni rispose la cingara e due mesi, poco più o meno.
Tanti ne averebbe ora disse la gentildonna l'infelice mia Costanza. Ohimè! Questa fanciulla m'ha rinovata la memoria della mia disgrazzia.
Allora Preziosa prese le mani di lei e, baciandogliele per molte volte, bagnolle con le sue lagrime e le diceva:
Signora mia, il cingaro prigione non ha colpa, perché fu provocato a fare quello che fece; fu chiamato ladrone e non è tale; e gli fu dato uno schiaffo sul viso, nel quale ben si scorge la bontà dell'animo suo.
Mentre questo diceva la cingaretta, giammai non le lasciò le mani né lasciò di mirarla attentissimamente, spargendo amare lagrime in molta abondanza. Medesimamente la gentildonna teneva con le sue mani quelle di Preziosa mirandola con non minor attenzione e con non manco lagrime.
In questo mentre gionse il podestà e, trovando la sua consorte e Preziosa ambe piangenti e tanto strettamente attaccatesi l'una con l'altra per le mani, restò meravigliato, sì di quel pianto come della fanciulla. Dimandò della cagione di quel dolore, allora Preziosa, perché gli rispondesse, lasciò le mani della signora e gittandosegli davanti inginocchioni s'attaccò a' suoi piedi, dicendo:
Misericordia, signore, misericordia, se 'l mio sposo muore sarò morta anch'io. Egli non è in colpa o, se la tiene, sia data a me la pena; o pur, se questo non possa conseguirsi, almeno si trattenga il processo, con prolungare l'espedirlo sin che si cerchino i mezi possibili per aiutarlo, che potrebb'essere che quello che non peccò maliziosamente fosse liberato dal cielo che gli mandasse la salute di grazia.
Con nuova meraviglia e sospensione d'animo restò il podestà, udendo le discrete parole della cingaretta; e s'egli non si fosse ritenuto, per non dar alcun segno ed indizio di debolezza, non v'era dubbio che l'averebbe accompagnata nelle sue lagrime.
Di grazia, signori, le signorie vostre m'aspettino un poco ed io farò che questi pianti convertirannosi in allegrezza, ancorché mi ci andasse la vita.
E così con leggiero passo se n'uscì della sala, lasciando gli astanti molto stupiti per quello che detto aveva.
Ritornò la cingara con uno cassettino sotto il braccio e disse alla signora consorte del podestà che essi con lei entrassino in una camera più appartata, perché aveva cose grandi da dire loro in secreto.
Se le buone nuove che voglio darvi, signori, non meritassero di conseguire per mancia il perdono d'un mio gran fallo, son qui per riceverne il gastigo che mi vorrete dare. Ma avanti ch'io lo confessi vorrei, signori, che mi diceste se conoscete questi gioielli.
Ed aprendo il cassettino dentro del quale erano quelli di Preziosa lo pose in mano al podestà, il quale vidde quei gioielletti puerili ma non comprese ciò che potessin significare; guardolli parimente la consorte di lui, però neanco ella s'accorse di cosa alcuna; ma solamente disse:
Questi sono adornamenti di qualche picciola creatura.
Così è disse la cingara, e di che creatura lo dice cotesto scritto in quella carta che sta piegata nella cassetta.
Immantinente lessela il podestà e trovò che diceva:
Chiamavasi la fanciulla donna Costanza, figliuola di don Ferdinando d'Azevedo, cavaliere di Calatrava, e di donna Ghiomara di Menesez; io la rubbai in Madrid, il giorno dell'ascensione del signore, alle undici ore dell'anno millecinquecentonovantacinque.
Appena la gentildonna ebbe udite le parole scritte nella carta che riconobbe gli ornamenti e baciandoli spesso cadde a terra tramortita.
Buona donna, anzi angelo che cingara, dov'è la creatura di cui erano queste gioie?
