Rinconetto e Cortadiglio (N)


RINCONETTO E CORTADIGLIO
Novella terza

Argomento

In questa novella sono rappresentate, quasi in chiaro specchio, tutte l'astuzie, sottigliezze e furbarie dei più scaltri mariuoli e tagliaborse, acciò ch'ognuno stando in cervello se ne sappia guardare, perciò che così fatta gente, che ha le mani di carpigna, andando sempre verso levante, non torna mai a restituir in ponente con pentimento ciò che una volta ell'abbia afferrato.

Un giorno dei più caldi della state s'incontraron a caso due ragazzi nell'osteria del Moliniglio che si trova ne' confini della famosa pianura di Alcudia, sulla strada che da Castiglia conduce all'Andalogia. L'uno mostrava essere di quindici anni, l'altro appena arrivava a dicisette ed eran amendui d'assai belle maniere e di qualche garbo, però mal in arnese e stracciosi e di persona maltrattati. Cappa non la tenevano. Eran di tela i lor calzoni e le calzette di pelle viva. Egl'è ben vero che le scarpe supplivano un poco quel mancamento, perché quelle dell'uno eran(1) di corda, logore molto per averle molto portate. Quelle dell'altro col di sopra frusto non avevan più suole, di modo tale ch'anzi che scarpe eran pastoie. Questi portava una montiera verde da cacciatore, quelli un capello senza cordone, basso di forma e d'ampia falda. L'uno aveva attraversata su per le spalle e per lo petto una camiscia di color camoccino, raccolta come in una manica. L'altro caminava leggiero ed in farsetto, senza bisacco, con tutto che se gli appariva in seno, di sotto alla camiscia, un busto, o fagotto, ch'era, come si vidde poi, un collaro a latuca, amidato da untume e tanto sfilato dall'essere stato portato che pareva tutto filaccie. Era involto in quello un mazzo di carte di forma ovata, perché a forza di giuocare lor eran le punte restate mozze e guaste, ed acciò durassino più gliel'avevano ritagliate e lasciate in quella forma. Erano amendue abbronzati(2) dal sole, con l'ugna carciate di succidume e le man poco nette. Portava l'uno una mezza spada, l'altro una coltella da vaccaro. Si posero a riposare per passar il gran caldo del meriggio, sotto un'infrescata, come s'usa di farla davanti alle porte dell'osterie; e postisi a sedere a faccia l'un dell'altro quel che pareva essere il maggiore dimandò al minore:

—Di che paese, signor gentiluomo, è vostra signoria? E dove va?

—Il mio paese, signor cavaliere —rispose l'addimandato—, io non lo so, né men dov'io vada.

—Però si vede —soggionse il maggiore— v. s. non essere del cielo e che in questo luogo ella non sia per far dimora, per che forzatamente ha da passar più oltra.

—Così è —rispose il minore—, tuttavia ho detto il vero in quel ch'ho detto, perché non posso dire mio il paese dove son nato, poiché in quello non ho se non un padre che non m'ha per figliuolo ed una madregna che mi tratta da figliastro. Or il viaggio ch'io faccio è alla ventura, però non anderei più avanti s'io capitassi qui da qualcuno che mi desse il necessario per passar questa misera vita.

—E sa qualch'arte vostra signoria? —domandogli il maggiore.

—Altra non so —rispose— se non che corro com'un lepre e salto com'un daino ed anco so tagliare con forbici sottilissimamente.

—Tutto questo è molto buono —soggionse il primo— e molto utile, perché vi sarà ricamatore che darebbe a vostra signoria gran mercede, acciò lei tagliasse fioroni e lavori di carta.

—Il mio tagliare —rispose il secondo— non è di quella sorte, perché il mio padre, che per la misericordia di Dio è sartore e calzettaro, m'insegnò a tagliar calzette di pelle di mietitori e tanto ben le so tagliare che, non v'ha dubbio, potrei passar per mastro, se la mia ventura non mi tenesse così al basso, come mi ci vedete.

—Tutto questo, ed anche peggio —disse il maggiore—, suol arrivare agli uomini da bene e sempre ho sentito dire che i miglior ingegni e le migliori capacità sono i manco adoperati. Ma tuttavia ancor assai ha da viver vostra signoria per avere miglior fortuna. E s'io non m'inganno e non straveggo v. s. possiede altre doti, ch'ella tiene secrete, e non le vuol manifestare.

—Sì posseggo —rispose il minore—, però quelle non son palesi, come v. s. ha molto ben dato nel vero.

Al che replicò l'altro:

—Sappia v. s. ch'io sono uno de' più segreti giovanetti che si possa trovare. E per obbligarla a scuoprirmi l'animo suo voglio prima scuoprirle il mio, perciò che io m'imagino che non senza misterio ne ha la sorte qui accozzati, e spero che da quest'ora sin all'ultima della nostra vita noi abbiamo da essere strettissimi amici. Io, signor gentiluomo, son nato in Fuenfrida, luogo conosciuto assai e non poco famoso per gl'illustri passaggieri che di continovo passan per quello. Mio nome è Pietro di Rincon(3), è mio padre persona di qualità, perché egl'è ministro della santa crociata o, per dir meglio, esso è portabolle della santa crociata. Per alcun tempo hollo accompagnato in quell'offizio e l'imparai di modo che non l'impatterei con chi volesse presumere d'esser il più valente portabolle del mondo. Ma un giorno, essendomi innamorato più de' denari che si cavano dalle bolle che delle stesse bolle, diedi di mano sopra un sacchetto ch'era pieno di quelli e me la colsi verso Madrid, ove, con l'occasioni di spendere e spandere che vi si trovan molte in ogni tempo, sbudellai il mio sacchetto e sì fiappo lo lasciai con più ripieghi che non ha il fazzoletto d'uno sposo novello, over una salvietta da banchetto. Mi venne dietro quello ch'era riscuotitore e doveva dar conto di quei denari. Io fui preso; non ebbi alcun favore; non ebbi amici; però, quando i signori della giustizia viddero me di pochi anni, si contentarono che mi si desse(4) una gagliarda scopata su per le spalle, con bando dalla corte per anni quatro. Ebbi pazienza; me la bevei, stetti saldo alle scopate e me n'uscii dalla città con molta fretta, a compir il mio bando, per il che non ebbi tempo di provedermi d'una cavalcatura. Presi delle mie robbe quello ch'io potetti e che mi parvero più necessarie e con quelle questo mazzo di carte —ed allora le cavò fuora, che, come si è detto, esso le portava involte nelle latuche del collaro— colle quali per l'osterie da Madrid insin qui io m'ho guadagnata la spesa, giuocando alla ventiuna. E con tutto che v. s. le vegga tanto disgraziate e strapazzate, elleno nondimeno hanno una meravigliosa virtù, in mano di chi le intende, perché non alzerà già mai che non alzi un asso. E, se v. s. è pratica di questo giuoco, la può comprendere che vantaggio sia a quello che sa d'avere sempre un asso alla primiera carta, che gli può servire d'un punto e d'undici, di modo che, con sì fatto vantaggio invitando la ventiuna, egl'è sicuro che il denaro gl'ha da venir in borsa. Di più di questo, imparai da un cuoco d'un certo ambasciatore alcune sottigliezze alla primiera con quattro carte ed al giuoco della cartetta e, come v. s. può passare per mastro nel tagliar le calzette, così lo sono nella scienza trappolesca e con questo vivo sicuro di non aver a morirmi da fame, perché, quando arrivo ad un cortile, vi è sempre qualcuno ch'ha voglia di passar il tempo con giuocare un poco. Possiamo farne ora noi due l'esperienza. Tendiamo il laccio e la rete e vediamo se fra quei mulatieri là vi è qualche merlotto. Voglio dire che voi ed io giuocheremo al ventiuno e fingeremo che sia da dovero e, se qualcun v'entra per terzo, egli sarà il primo, ed il solo, che vi lascierà la pecunia.

—Sia in buonora —soggionse l'altro— ed invero tengo a gran favore l'avermi dato v. s. contezza della sua vita, che con questo m'ha obbligato a ragguagliarla della mia con quella brevità che mi sarà possibile. Nacqui in quel pietoso luogo tra Salamanca e Medina del Campo. Mio padre è sartore. Egli m'insegnò l'arte sua, a tagliar maestrevolmente con forbici, ma col mio sottil ingegno vi riuscii così esperto ch'indi passai a tagliar borse. M'increbbe lo stare nel nostro villaggio, per la povertà d'esso e perché dalla mia madregna io era maltrattato. Così lasciai la patria, venni a Toledo per esercitar l'arte mia; ed in quella ho fatto meraviglie, imperò che non pende reliquiario di tela o, vogliam dire, non vi è tasca sì ascosa che le mie dita non la visitino o non la taglino le mie forbici, nonostante ch'ella sia guardata con occhi d'Argo. Et in quattro mesi ch'io stetti in quella città mai fui serrato fra due porte, né soprapreso e preso dagli sbirri, né affumicato dormendo. Però è vero ch'oggi fa otto giorni che una spia diede notizia ed informazione al giudice della mia destrezza, onde fu curioso di vedermi. Ma io, che sono di natura umile e di bassa lega e che perciò trattar non voglio con personaggi così gravi, feci ogni diligenza per non abboccarmi con lui. Per questo me n'uscii dalla città con quella fretta che già v'ho detto e senza aver spazio di poter trovar modo d'accomodarmi né di denari, né di carrozza di ritorno od almeno d'un carro.

—Parliamo d'altro —disse il Rincone— e, poiché noi ci conosciamo, non fanno caso tutte quelle grandezze e spampanate. Confessiamo liberamente che non avevamo un quattrino, né anco scarpe.

—Sia fatto come voi dite —rispose Teodoro Cortado(5), che così disse il minore che si chiamava— e, posciaché la nostra amicizia, come v. s. ha detto, signor Rincone, ha da essere perpetua, cominciamola con lodevoli cerimonie.

In questo dire fecesi in piedi Teodoro Cortado ed abbracciò il Rincone ed il Rincone lui scambievolmente, con dimostrazione di grand'amore. Subito poi si poser a giuocare al ventiuno con le già nominate carte, nette di polvere e di pagliucche ma non d'untume e di malizia. In poco d'ora il Cortado alzava così sicuramente un asso come il Rincone suo maestro. Mentre giuocavano, eccoti venir al portico a rinfrescarsi un vetturale che disse di voler entrare a far il terzo. Volentieri fu accettato ed in manco d'una mezz'ora gli vinsero dodici reali e ventidue maravedì(6), che fu avergli date dodici lanciate e ventidue disgusti. Ma, credendo egli che quelli per essere ragazzi non si difenderebbono, volle tor loro i denari. Non istettero il Rincone ed il Cortado con le mani a cintola, quando che, l'uno cacciando mano alla sua mezza spada e l'altro alla sua coltella, gli diedero tanto da fare che, se gli altri vetturali o mulatieri suoi compagni non fossero venuti fuora, senz'altro la passava male. In quel mentre passava a caso per quella strada una mano di viandanti, gente a cavallo ch'andava a rinfrescarsi all'osteria dell'Alcade(7), ch'è a due migli più in là, i quali, vedendo la contesa del mulatiere coi due ragazzi, gli accordarono e dissero che se 'l lor viaggio fosse verso Siviglia venissero con loro.

—Sì che v'andiamo —rispose il Rincone— e serviremo le signorie vostre in tutto ciò che ne comanderanno.

Così senz'altre cerimonie, in tre passi ed un salto, si misero a caminar davanti alle mule e se n'andarono con loro, lasciando molto malcontento il mulatiere e l'osta meravigliata delle furbarie di quelli mascalzoni, perché ella sentito aveva i lor discorsi senza ch'essi se n'avvedessero.

E quando disse al mulatiere che lor aveva udito dire che le carte ch'essi portavano erano false, egli da gran dispetto si spelava la barba e voleva corrergli dietro all'altra osteria, per riaversi i suoi denari, perché esso diceva ch'a lui fosse un grand'affronto e gran vergogna che due ragazzi avessin trappolato un omaccione grande e grosso com'egli era. Ma i compagni ebbero a ritenerlo e consigliarono di non andarvi, almanco per non publicare la sua sciocchezza e scempiaggine. Infine tante ragioni gli dissero che, se con quelle non potettero consolarlo, ebbero forza almeno di ritenerlo.

Fra tanto il Cortado ed il Rincone usavan ogni diligenza e gran destrezza in servire quei viandanti, i quali per buon pezzo di strada gli portavan in groppa e gli spesavano. Et ancorché se gli offerivano occasioni di tentar le valigie dei loro mezzo padroni non vollero però valersi d'esse, per non perdere quella tanto favorevole d'andare a Siviglia, dov'eglino avevano grandissimo desio di arrivare. Con tutto questo, all'entrare della città, che fu sul tardi, per la porta della Dogana, perché ivi bisogna farsi notar nel libro e pagare il dazio consueto, il Cortado non puoté astenersi che non tagliasse la valigia che un francese della camarata portava in groppa della mula e così le fece col suo coltello una sì larga e profonda ferita che se le vedevano tutte l'interiora. E per quella tagliatura destramente cavò un paro di buone camiscie, un orologgio da sole ed un libretto di memorie, cose che furono poco grate a quelli due compagni, quando le viddero, perché s'avevano pensato che, poiché il francese si portava dietro in groppa quella valigia, non dovesse averla occupata di tanto poco peso com'era quello di esse poche robbe che n'avevan cavato; per il che vollero darle un altro taglio; però non glielo dettero, immaginandosi ch'egli già se ne fosse accorto e posto avesse in sicuro il rimanente.

S'erano licenziati da quelli che insin lì gli avevano fatte le spese. L'altro giorno dapoi vendettero le due camiscie in quella strazzeria, o marcatuccio, che si tien fuora della porta dell'Arenale e di quelle cavarono venti reali. Fatto questo, andarono visitando la terra e si meravigliarono dell'ampiezza e magnificenza del suo duomo, del gran concorso della gente alla marina, perché era in tempo che si caricava la flotta; e veggendo lì sei galere ebbero da sospirare ed anco da temere quel giorno nel qual i lor peccati gli condurrebbono in quelle per istarvi sin alla fine della lor vita. Si posero a mirare i cestaruoli, o sportaruoli, ch'ivi in gran numero andavano attorno. Domandaron ad uno d'essi, ch'era un ragazzo asturiano, che officio fosse quel suo, se nell'esercitarlo v'andasse gran fatica e che guadagno desse. Risposegli che l'officio non era faticoso né per quel si pagava dazio alcuno, o gabella, e che vi era giorno ch'esso guadagnava cinque o sei reali, con che mangiava e beveva da re, senza stentare a trovarsi padrone ed a dargli ancora per sicurtà un rispondente, e che di più stava in lui di mangiare quando volesse, poiché nella minima betola o taverna della città ognora egli trovava(8) con che cavarsi l'appetito.

Non parve ai due compagni da non far conto della relazione dell'asturianetto né lor dispiacque quell'offizio, maggiormente perché quadrava, ed era molto a proposito, per più sicuramente poter esercitare quell'altro loro con la comodità ed il pretesto che questo dava d'entrar liberamente in ogni casa. Perciò dunque si risolsero allora di comperare gli stromenti necessari per esso uffizio, poiché potevano usarlo senza passarne per l'esame. Poi domandando all'asturiano che cosa avessino da comperare, rispose egli ciascun un sacco mediocre nuovo, o ben netto, e tre sporte di palma, due grandi ed una picciola, nelle quali si porta la carne, il pesce e la frutta, e nel sacco il pane. Condussegli l'asturiano al luogo dove si vendevano e comprarono quelle coi denari dello svaligio del francese e di lì a due ore potevano essere graduati nel nuovo uffizio, cotanto bene gli stavano le sporte addosso e comparivano coi sacchi. Avvisolli la guida de' posti ove dovessero ridursi: la mattina alla beccaria ed al campo di San Salvatore; ed in giorni di pesce in pescaria ed al Poggio; ogni sera al fiume ed il giovedì al mercato. Si tennero in mente tutta questa lezione ed il giorno seguente, la mattina per tempo, si posero sulla piazza di San Salvadore. Ma appena vi furon arrivati che gl'altri cestaruoli se fecero lor attorno, perché al fiammante de' nuovi sacchi e delle nuove sporte conobbero quegli essere nuovi in quella piazza. Feceron loro mille domande ma a tutte risposero molto a proposito e con discrezione.

In questo, arrivarono un mezzo scolare ed un soldato, i quali, invitati dalla pulitezza delle sporte dei due novizi, quel che pareva esser lo studente chiamò il Cortado ed il soldato il Rincone.

—In nome di Dio sia —dissero amendui.

—Ben si comincia quest'offizio —disse il Rincone—, poiché vostra signoria, signor mio, mi darà il primo guadagno, per quando l'averò servita.

—Non potrà essere se non buon il guadagno —rispose il soldato—, perché ho vinto al giuoco e son innamorato; ed oggi fo banchetto a certe amiche della mia dama.

—Caricatemi dunque, signore —disse il Rincone—, quanto vi pare e piace, che a me basta l'animo e la forza di portare addosso quanta robba si vende in questa piazza. Et oltracciò, se fosse di bisogno aiutare a cucinarla, lo farò molto volontieri.

Piacque al soldato il procedere del ragazzo e gli disse che, se servir volesse, egli lo leverebbe di quel vile offizio. Rispose il Rincone che, per essere quello il primo giorno ch'esso cominciava ad esercitarlo, non voleva lasciarlo così presto, per provare almeno ciò che vi fosse di buono e di cattivo. E caso che non se ne contentasse gli prometteva che anderebbe a servire più facilmente lui che un altro. Ebbe da rider il soldato, lo carcò molto bene, poi mostrogli la casa della sua dama, acciò che un'altra volta la sapesse trovare, quando occorresse occasione di portarci vittuaria.

Gli promise il Rincone con la fedeltà buon servizio. Pagollo il soldato con poco men di tre quarti di un reale, coi quali in un volo egli ritornò alla piazza, per non perder occasione. E d'usar questa diligenza l'aveva avvisato l'asturiano e che quando portassero pesce minuto, cioè muggini o triglie, sardelle, linguatole(9) o solette, potevan pigliarne alcune per farne il saggio che potesse bastare almanco per quel giorno, ma però questo con accortezza e sagacità, per non perdere il credito, ch'era quel che più importava nella lor arte. Per presto che 'l Rincon ritornasse, ei trovò il Cortado(10) già tornato al suo posto.