Dove, signora? In casa vostra l'avete. Quella cingaretta che vi fece venire le lagrime sugli occhi è dessa e senza dubbio ella è vostra figliuola, ch'io la rubbai in Madrid in casa vostra, il dì e l'ora che quella carta accenna.
Udendo questo la turbata signora cavossi i zoccoli e con prestezza correndo ritornò nella sala dove aveva lasciata Preziosa e trovolla che, circondata dalle sue donzelle e serve, ancor piangeva e senza farle parola con gran fretta le slacciò il petto e guardò se avesse sotto la poppa sinistra un picciol neo bianco col quale era nata, e trovollo ma alquanto cresciuto.
Ricevete, signore, la vostra figliuola Costanza, che questa è, e non ne dubitate in verun modo, perché il segno delle due dita attaccate insieme e quello del petto si trovano in lei ed io gl'ho veduti; e di più mel disse l'animo, insin dal punto che i miei occhi la viddero.
Io non ne dubito rispose il podestà, tenendo in braccio Preziosa, perché i medesimi effetti ho sentito nell'animo mio che voi nel vostro. Oltracciò, come avessero potuto aggiustarsi insieme tanta puntualità e circostanze se per miracolo non fosse stato?
Stava tutta la gente di casa sopra di sé, domandandosi l'un l'altro che poteva essere quello e tutti credevano cose lontane assai dal vero, perciò che chi avesse imaginato che dei lor padroni fosse figliuola la cingaretta?
Ah! Signor mio disse allora Preziosa, egli non è né cingaro né ladro; se ben ei sia micidiale, lo fu però di quello che gli tolse l'onore e non potette far di meno che non mostrasse chi egli è e l'ammazzasse.
Come, cara figliuola mia, non è egli un cingaro?
Allora la cingara vecchia raccontò brevemente l'istoria d'Andrea Cavaliere, dicendo ch'egli era figliuolo di don Francesco di Carcamo, cavaliere di Sant'Iacopo, e si chiamava don Giovanni, pur cavaliere della medesima milizia, i cui vestiti ella aveva custoditi insin da quando ei gli mutò in quelli da cingaro.
Taci, figliuola Preziosa disse suo padre, questo nome di Preziosa voglio che ti resti per sempre, in memoria della tua perdita e del tuo ritrovamento, ch'io mi piglio l'assonto di porti in istato che non disdica da quella che tu sei.
Sospirò Preziosa udendo questo e sua madre, come donna giudiziosa, intese che sospirasse per essere innamorata di don Giovanni e disse al suo marito:
Signore, essendo don Giovanni di Carcamo cavaliere sì segnalato, come egl'è, ed amando tanto sinceramente la nostra figlia, per mio parere non istaria se non bene dargliela per isposa.
A cui egli rispose:
Solo oggi l'abbiam trovata e volete che così presto la perdiamo? Godiamola per qualche tempo, perciò che dopo maritata ella non sarà più nostra ma di suo marito.
Voi, signor, avete ragione disse ella; ma date ordine di cavar fuora don Giovanni che deve essere in qualche scuro carcere.
Vi è senza dubbio disse Preziosa, perciò che ad un ladro, micidiale e sopra tutto cingaro, non averanno dato migliore stanza.
Io voglio andare a vederlo soggionse il podestà, come s'io andassi a fargli confessar il furto; e di nuovo v'incarico, signora, che nessun sappia questa storia, finché io non voglia.
Et abbracciata Preziosa se n'andò alla carcere ed entrò nella segreta dov'era don Giovanni e non volle ch'alcuno vi entrasse con lui.
Come sta il buon pezzo di carne? Così avess'io nelle mani quanti cingari sono in Ispagna per finirli tutti in un giorno, come Nerone voleva far di Roma con un sol colpo.
Sapete voi, crivellato ladrone, ch'io sia il podestà di questa terra e che qua io venga per sapere fra me e voi se sia vero ch'abbiano fatta sposa vostra una cingaretta che v'era in compagnia?
Udendo questo il Cavalier Andrea, egli s'imaginò che 'l podestà si fosse innamorato di Preziosa, perché la gelosia è sì sottile che penetra i corpi senza far lesione o dividerli; con tutto ciò, egli rispose:
Se quella cingaretta vi abbia detto ch'io sia il suo sposo, ha detto il vero e, s'abbia detto ch'io nol sia, medesimamente ha detto la verità, perciò che non è possibile che Preziosa dica bugia.
Et ella è tanto verace disse il podestà; ciò non è poco in una cingara.
Faccialo dunque vostra signoria gli rispose il prigione com'essa vi ha supplicato, che, purché sia sposato con lei, passerò contentissimo all'altra vita, partendomi da questa col nome d'esser suo.
Molto la dovete amare disse il podestà.
Tanto rispose il carcerato ch'esprimere non si potrebbe.
Questa notte io manderò per voi disse il podestà e nella mia casa sarete sposato con Preziosetta e domani a mezzogiorno vi farò impiccare ad una forca; con che averò fatto quello ch'è di giustizia e sodisfatto al desiderio d'ambedue voi.
Ringraziollo il Cavalier Andrea e tornossene il podestà a casa sua ed alla moglie diede contezza di ciò che con don Giovanni era passato e d'altre cose ch'ei pensava di fare.
Mentr'egli si fermò nella prigione, raccontò Preziosa a sua madre insin dall'uovo il corso della sua vita e come sempre aveva creduto sé esser cingara e nipote di quella vecchia, ma tuttavia ch'ella si era stimata d'assai miglior condizione che quella di cingara.
Molto volentieri mi confesserò; ma perché non mi si sposa prima? E se si ha da sposarmi, certo che è molto cattivo il letto nuzziale che mi aspetta.
Donna Ghiomara, che tutto questo sapeva, disse a suo marito che le paure e gl'affanni che si davano a don Giovanni erano troppo eccessivi e che però gli moderasse, perché potria essere che lo levassino di vita.
Dunque, fu mandato venire il Cavalier Andrea in una sala dov'erano solamente il podestà, donna Ghiomar sua moglie, Preziosa e due servitori di casa;
Ritorna in te, figliuola cara, che tutto quello che tu vedi ha da tornar in tuo gusto ed utile.
Ma lei, che non sapeva ciò ch'essi avessero trattato, non sapeva neanche consolarsi e la cingara vecchia stava di malavoglia e non poco turbata e gli astanti con gran sospensione d'animo aspettavan il fine di così nuovo caso.
Allora il podestà disse al confessore parrocchiano:
Signor reverendo, questo cingaro e questa cingara son quelli ch'avete da sposare.
Nol posso fare rispose egli, se non precederanno prima le forme e circonstanze che in tal caso si richiedono. Dove si sono fatte le publicazioni? Dove è la licenza del mio superiore, acciò si possa fare lo sposalizio?
Questa rispose il podestà è stata inavertenza mia ma farò che il vicario del vostro superiore la dia.
Dunque soggionse il parrocchiano, sinch'io non la vegga, le signorie vostre mi perdonino; altro non posso farci.
E senza replicar parola se ne uscì di casa, perché non succedesse qualche disgusto, e gli lasciò tutti confusi.
Il parrocchiano ha fatto molto bene disse il podestà e potrebb'essere che questa fosse particolare providenza del cielo, acciò che il supplizio del Cavalier Andrea si prolunghi, perché in effetto ha da essere sposato con Preziosa e prima debbono precedere le publicazioni; onde si darà tempo al tempo che suole dare dolce riuscita a molte amare difficoltà.
Ma con tutto ciò vorrei sapere dal Cavalier Andrea, se per avventura i suoi successi s'incaminassero di modo che senza queste paure ed apprensioni egli si trovasse sposo di Preziosa, se si terrebbe per felice o come il Cavalier Andrea o come don Giovanni di Carcamo.