S'appressò il Cortado al Rincone e gli domandò come gli fosse riuscita; il Rincone aprì la mano e mostrogli i soldi datigli dal soldato. Mise il Cortado la sua in seno e cavonne una borsetta che mostrava essere stata d'ambra ne' tempi andati. Egli con gonfiarsi un poco, —ecco —disse—, con questa m'ha pagato il signore studiante e con mezzo reale. Guardatela, Rincone, per ogni buon rispetto; chi sa quel che possa succedere.

In quel che gliela ebbe data secretamente, gionse lo studente tutto sudato, tutto turbato e scolorito in viso. Di subito ch'egli vidde il Cortado gli domandò se a caso veduto avesse una borsetta di tali e tali contrasegni, con dentrovi quindici scudi d'oro in oro, tre reali da due l'uno ed alcuni maravedì in quarti ed in ottavi di reale, che gli mancava; e lo pregò di dir liberamente se gliel'avesse tolta mentre ch'andava con lui comprando. A cui il Cortado con isquisita dissimulazione, senza punto alterarsi né mutarsi di colore, così rispose:

—Tutto ciò ch'io sappia dire di quella borsa è che non deve esser perduta, se pur non fosse che vostra signoria l'avesse riposta in luogo poco sicuro.

—Ah, meschino me, così sarà —rispose lo scolare— ch'io l'abbia riposta in luogo malsicuro, come voi dite, poiché me l'han rubbata.

—L'istesso dico io —replicò il Cortado—, però a tutto v'è rimedio, eccetto alla morte; e quello che a vostra signoria possa giovare si è l'avere pazienza.

Con manco Dio ci ha fatti; e doppo un giorno vien un altro giorno e là dove le danno, là se le pigliano. Chi sa che forse non venga tempo che colui che prese la borsa venisse a pentirsi ed a vostra signoria la restituisse, come si dice, profumata.

—Per lo profumo sarei contento ch'egli se lo tenesse —rispose lo studente.

—E tanto più —seguitò il Cortado— che vi è il peccato e, se a ciò s'aggiongerà la diligenza, ella è madre della buona ventura. Ma tuttavia non vorrei esser io quello ch'avesse rubbata tal borsa, perciò che, se vostra signoria tiene qualcuno di questi uffizi sopra l'entrate della chiesa o del publico, a me parrebbe ch'io commesso avessi qualche gran peccato o qualche incesto.

—Ch'abbia commesso gran errore chi m'ha tolta la borsa —disse l'afflitto scolare— non vi ha dubbio, perché, se ben non sono sacerdote ma solamente graduato d'un offizio di comenda, i denari ch'erano nella borsa venivano da tre mesi d'entrata d'una capellania ch'un amico mio mi diede da riscuotere e però è denaro privilegiato.

—Buon pro gli faccia —disse allora il Rincone—, io non vorrei far robba con simili guadagni. Verrà il giorno nel quale tutto si troverà nella bucata ed in quella si vedrà chi era imbrattato e chi fosse quel temerario ch'avesse avuto tant'ardire di prendere, rubbare e sminuire quella entrata di capellania. Per vita vostra, signor mio, quanto frutta ogn'anno quella entrata?

—Frutta la etc. che m'ha fatto —rispose il graduato, vinto o poco manco da colera—, sono ora per dirti quant'ella frutti? Dimmi, fratello, se tu sai qualche cosa della mia borsa, se non statti con Dio, ch'io la voglio far proclamare a suon di tromba.

—Cotal rimedio —disse il Cortado— a me non par impertinente; però avvertisca vostra signoria a non iscordarsi li contrasegni della borsa ed appuntatamente la quantità dei denari che sono in quella, perché, se si errasse d'un bagatino, mai più in nissun giorno al mondo la vedereste; e questo vi sia per avviso o per presagio.

—Non s'ha da dubitar di quello —rispose il rubbato—, perché l'ho più nella memoria che non il far suonare le campane, e non ci errerò d'un atomo.

Questo dicendo, egli si cavò dalla saccoccia un fazzoletto lavorato, per asciugarsi il sudore che gli stillava per la faccia come da un lambico; ed appena il Cortado l'ebbe addocchiato che lo tenne per suo. Partitosi il graduato, il Cortado lo seguitò e lo raggionse alle scale, ove ei lo chiamò e tiratolo in disparte li cominciò a dirgli tanti spropositi e tante frappe, che volgarmente in Ispagna sono chiamate bernardinas, intorno al rubbamento e ricuperamento della sua borsa, dandogli buone parole e speranza, senza che mai egli venisse alla conclusione di cosa ch'a dir cominciato avesse, di sorte che 'l povero graduato non sapea che dirsi e ne restava come stupido od incantato. Ma perch'egli non intendeva alla prima quello che il Cortado gli diceva glielo faceva due o tre volte replicare. Stava il Cortado mirandolo in faccia molto attentamente e non levava mai lo sguardo dai suoi occhi. Miravalo il graduato nella medesima maniera, suspeso dalle sue parole. Diede tempo al Cortado questa sospensione acciò che potesse dar fine alla sua impresa e così sottilmente gli cavò il fazzoletto dalla saccoccia e, licenziandosi da lui, gli disse che non mancasse di rivederlo quella sera in quel medesimo luogo, perch'egli dubitava ch'un ragazzo dell'arte sua, e simile a lui di statura e ch'era un poco ladrone, non gli avesse rubbata la borsa, e però egli s'obbligava di saperne il certo fra pochi o molti giorni. Restò il rubbato alquanto consolato da queste parole e si partì. Tornò il Cortado dal Rincone, il quale da poco lontano veduto aveva il tutto. Indi non molto lungi era un altro sportaruolo ed anco lui aveva osservato tutto ciò che passava e, fra le altre, quando che il Cortado diede al Rincone il fazzoletto. Costui accostossi a loro e disse:

—Ditemi, signori galanti, sete voi camuffi(11) o no?

—Non intendiamo quel gergo, signor galante —rispose il Rincone.

—Dico che non han il diritto, signori murci(12) —replicò l'altro.

—Non c'impacciamo di storto o diritto né siamo di Murcia —rispose il Cortado—; s'avete altra cosa da dirci, ditela o, se non, andate con Dio.

—Non l'intendete? Ve la voglio dar ad intendere, anzi farvela bere, come in un cuchiaro d'argento. Io voglio dire, signori, se le signorie vostre sono ladroni. Ma non so perché questo vi domandi, perché già so che siete tali. Però di grazia ditemi: perché non sete stati alla dogana del signor Monipodio(13)?

—Come alla dogana? Si paga in questa terra, o galantuomo —disse il Rincone—, il dazio de' ladroni?

—Se non si paga —rispose colui—, almanco scrivonsi nel libro del signor Monipodio, il quale è lor padre, lor maestro e lor protettore. Così vi consiglio di venirvene meco a dargli la ubbidienza o, se non, se v'arrischierete a rubbare senza la sua licenza, v'avrà da costar caro.

—Io credevo —disse il Cortado— che il rubbare fosse un'arte libera, franca di dazio e di gabella, o che, s'ella si pagasse, che fosse all'ingrosso(14), dando per sicurtà la gola o le spalle. Ma poiché così è e che ciascun paese ha le sue usanze, noi guarderemo quella di questa terra, la qual essendo la maggiore del mondo, deve l'usanza sua essere approvata da quello. V. s. dunque ci può condurre, se si contenta, da quel cavaliere che dice, il quale, per quanto ho sentito dire, credo che sia nobilmente qualificato e generoso ed oltra di ciò molto destro e sufficiente nell'arte.

—Et in che modo qualificato, destro e sufficiente! —rispose il ragazzo— L'è tanto che, in quattro anni ch'egli è il nostro maggiore e padre, non sono stati se non quattro che nel finibusterrae(15) abbiano dato di calci al rovaio(16) e circa trenta ceriti(17) e sessantadue in corsina(18).

—Invero —disse il Rincone— che così intendiamo quel vostro parlare, come non sappiamo volare.

—Cominciamo a caminare —disse il menante—, ch'io loro anderò dichiarando pel camino quelle parole, con altre insieme, le quali è così necessario che l'intendiate e le usiate, come v'è necessario il pane che mangiate.

Dunque lor disse e dichiarò quelle voci, le quali fra quei furbi si chiamano del gergo; e non fu breve il suo ragionamento perciò che il camino era lungo. Nel quale disse il Rincone alla sua guida:

—E siete voi, signore, per avventura ladrone?

—Sì sono —rispose egli—, per servir la gente da bene, ancorché io non sia dei più pratichi, perché non ho finito l'anno del mio noviziato.

—Certamente —soggionse il Cortado— a me è cosa nuova l'intendere che vi siano ladri in questo mondo per servizio della buona gente.

—Non voglio —replicò il furbetto— mettermi in dispute ma quello ch'io so è che ognuno nell'arte sua può ingannarsi, maggiormente osservando(19) in questa quegli ordini che 'l signor Monipodio suol dare a tutti i suoi figliuoli adottivi.

—Senza dubbio io credo —disse il Rincone— che quelle sue leggi siano buone, poich'esse fanno che i ladroni con l'arte loro servano la gente da bene.