Quando il Cavalier udì nominarsi per lo suo nome, disse:
Poiché Preziosa non ha potuto contenersi ne' limiti del silenzio ed ha manifestato chi io sono, dico che, se bene io fossi monarca del mondo, averei per gran ventura l'avermela per moglie e stimerei tanto questo favore che porrei termine a' miei desideri, per non desiderar più altro che la felicità del cielo.
Dunque per questo buon animo che mostrate, signor don Giovanni di Carcamo, a suo tempo farò che Preziosa sia vostra legitima consorte ed insin da quest'ora ve la do e consegno, acciò abbiate certa speranza che sarà tutta vostra, come la più ricca gioia di casa mia, della mia vita e dell'anima mia. Stimatela quanto dite, perché, dandovi per isposa Preziosa, vi do donna Costanza d'Azevedo, mia unica figliuola, la quale, se vi agguaglia nell'amore, non vi disdice punto nel lignaggio.
Attonito restò don Giovanni udendo cotali parole che gli significavano l'amore che 'l podestà gli aveva; e donna Ghiomara succintamente gli raccontò la perdita di sua figliuola e come l'aveva trovata, con i certissimi segni che la vecchia cingara diede del suo furto. Della qual cosa ancora molto più restò don Giovanni stupefatto. Però ebbe più forza l'indicibile allegrezza,
Quindi s'interruppe il silenzio e la segretezza del caso, la cui nuova uscì di casa con l'uscirne i servidori che v'erano stati presenti. Laonde, inteso il tutto dal giudice, zio del soldato morto, vidde serrati esser i passi della sua vendetta, poiché non aveva da aver luogo il rigore della giustizia per eseguirla nel genero del podestà.
Divolgato così gran caso, venne l'innamorata Carduccia, figliuola della albergatrice di sopra accennata, ed iscuoprì alla giustizia non esser vero il furto del Cavalier Andrea cingaro e confessò il suo amore e la sua colpa, alla quale non si diede pena alcuna, perciò che nell'allegrezza del trovamento degli sposi fu sepellita la vendetta e la clemenza risuscitata.
Disse il podestà a don Giovanni ch'egli aveva per nuova certa che 'l suo padre, don Francesco di Carcamo, era stato eletto per podestà di quella terra, per che staria bene aspettarlo, affinché col suo beneplacito si facessin le nozze. Rispose don Giovanni che non trasgredirebbe in un sol punto l'ordine suo, ma che prima d'ogn'altra cosa egli desiderava essere sposato con Preziosa. Concedette licenza l'arcivescovo che con una sola publicazione si facesse lo sposalizio. Rallegrossene tutta la città, per essere in quella molto amato il podestà, con luminarie, caccie di tori e battagliuole con canne nel giorno d'esso sposalizio. Restò in casa la vecchia cingara, perché non volle mai appartarsi da Preziosa. Volaron alla corte le novelle del caso e del matrimonio della cingaretta. E seppe don Francesco di Carcamo esser suo figliuolo il cingaro ed esser di lui sposa la cingaretta ch'egli veduta aveva, la cui bellezza fu per discolpa della leggerezza del figliuolo, il quale egli credeva esser perduto, sapendo ch'esso non era gito in Fiandra, e maggiormente per vederlo ammogliato con la figliuola d'un tanto cavaliere, e così ricco, com'era don Fernando d'Azevedo. Egl'affrettò la sua partenza per andar a vedere i suoi figliuoli; e nello spazio di venti giorni gionse a Murcia, alla cui venuta si rinovarono le allegrezze e si raccontarono le vite degli sposi. Et i poeti della città, che ve ne sono alcuni molto buoni, si pigliarono l'assonto di celebrare co' versi loro quel raro caso ed insieme la singolar bellezza della cingaretta e l'altre sue doti. Così ne scrisse il famoso dottore Pozzo, ne' cui versi durerà la fama di Preziosa mentre dureranno i secoli.