—Son tanto buone —replicò l'altro— che io non so se si possano megliorare nell'arte nostra. Egli ordina che di quello che rubberemo diamo qualche cosa di limosina per l'olio della lampada d'una veneranda imagine di questa città. Ben posso asserire, con verità, che gran cose abbiamo vedute procedenti da questa opera. Questi giorni passati diedero tre strette di margherita(20) ad un carpione di mizzi(21) che ne aveva carpiti(22) due e, con tutto ch'esso fosse debole e quartanario, le sostenne e stette saldo senza cantare o confessare, come se niente stato fosse. Noi, che siamo dell'arte, atribuimo quello alla sua invenzione, perché altrimente le sue forze non erano bastanti per poter reggere al primo sconcerto(23) del boia. Ora, posciaché io so che vorrete intendere qual sia il significato d'alcune voci che ho dette, mi contento di dichiararle innanzi che me lo chiediate. Sappiano dunque che carpione di mizzi vuol dire ladrone d'asini, con sopportazion parlando, e d'altre simili bestie da soma; strette di margherita è il tormento; primo sconcerto sono i primi tratti di corda che dà il boia. Abbiamo di più che recitiamo il rosario scompartito per tutta la settimana; e molti di noialtri non rubbiamo in giorno di venerdì né vogliamo aver che fare in certi giorni con donna nomata N.

—Tutte queste cose —disse il Cortado— mi paiono di perle. Ma mi dica di grazia, vostra signoria, si fa altra restituzione, od altra penitenza, che quella m'avete detto?

—In quanto al restituire, non occorre pensarci —rispose il ragazzo—, imperò che non è possibile, a causa delle molte parti nelle qualli(24) va spartito quello che vien rubato, ciascuno de' ministri e contraenti tenendosi la sua. E così non si può restituire cosa alcuna e maggiormente che da nessuno ci viene comandato o consigliato il farlo, perché già mai ci confessiamo. E se contro di noi fulminano qualche scomunica né mai ancora lo sappiamo, perciò che mai andiamo alla chiesa quando che tale scomunica si legge e si publica in quella, se non in tempo di giubileo o stazioni, per l'utile e guadagno che ci reca la molta gente che vi concorre.

—Dunque quelli signori —disse il Cortado— chiamano quella vita buona?

—E che cosa vi è di male? —replicò l'altro— Non è peggio l'esser eretico o rinegato, o patricidio ch'amazza il padre o la madre, o l'esser solomico?

—Sodomito volete dire —soggionse il Rincone.

—Sì, quello dico —rispose l'altro.

—Tutto quello è male —replicò il Cortado—. Nulladimeno, poiché così vuole la nostra sorte che noi entriamo in questa compagnia, v. s. allarghi il passo, perché io mi muoio di voglia di vedermi ben presto col signor Monipodio, di chi la fama tante virtudi va publicando.

—Ben tosto sarete servito —rispose l'altro—, che già di qui si vede la casa sua. Aspettin alla porta le signorie vostre, mentre ch'io vada a vedere s'egli sia occupato, perché questa è l'ora ch'ei suol dar audienza.

—Vada in nome di Dio —disse il Rincone.

Fecesi innanzi l'altro e se n'entrò in una casa di brutta apparenza. Fra tanto i due compagni stettero ad aspettare alla porta. Ritornò presto l'altro e gli chiamò ed essi entrarono. Comandogli la guida che ancor dovessin aspettare in un picciol cortile di mattonato, sì terso e pulito che rosseggiava di fino cremesino. Da l'un canto era un banco da tre piedi, dall'altro una gran brocca o broncone tutto sboccato, con sopravi un boccaletto non migliore d'esso broncone. Ad altra banda era distesa una stuora di giunco e nel mezzo di quella un vaso, o pitarro, da piantar fiori. Miravano i due compagni attentamente i mobili di quella casa, mentre che 'l signor Monipodio stava a comparire. Ma perch'egli assai tardava, si licenziò il Rincone d'entrare in una sala bassa di due che v'erano a piè pian del cortile e vidde in quella due spade da scrimia e due rotelle di sughero pendenti da quattro chiodi, una gran cassa senza coperchio né altra cosa che la cuoprisse ed altre tre stuore distese in terra. Nella parete in faccia alla porta una imagine di queste dipinte alla peggio e più da basso pendeva una sportella di palma ed incassata nella muraglia una specie di scodella di maiolica.

Da questo conobbe il Rincone, ed era vero, che la sportella serviva di cassella, o tronco, da metter dentro denari e la scodella da tener l'acqua santa. Mentre che questo stavano contemplando, ecco entrar in casa due giovani, d'età ciascuno di venti anni incirca, vestiti da scolari; ed indi a poco due sportaruoli e con essi un cieco, i quali senza dir parola cominciarono a passeggiare per lo cortile. Non tardò molto che entrarono ancora due vecchi vestiti alla lunga di cottonina, con gli occhiali sul naso, che gli accrescevano la gravità e gli facevano più degni d'essere rispettati, e con ciascun in mano una lunga corona di grossi e risuonanti grani. Dietro a questi, una vecchia di falde lunghe, la qual, senza dir niente, se n'entrò nella sala, ove, dopo ch'ebbe preso dell'acqua santa, s'ingenocchiò con apparenza di gran devozione davanti all'imagine sopra detta e per buona pezza così stette, poi chinossi a baciare per tre volte la terra ed altretante alzò le mani e gli occhi al cielo; levossi in piedi e nella sportella mise la sua parte e come gli altri se n'uscì nel cortile. Finalmente in quello ed in poco spazio di tempo si ragunarono da quatordici persone differentemente vestite e di uffizi differenti, e gli ultimi fra gli altri due giovani, di ciera brava e molto ben in arnese, di mostacchi lunghi e rilevati, i capelli di falda larga, collari a latuche, o alla valona, calzette di colore con le ligaccie sin a mezza gamba pendenti, la spada di misura più lunga che non vuol lo statuto, ciascuno in luogo della daga la pistola alla cintura e da quella pendente il brocchiere. Costoro nell'entrare con occhio torvo e fiero guardarono il Rincone ed il Cortado come quelli che ancora non avevan veduti. Se gli accostarono con domandargli se fossero di quella compagnia. Rispose il Rincone di sì e molto servitori del lor signore. In questo mentre si fece l'ora che 'l signor Monipodio calò a basso, non manco aspettato che volentier veduto da tutta quella virtuosa brigata. Egli mostrava d'essere d'anni quarantacinque o quarantasei incirca, di alta statura, di faccia bruna, di sopraciglia attaccate l'uno con l'altro, di barba nera e molto folta e gli occhi affondati. Veniva mezo in camiscia e per l'apertura davanti d'essa vedevasi un bosco, tanto era il pelo ch'egli aveva su il petto. Portava una cappa di cottonina, o rovescia, lunga sino alle calcagna, o poco manco, ne' piedi scarpe a cacaiuola(25). Un paio di braghezze di tela ampie e lunghe gli cuoprivano sin alle noci del piede. Il capello all'albanese di forma campanuta e largo di falda. Gli attraversava su per le spalle e su il petto un balteo, o cintura, di dove pendeva una spada larga e corta, a guisa di quelle che in molti luoghi di Spagna si domandano spade del cagnolino; le mani le aveva corte e pelose, le dita grosse e l'ugna adunche ed a rampino. Non se gli vedevano le gambe; ma fuor di modo i piedi erano larghi, nodosi e contrafatti. Insomma egli rappresentava il più brutto villano ed il più deforme barbaro del mondo. Con lui venne da basso la guida del Rincone e del Cortado, la quale presigli per mano gli presentò a Monipodio, dicendogli:

—Ecco qui, signor Monipodio, questi sono i due buoni giovani di cui già ho parlato a vostra signoria. S'ella sarà contenta d'esaminarli, gli troverà degni e capaci d'esser ammessi in questa compagnia.

—Tanto farò —rispose il Monipodio— e molto volentieri.

Io m'era scordato di dir che quando egli venne giù dalla scala tutti, tutto ad un tempo, quelli che lo stavano aspettando con basso inchino gli fecero una gran riverenza, però non i due bravi di sopra mentovati, i quali si cavarono per salutarlo a mezo solamente il capello e subito senza altra cerimonia cominciarono a passeggiare in un cantone del cortile, mentre che 'l Monipodio passeggiava nell'altro. Egli domandò primamente alli due novizzi novelli qual fosse l'arte loro, poi s'informò della lor patria e chi fossero i suoi parenti.

—Già abbiamo detto qual sia l'arte nostra —rispose il Rincone—, poiché veniamo da vostra signoria. In quanto alla patria, per mio parere importa poco il dichiararla ed il dar conto de' miei parenti, posciaché non si tratta in questo luogo di darle informazione per ricevere abito di alcuna milizia od altro titolo di onore.

—Voi, figlio mio —disse allora il Monipodio—, parlate da giudizioso ed è molto ben avvisato, ed anco più sicuro, il tacere quello che dite, perché, se corresse la sorte per la cattiva via, non potrebbe star bene che si trovasse scritto nel registro dello scrivano o nel libro delle entrate: "Un tale, figliuolo del tale, nativo o cittadino di tal luogo, un tal giorno fu impiccato, o fu frustato, od ebbe la tal pena", il che, come sia, suona male alli buoni orecchi. Però, torno a dirvi ch'è sano avviso, e di gran giovamento, tacer la patria, non dir quali sieno i parenti ed il mutare i propri nomi, benché fra noi non deve esser celata cosa veruna, perloché voglio ora saper i nomi d'ambi voi due.

Il Rincone disse il suo, così fece il Cortado.

—È mia volontà —seguitò il Monipodio— che voi, Rincone, da quest'ora per sempre abbiate nome il Rinconetto, e voi, Cortado, il Cortadiglio, che questi sono nomi i quali quadrano appunto con gli anni vostri ed i nostri statuti, che vogliono che si sappiano i nomi di quelli di questa compagnia, che fra noi è usanza di obligar tutti ad una certa contribuzione, la quale si riscuote due volte l'anno; e per l'esecuzione di questo teniamo registro de' nomi, per sapere chi abbi sodisfatto al debito e chi no; e questo denaro poi s'impiega secondo l'occorrenza in utile del publico, tanto verso gli annoverati nella nostra compagnia, quanto verso gli benefattori: e s'intendono per i nostri benefattori il procuratore, o l'avvocato, che difende la nostra causa, il zaffrano(26) che ne dà avvisi, il boia che ci compassiona nella tortura, e colui che quando alcuno de' nostri compagni scampa, fuggendo per la strada, e che di dietro tutti gli van gridando: "Al ladrone, para, piglia; al ladrone, prendetelo, prendetelo", si mette in mezzo e s'oppone al torrente del popolo che lo perseguita, dicendo: "Lasciatelo andare quel gramo sgraziato, ch'egli non può avere il più malanno; s'ha fatto male, mal troverà e lo castigherà il suo peccato". Eziandio sono benefattrici le tuose(27) che con il sudore ci porgono soccorso sì nel giubbon di Beltrame(28), come quando li bracchi(29) ci dan di piglio. E sono ancora nostri benefattori, anzi i nostri padri e madri, quelli che dalle tenebre ci cavano alla luce del mondo, ed il notaro, il quale essendo dalla nostra non vi è delitto che sia colpa né colpa a che si dia grave gastigo. Ora a questi che ho detto la nostra compagnia dà ogni anno qualche segno di riconoscimento, con quella maggior liberalità e magnificenza che possiamo.

—Per certo —disse il Rinconetto, già confirmato in questo nome— che questa è opera degna dell'alto e profondissimo ingegno ch'abbiamo sempre inteso dire ritrovarsi in vostra signoria.

A ciò non replicò altro il Monopodio; ma chiamando la guida, —vien qua —disse—, Ganciolo, sono poste le sentinelle?

—Signor sì —rispose egli—, tre stanno all'erta balcando(30) sopra i passi e non v'è da temere che siamo colti di sopragionta ed improvisamente.

—Dunque per ritornare al nostro primo ragionamento —disse il Monipodio—, vorrei saper, figliuoli, che cosa l'uno e l'altro sapete fare, acciò che io v'assegni e dia quell'officio ed esercizio che più vi si convenga e sia accomodato all'inclinazione e capacità vostra.

—Io per me —rispose il Rinconetto— intendo un poco la raza delle bigordine(31), con quella so far la salvaterra(32), ho buona vista contra il fumo(33), faccio passar un asso per un quattro, un quattro per un otto; non lascio che l'occasione si compri il porco(34), quando la si presenta di far la raza(35). Entro e camino per la bocca della bruna(36) come se fosse per la porta e per casa mia ed anche mi basta l'animo di fare un terzo d'astuzia nel rubbare, meglio che un terzo di Napoli, e trappolar con un sottil inganno il più oculato, con dargli un asso di picche più facilmente che due reali ad impresto.

—Questi sono principi —replicò il Monipodio— ma niente altro che fiori di lavanda già secchi, voglio dire inganni tant'usati che non vi è principiante che non gli sappia e servono solamente per qualcheduno(37) che fosse così pirlo(38) che dalla mezzanotte in là si lasciasse ammazzare. Tuttavia col tempo, e doppo che averete posto sopra quei fondamenti mezza dozzina di lezioni, spero in Dio ch'abbiate da riuscire official famoso in quest'arte e forse mastro.

—Et io spenderovi tutti li miei spiriti —rispose il Rinconetto— e tutto sarà per servire vostra signoria ed i signori compagni.

—E voi, Cortadiglio, che cosa sapete fare? —domandò il Monopodio.

—Io so —rispose egli— far quella burla che dice metti due e cava cinque e so toccar il polso e dar la stretta ad una borsa, o ad una saccoccia, con molta puntualità e destrezza.

—Sapete altro? —replicò il Monipodio.

—No, colpa de' miei peccati —rispose il Cortadiglio.

—Non lasciate però, figliuolo, di star di buona voglia —soggionse il Monipodio—, che sete arrivato ad un porto dove non vi annegherete e ad una scuola nella quale imparerete per riuscire in tutto ciò che sia dell'util vostro e che meglio vi convenga. E per quello dell'animo come vi va, figliuoli?

—Benissimo —rispose il Rinconetto—, perché l'abbiamo tale, e così buono, che non ricuserà di tentare ogn'impresa di quelle che all'arte nostra ed al nostro esercizio spettano.

—Questo sta bene —replicò il Monipodio—; ma vorrei che anche l'aveste per sostenere e star saldi a sei tratti di margherita(39) senz'aprir bocca.

—Già sappiamo, signor Monipodio —disse Cortadiglio—, che cosa sia margherita e per qualsivoglia incontro ne basta l'animo e non siamo tanto ignoranti che non sappiamo(40) che quello che dice la lingua lo paga il collo, o la gola, e che del cielo è particolar grazia all'uomo ardito, per non dargli altro nome, che stia nella sua lingua o la sua vita o la sua morte, come se un no avesse più lettere d'un sì.

—Orsù basta —disse il Monipodio—; io dico che quella sola ragione mi vince, m'obliga, mi persuade e mi sforza a che ormai siate ammessi e connumerati per confratelli maggiori e che vi sia fatta grazia dell'anno del noviziato.

—Anch'io sono di quel parere —disse uno delli due bravi.

E da tutti gli astanti unitamente fu confermato, perch'essi erano stati ascoltando il discorso. E pregarono il Monipodio che in quell'ora lor concedesse di godere l'immunitadi ed i privilegi della loro compagnia, perciò che la buona presenza e buon discorso de' due compagni il meritavano. Costui rispose che, per dar sodisfazione a tutti, lor concedeva quella facoltà; e con questo gli avvisò che la dovessino tenere in molta stima, perché mediante quella eran disubligati di pagar mezza parte del primo furto che facessero e di esercitar per tutto quell'anno offici minori, cioè che restavano esenti di andar per servizi di alcun compagno maggiore a carcere o a casa sua, da parte de' suoi corrispondenti e contribuenti, e di poter bere il vino senz'acqua. Et oltra ciò potevano stibiare(41) il buoso(42) puro, far banchetti quando, come e dove volessino, senza domandarne licenza al superiore, entrare alla parte, da quell'ora innanzi, di quello che rubbassero i compagni maggiori, come se fossero di quelli, ed altre simili cose, le quali il Rinconetto ed il Cortadiglio s'ebbero a singolarissimo favore e con parole accomodatissime gliene ringraziarono.

In quel mentre, ecco venir correndo sbigottito ed anelando un ragazzo che disse:

—Il bargello de' vagabondi se ne viene a dirittura a questa casa, però non viene con esso la sua braccheria(43).

—Nessuno si muova —disse il Monipodio— né si spaventi, perch'egli è amico nostro e mai vien qua per farci danno; dunque tutti stien saldi, che anderò a parlare con esso lui.

Rimesserosi tutti, che già s'erano turbati, e venne il Monipodio fuori della porta, ove, trovato il bargello, stette un pezzo a parlar seco e subito poi rientrò e domandò:

—A chi ha tocco oggi il campo di San Salvadore?

—A me —disse la guida.

—E perché dunque —soggionse il Monipodio— non mi si ha manifestato una borsetta profumata d'ambra che questa mattina è stata truccata in carpigna(44) in quel predetto luogo, con dentrovi quindeci scudi d'oro e due doppi reali e non so quanti altri soldi minuti?

—Egli è vero —rispose la guida— che quella borsa oggi vi è stata presa ma non son quello che l'abbia tolta né posso imaginarmi chi sia.

—Con esso meco non vagliono astuzie —replicò il Monipodio—, bisogna che la borsa ritorni alla luce, perché la domanda il barigello, il quale è amico nostro ed in capo all'anno ci ha fatti mille piaceri.

Ritornò a giurare il puto ch'ei non sapeva cosa veruna di quella borsa.

Allora il Monipodio venne in tanta colera che pareva buttasse fuoco per gli occhi, dicendo:

—Non burli nessuno con rompere o trasgredire il minimo che degli statuti nostri, perché la vita gli costerebbe. Scuoprasi la foglia(45). Se si nasconde per non pagare il diritto, ci metterò del mio per dargli intiera sodisfazione, in ogni modo voglio che il bargello parta da noi contento.

Ancora il ragazzo ricominciò a rigiurar da nuovo e maledire chi avesse tolta la borsa, la quale mai egli veduta aveva. Ma tutto ciò via più riaccese il fuoco dello sdegno del Monipodio e diede occasione di turbarsi tutta la ragunanza, veggendo gli suoi statuti ed ordinazioni non esser osservati. Però al Rinconetto parve staria bene ch'egli sedasse tanto tumulto e desse sodisfazione al suo maggiore che insaniva da rabbia. Consigliatosi dunque col suo compagno, di parere d'entrambi cavò fuora la borsa del graduato e disse:

—Cessi, signori, tutto questo rumore. Ecco la borsa e non vi manca neanche un bagattino di quanto il bargello ha detto esser dentro. Quella oggi è stata presa dal Cortadiglio mio camerata, con un fazzoletto per gionta, al medesimo padrone d'essa.

Subito il Cortadiglio trasse fuora il moccichino e mostrollo a tutti. Il che vedendo il Monipodio, prese a dire:

—Che 'l Cortadiglio il Buono, ch'ormai voglio che se gli dia questo cognome, si tenga il fazzoletto, che sopra di me piglio la sodisfazione di questo particolare, ed al bargello se gli darà in man la borsa per renderla ad un parente suo ch'è graduato; e sarà adempito il proverbio che dice: Non è troppo che tu dii una coscia della gallina a chi ti rende la gallina intiera. Dissimula e fa più per noi in un giorno questo bargello amico che non possiamo né sogliamo dargli in cento.

Dal consenso universal di tutti fu approvata, anzi lodata, la generosità de' due moderni compagni e la sentenza ed intenzione del lor maggiore, il quale se n'uscì a rimetter la borsa al barigello, e restò il Cortadiglio col cognome di Buono, come s'ei fosse stato don Alonso Perez di Guzman il Buono che gittò il coltello giù per le mura di Tariffa per iscannar con quello l'unico suo figliuolo o per utile della città.

Nel ritornar il Monipodio, entrarono con lui due giovani, inverniciati con belletto i visi, le labra invermigliate a forza di cinabbro, i petti imbiancati ed ammantate con mezzi manti di saia scotta. La ciera baldanzosa diceva chiaramente ch'esse erano sfacciate. Questi furon i segni certi per i quali il Rinconetto ed il Cortadiglio conobbero alla bella prima quelle essere del broncone(46). All'entrar esse in casa, l'una con le braccia aperte venne ad abbraciare il Cichiznache e l'altra il Maniferro: e questi erano i nomi delli due bravi. Et il Manifero era così chiamato perché aveva una mano di ferro, in luogo di quella che per giustizia gli era stata tagliata. Eglino similmente le abbracciarono con festevole allegrezza e domandaron loro s'avessero portato con che bagnar la canna maestra(47).

—Sì ch'abbiamo portato, bravo mio, credevi tu ch'avesse da mancare? —rispose l'una, che si chiamava la Gananziosa— Tarderà poco a venire Silvatiglio tuo ragazzo, con la canestra piena di quello che ha piaciuto alla fortuna.

E fu il vero come l'aveva detto, perché indi a poco un giovanotto entrò là dentro con la canestra coperta d'un lenzuolo. Rallegraronsi tutti all'entrare del Silvatiglio e subito il Monipodio comandò che portassero una di quelli(48) stuore ch'erano nella camera e la distendesino in mezzo al cortile. Et ancor ordinò che tutti sedessero attorno a quella e che in alzando l'altana(49) si tratterebbe di ciò che più sarebbe di bisogno.

Allora la vecchia che aveva borbotato davanti all'imagine disse:

—Figliuol mio Monopodio, qua non son venuta per solazzare, perché da due giorni tengo alcune vertigini che mi fanno diventar matta, oltraché, prima che sia mezzodì, ho da compire le mie devozioni(50); ma son venuta a dirvi che 'l Rinegato ed il Centopiedi portarono ier notte a casa mia una canestra da bucato un poco più grande di questa, piena di panni netti; ed in coscienza ch'essi venivano con sopravi ancora la cenerata che mi fa credere che quei poveri putti non ebbero il tempo di lavarla né di posarla in terra; ed era di compassione il vederli entrare ansando con tante stille di sudore su per la faccia che parevano lambichi. Essi mi dissero che andavano a seguitare un pecoraio, il quale alla Beccaria allora aveva pesato certi castrati, e che volevano provare un tentativo sopra una scarsella ch'egli portava gravida di reali. Non vollero votare la canestra né numerar la robba, standosene sopra l'integrità della mia coscienza; così il cielo m'aiuti e ci liberi tutti dalla giustizia, come io non ho tocco la canestra e ch'ella è così intiera come quando fu fatta.

—Ve lo crediamo, signora madre —rispose il Monipodio—, e stia così la canestra, che la vederò tutta a parte a parte e darò a ciascuno quel che gli viene fedelmente, com'io soglio fare.

—Facciasi, figliuol mio —disse la vecchia—, com'a voi piace e pare. E perché si fa tardi, s'avete là con che consolar questo stomaco, il quale quasi ognora si smarrisce, datemi un sorso.

—Sì, vel daremo, madre mia —le disse la Scalanta ch'era compagna della Gananziosa.

E scuoprendo la canestra si vidde un fiasco di cuoio da due boccali, pien di vino, ed insieme con quello un tazzone di sughero che mostrava tener comodamente circa un boccale. Empillo la Scalanta e lo porse alla divotissima vecchia, la quale, ricevendolo con ambe le mani ed avendovi soffiato un poco di schiuma, disse:

—Molto ce n'hai messo, figliuola Scalanta, però Iddio mi darà forza per tutto.

Ed applicandoselo alle labbra, d'un sorso solo senza ripigliar fiato, lo travasò dal fiasco nello stomaco ed il finì, dicendo:

—È vino di Guadalcanale ed ha ancora un non so che di creta o gesso, il signorotto. Dio ti consoli, figlia mia, come tu consolata m'hai; ma io temo che questo vino mi faccia male, perché ancora in questo giorno non ho mangiato.

—Non farà, madre —rispose 'l Monipodio—, ch'egli è vino di due anni.

—Così spero —soggionse la vecchiarella.

Ed ancora v'aggionse:

—Fra tanto, care figliuole, vedete se per sorte avete qualche moneta da donarmi, per comperare non so che da far certa mia divozione, perché, dalla gran voglia e fretta ch'ho avuta di venire a portarvi la nuova della canestra, m'ho scordato a casa la borsa.

—Sì che la tengo, signora Pipotta —(che questo era il nome della vecchiarella) rispose la Gananziosa—; ecco ch'io vi dono dodici quattrini; pigliate questi per ora, che un altro giorno poi complirò con maggior somma.

—Farai molto bene, figliuola —disse la vecchia—, e guardati di non diventar misera; voglio dire ch'assai importa alla persona portar da sé stessa le candele in man propria, o farsele portar davanti, innanzi ch'ella si muora, senz'aspettare che gli eredi suoi, od essecutori del suo testamento, ce le mettino per lei.

—Dice benissimo nostra madre Pipotta —disse la Scalanta.

E mettendo la man alla borsa le diede altri quattrini e la incaricò che pregasse per lei. Così se n'andò la Pipotta, dicendo loro:

—Ora, figliuole, datevi bel tempo, mentre potete, che verrà la vecchiezza, nella qual piangerete l'ore perdute in gioventù, come ora le piango io; e raccomandatemi a Dio nelle vostre orazioni ed io vado a far il simile per me e per voi tutte, acciò che possiamo conservarci nella perigliosa nostr'arte senza paura né pericolo di giustizia.

Detto questo si partì. Andatasene la vecchia, tutti si posero a sedere attorno alla stuora e sopra vi distese la Gananziosa un lenzuolo per tovaglia. La prima cosa che fuora della cesta ella cavò fu un grosso mazzo di ravani e da due dozine di naranci e limoni ed insieme un gran tegame pien di merluzzo fritto in pezzi. Ben tosto poi fece comparire un mezzo formaggio di Olanda con una pignata di buonissime ulive, un piatto pieno di gambaretti di mare e copia grande di gambari fluviatili col suo appellativo, o comento, di cappari col condimento di pepe e tre bianchissime fogaccie di Gandulo. Sin a quatordici persone si ritrovarono in quella collazione e niun di loro si scordò l'adoperare il suo coltello dal manico giallo; ma il Rinconetto, ch'altro non aveva che la sua mezza spada, d'essa si valse. Alli due vecchi vestiti di roverscia ed alla guida toccò l'esser coppieri e dar da bere col tazzone di sughero. Ma appena ebbero cominciato a dar l'assalto ai naranci, quando i gran colpi che battevano alla porta gl'impaurirono tutti. Comandò il Monipodio che nessun si movesse, poi, entrato nella sala bassa e presovi un brocchiere, e con la spada ignuda in mano, se ne venne alla porta, ove con voce rauca e spaventosa domandò:

—Chi batte?

Fugli risposto da di fuora:

—Son io; non è niente, signor Monipodio, son il Tagaretto, la sentinella di questa mattina; e vengo a dirvi che se ne viene qua la Cariarta, tutta scompigliata ed afflitta, come che le sia sopragionta qualche disgrazia.

In quello, eccola venire singhiozzando. Sentendola, il Monipodio aprì la porta e comandò al Tagaretto che se ne ritornasse al suo posto e che per l'avvenire dovesse avvisare con manco strepito quel che vedesse. Diss'egli che tanto farebbe. Entrò la Cariarta, la qual era una giovine del medesimo genere dell'altre e della medesima arte. Aveva la faccia tutta guasta da bitorzoli ed all'entrare nel cortile ella cascò in terra tramortita. Accorsero subito ad aitarla la Gananziosa e la Scalanta e slacciandole il petto trovarono le sue carni tutte livide e peste. Spruzzaronle acqua nel viso, sì che ella ritornò in sé, gridando a più potere:

—La giustizia di Dio e del re venga addosso a quel ladrone, smargiasso, a quel codardo furfantone, quel pidocchioso, il quale ho cavato dalla forca più volte ch'egli non ha peli in barba. Meschina me, vedete per chi ho spesa e perduta la mia gioventù ed il fior de' miei anni, per uno sciagurato senza coscienza, scelerato ed incorrigibile.

—Quietati, Cariarta —disse allora il Monipodio—, ch'io son qui per farti giustizia. Raccontaci i tuoi aggravi. Più tempo spenderai in raccontargli ch'io in fartene vendicata. Dimmi se ti si ha perduto il rispetto e, se così è e ne vorrai vendetta, non hai se non da mover le labbra.

—Che rispetto? —rispose lei— Rispettata mi vegga io nell'inferno, se più lo voglio essere da quel leone coll'agnelle ed agnello con gli uomini. Ch'io mangi più del pane con lui né dorma con lui, più presto sien mangiate da schinanzia o da' mastini queste carni. Com'egli m'abbia concia, vedetelo.

Ed all'istante, alzandosi sin alle ginocchia i panni, ed anche più, mostrò la carne tutta livida da battiture.

—A questo modo m'ha trattato —seguitò ella a dire— quell'ingrato del Repolido che più è obligato a me che alla madre che l'ha fatto. Credete voi, signori, ch'io gli abbia dato soggetto di così maltrattarmi? Mai gliel'ho dato. Ma se lo prese di suo capriccio, perché un giorno ch'egli giuocava, e perdeva, mandommi a dire per Cabriglia suo ragazzo ch'io gli volessi mandare trenta reali e non gliene mandai che ventiquattro. Faccia il cielo che la fatica grande ed i tanti stenti con che io me gli guadagnai vadano in isconto de' miei peccati. Ora per ricompensa di questa cortesia e buon servizio, credendosi lo sciagurato(51) ch'io gli avessi scarsato qualche cosa di quella somma ch'ei s'aveva imaginato ch'io dovessi avere, questa mattina m'ha condotta fuor della terra, dietro al campo del giardino del re, e lì sotto gli ulivi spogliommi e con il cinturino, senza sparmiare né ritener i ferri, che ne' ceppi e nella catena io possa vederlo, mi diede tante staffillate che mi lasciò per morta, della qual vera storia son testimoni queste livide battiture che qui vedete.

Detto questo, ella di nuovo alzò le voci della sua querela, tornò a domandar giustizia e 'l Monipodio gliela promise ancor da nuovo e tutti i bravi ch'eran presenti. Cominciò la Gananziosa a consolarla, dicendole ch'ella averebbe dato volontieri uno delli suoi migliori gioielli che col suo innamorato altretanto le fosse occorso:

—Perché voglio che tu sappi, sorella Cariarta, se nol sai, che chi ben ama, ben castiga.

E che quando da questi bricconi siamo accarezzate e pettinate con le staffilate ed i calci, allora ci adorano; e che sia vero, confessami la verità per vita tua: doppo averti il Repolido così gastigata a pollo pesto, non ti fece egli qualche carezza?

—Come qualche carezza? —rispose la piangente— Me n'ha fatto centomila ed averebbe dato un dito della mano perch'io fossi andata con lui a casa sua; e, come mi parve, gli venivano le lagrime sugli occhi, doppo avermi pesta a questa foggia.

—Non v'ha dubbio —replicò la Gananziosa— ch'egli non pianga per averti acconcia di quella sorte, perché così fatti uomini in simili casi non sì presto hanno commesso l'errore che si sentono tocchi da pentimento. E tu vedrai, sorella, ch'innanzi di qui ci partiamo esso verrà a cercarti e chiedere perdono, umiliandotisi com'un agnello, di quanto è passato.

—Per mia fé —disse il Monipodio— che per questa porta non entrerà il codardo furfante, se prima egli non faccia manifesta penitenza del commesso delitto. Come ebbe tant'ardimento di metter le mani sul viso alla Cariarta e nelle sue carni, essendo lei persona che può andar del pari in pudicizia e guadagno con la medesima Gananziosa, qui presente, che è quanto io possa dir di meglio del fatto suo mettendola a questo paragone.

—Ah, signor Monipodio —disse allora Giuliana—, non dica male vostra signoria di quel tristo, che, quantunque egli così cattivo sia, con tutto ciò gli voglio più bene ch'agli occhi miei. M'hanno ritornata l'anima in corpo le ragioni che in favor di lui m'ha detta(52) la mia amica la Gananziosa e per quelle io sono per ir a cercarlo.

—Questo nol farai, se a me credi —soggionse la Gananziosa—, però che, se tu 'l facesti, egli si gonfierà ed allargherà di modo che non farà più conto di te che d'un corpo morto; quietati, sorella, ed abbi pazienza, che ben tosto il vedrai venire pentito, come t'ho detto, e se non venisse gli scriveremo alcuni versi, o stanze, che lo toccheranno sul vivo.

—Oh, questo sì —replicò la Cariarta—, che mille cose ho da scrivergli.

—Io —disse il Monipodio— sarò il segretario, se uopo fia; ed avegna che io non sia nientissimo poeta, tuttavia, s'io mi ci metto, mi basta l'animo di far in un voltar di mano duemila versi. E se quelli non daranno in brocca come bisogna, ho un amico mio, barbiere e gran poeta, che supplirà e ce ne darà a misura colma a tutte l'ore. Fra tanto finiamo la nostra cominciata collazione ed ogni cosa poi anderà bene.

Contentossi Giuliana d'ubbidire al suo maggiore e così tutti insieme tornarono al suo gaudeamus ed in poco di tempo viddero il fondo della canestra e quello del fiasco. Bevettero senza fine i vecchi, i giovani all'ugna ed alla pariglia, le donne a vicenda. Dimandarono licenza per andarsene i vecchi; incontanente lor la diede il Monipodio, comandando loro di venir a dar esattamente notizia di quanto vedessero essere utile e conveniente alla communità. Risposero che se lo tenevano a petto, e per raccomandato, e così si partirono.

Il Rinconetto, che naturalmente era curioso, domandato ch'ebbe primieramente licenza, chiedette al Monipodio che gli dicesse a che servissero alla compagnia quelli due personaggi cotanto canuti, gravi e di tanta presenza. Disegli il Monipodio ch'essi nel suo gergo e particolar modo di parlare si chiamavano mosconi ed andavano di giorno per tutta la città mosconando, cioè spiando in che casa si potrebbe di notte far la barba, ed a seguitare coloro che facevano trasportar i denari delle contrattazioni dalla zecca, o d'altro luogo, ed osservando dove gli riponessero; ed osservatolo scandagliavano la spessezza del muro di quella tal casa, poi dissegnavano il luogo dove più comodamente si potessino far i buchi da entrarvi. In risoluzioni(53), diceva il Monipodio ch'essi erano quelli che, più o manco, tanto recavano d'utile quanto altri, quali che si fossero, della compagnia e che di tutto quello che per la lor industria si sgraffignava ad essi il quinto ne toccava, come al re de' suoi tesori o delle sue miniere. Nel restante poi e con tutto ciò erano uomini molto sinceri, molto onorandi, di buona vita e fama, timorati di Dio e ch'ogni giorno sentivan messa con gran devozione.

—E fra di loro ve ne sono di sì cortesi, e specialmente quelli due che di qui si partono adesso, che di manco di quello che per nostri statuti lor tocca si contentano. Gli altri sono palanchini, così chiamano i facchini in Siviglia, i quali quasi di momento in momento trasportano le robbe, quando si muta casa, sanno l'entrate e l'uscite di tutte quelle della città e quali d'esse sono d'utile, e quali no.

—Tutto ciò mi pare oro ed azurro —disse il Rinconetto— ed io per me vorrei poter essere di qualche profitto a sì famosa compagnia.

—Sempre —soggionse il Monipodio— favorisce il cielo i buoni desideri.

Mentre così stavano a ragionare, fu picchiato alla porta, fecesi colà il Monipodio e domandò chi fosse:

—Apra, v. s. signor Monipodio, io son il Repolido.

Sentillo la Cariarta ed alzando la voce disse:

—Non apra, v. s. signor Monipodio, non apra a quel marinaro di Terpeia(54), a quella tigre di Ocagna(55).

Non per questo lasciò il Monipodio d'aprire il Repolido, il che veggendo la Cariarta levossi presto e correndo se n'entrò nella sala dei brocchieri e, avendo serrata la porta, di lì dentro gridava a bocca spalancata:

—Che mi si levi dagli occhi quel furfante da niente, quel boia d'innocenti, quello spaventatore di colombe domestiche.

Il Maniferro e 'l Cichiznacco tenevano stretto il Repolido che a tutti i modi voleva entrare ov'era la Cariarta; però, come non lo lasciavano che scappasse, egli dal di fuori diceva:

—Orsù, non più colera, cuor mio, quietati per vita tua e così maritata tu ti vegga.

—Io maritata, maligno che tu sei —rispose la Cariarta—, guardate, di grazia, che corda egli tocca. Vorresti forse ch'io lo fossi teco? Più presto mi mariterei con una sodomia(56) di morto.

—Finiamola, madonna matta —replicò il Repolido—, che si fa tardi, e non ti gonfiare, perché tu mi vedi con parole dolci umiliarmi, che al corpo di Bacco, se i grilli mi salteranno in testa, ch'ha da essere la ricaduta peggiore della caduta. Umiliisi, ed umiliamci tutti, e non diamo da desinar al diavolo.

—Anche da cenar gli darei —soggionse la Cariarta—, acciò egli ti portasse in luogo dove i miei occhi mai ti vedesino.

—Madesì(57) —disse il Repolido—, affé, affé, signora beffana, che comincia a venirmi l'odor al naso ch'ella mi si debba sfogare.

A queste parole il Monipodio disse:

—In presenza mia non s'ha da venire a questi termini d'eccesso. La Cariarta verrà fuora non già per minaccie ma per amor di me e tutto anderà bene. Le contese fra quelli che s'amano recano maggior gusto doppo fatta la pace. Ah Giuliana, ah putta cara, ah Cariarta mia, esci e vien qua, se mi vuoi bene, ch'io farò che 'l Repolido ti domanderà perdono inginocchioni.

—Come egli voglia far questo —disse la Scalanta—, tutte piegheremo in favor suo e pregheremo Giuliana ch'ella venga qua fuora.

—Se questo s'ha da fare per via d'arrendimento —soggionse il Repolido—, che dà odore di poco animo ed anche di disprezzo della persona, io non mi arrenderei ad un formato essercito di svizzeri; ma se sia per solo il gusto della Cariarta un chiodo mi conficcherò nella fronte per suo servizio, non che inginocchiarmi ai piedi suoi.

A queste parole il Cichiznacco e 'l Maniferro ebbero da ridere; ma il Repolido ne venne in colera tanta, credendo che di lui si burlassino, ch'egli in queste parole proruppe:

—Qualunque si ride o pretende ridere e burlarsi di quello che la Cariarta m'ha detto, od io ho detto a lei, o che siamo per dire, dico ch'egli se ne mente e mentirà ogni volta che se ne riderà o penserà ridersene.

Allora si vidde il Cichiznacco e 'l Maniferro come alterarsi e turbarsi in faccia, per il che il Monipodio previdde che vi sarebbe qualche disconcio s'ei non vi rimediasse. Così, mettendosi subito di mezzo, disse:

—Fermatevi, cavalieri, cessino le parole offensive e si disfacciano fra' denti. E, poiché quelle che sono state dette non arrivano sin a cintola, niuno per sé se le pigli.

—Sappiamo certo —rispose il Cichiznacco— che così fatti monitori non furono detti né si diranno per noi, che, se alcuno sel fosse solamente imaginato, il cembalo era in mano di chi l'avesse saputo ben toccare.

—Anche noi abbiam qui cembalo, signor Cichiznacco —replicò il Repolido—, ed anco se sia bisogno sapremo toccar i sonagli. Ho già detto che chiunque si burla se ne mente; e chi vorrà dir in contrario mi seguiti, che con manco d'un palmo di spada io gli farò vedere che quello ch'è detto è detto.

Questo dicendo egli volle uscire. Al sentirlo la Cariarta, e veggendo che tutto adirato voleva passar fuor della porta, ella se n'uscì gridando:

—Fermatelo, fermatelo, che non vada fuora, perché farà di quelle sue, poiché se gli fuma la colera è che in quello dell'esser bravo egli è un altro Rodomonte. Ritorna qua, o la bravura del mondo e degli occhi miei.

E correndo da lui preselo per la cappa e, anche sopragiongendo il Monipodio, lo fermarono. Non sapevano il Cichiznacco ed il Maniferro in che modo la dovessino pigliare, per che stettero senza far moto, aspettando quello che 'l Repolido volesse fare. Or egli, veggendosi pregato dalla Cariarta e dal Monipodio, si prese a dire:

—Mai debbono gli amici dar noia né impaccio agli amici, né manco burlarsi di loro, maggiormente quando che veggono starsi a contendere gli amici.

—Qui non è alcun amico —rispose 'l Maniferro— che voglia dar noia né burlarsi dell'amico; però, poiché siamo tutti amici, restiamo amici.

—Voi avete —disse il Monipodio— parlato da buoni amici, dunque come amici datevi l'un l'altro la mano da amici.

Subito se la diedero e la Scalanta levandosi dal piede una pianella cominciò a toccar sopra quella come sopra un cembalo; la Gananziosa si prese una scopa nuova di palma, la quale si trovò lì a caso, e ruspandola faceva un suono che, con tutto ch'egli fosse rauco e ruvido, accordavasi con quello della pianella. Il Monipodio ruppe un piatto di maiolica e, con due greppi d'esso, adattati tra le dita e con gran destrezza e prestezza tocchi, faceva un concerto con la pianella e la scopa. Meravigliaronsi il Rinconetto ed il Cortadiglio della nuova e stravagante invenzione della scopa, perché un'altra simile mai avevano veduto. Se n'accorse il Maniferro e lor disse:

—Vi meravigliate della scopa? Avete ragione, perché da che il mondo è mondo non è stata inventata musica più pronta, manco increscevole né di sì poca spesa. E così, dico il vero, l'altro giorno io sentii dire ad uno studente che né Morfeo(58) che trasse quella Radice(59) fuora dell'inferno, né Marione(60) che cavalcava per lo mare sopra un delfino come se fosse stato sopra una mula da nolo, né quell'altro gran musico(61) che fabricò una città ch'aveva cento porte(62) ed altretante porticelle mai inventarono simil genere di musica o d'istromenti, tanto facile da imparare e da suonare e che non ci vuole tasti, cavicchie né corde, e che non è di bisogno accordargli. Colui che l'inventò, al corpo di Bacco, dicesi essere stato un innamorato di questa città che si dà il vanto d'esser un Ettore(63) nella musica.

—Questo credo io —rispose il Rinconetto— ma stiamo a sentire ciò che i nostri musici cantar vogliano, che mi pare che la Gananziosa abbia sputato, segno ch'ella voglia cantare.

Et è vero, perché 'l Monipodio l'aveva pregata che cantasse alcune villanelle di quelle che s'usano e vanno in volta; però, quella che cominciò fu la Scalanta, la quale con voce sottile ed interrotta cantò la seguente villanella:

Por un sevillano, rufo a lo valón,

tengo socarrado todo el corazón.

Seguitò la Gananziosa:

Por un morenico de color verde,

¿cuál es la fogosa que no se pierde?

E subito poi il Monipodio, accordando colla prestezza de' suoi greppi, cantò:

Riñen dos amantes, hácese la paz.

Si el enojo es grande, es el gusto más.

Non volle la Cariarta che il suo gusto passasse sotto il silenzio, perché pigliando un'altra pianella, o zoccolo, entrò in ballo cantando:

Detente enojado, no me azotes más,

que, si bien lo miras, a tus carnes das.

—Cantiamo come si deve —disse allora il Repolido— e non ramentoviamo storie passate, che quello ch'è fatto è fatto, e pigliamola per altra strada e basta.

Stavano per non finire così presto il cominciato cantare, se non avessino sentito battere fortemente alla porta; v'andò il Monipodio a vedere chi era e la spia gli disse che in capo alla strada spuntava il bargello e che davanti a lui venivano il Tordiglio ed il Cernicalo, sbirri neutrali. Questo sentirono quelli di dentro e si commossero da paura tale che la Cariarta e la Scalanta si calzarono i zoccoli al contrario; la Gananziosa gittò via la sua scopa ed il Monipodio i suoi greppi e restò zitta tutta la musica in un turbato silenzio; ammutì il Cichiznacco; divenne tutto sbigottito il Repolido e sospeso il Maniferro e tutti, chi qua, chi là, sparirono salendo alle loggie e sopra il tetto per salvarsi con passarsene ad un'altra strada. Mai lo sparare dell'arcobuso né il repentino scoppio del tuono spaventò così l'inavvertito branco di colombe, come la nuova del venir il bargello a quella volta atterrì e scompigliò tutto quel consorzio. I due novizi, il Rinconetto ed il Cortadiglio, non sapevano che cosa si dovessin fare. Tuttavia stettero saldi ad aspettare qual successo averebbe quell'improvisa burasca ch'altro fine non ebbe se non che la spia tornò a dire che il bargello era passato oltra, senza dar alcun segno o sospetto di male. In quel mentre ch'egli stava a dare questa relazione, ecco venire alla porta un giovine gentiluomo vistosamente vestito. Il Monipodio lo fece entrare e mandò per il Cichiznaccio, il Maniferro ed il Repolido e comandò che nessun altro scendesse. Il Rinconetto ed il Cortadiglio, ch'erano rimasti nel cortile, potettero sentire tutto il ragionamento tra il Monipodio ed il gentiluomo, il quale gli disse per che causa si avesse tanto mal eseguito ciò ch'egli ordinato gli aveva. Rispose il Monipodio ch'ei ancor non sapeva che cosa fosse stata fatta, ma che colui a cui era stato imposto quel servizio si ritrovava in casa e gli daria buon conto del fatto. In questo, venne giù il Cichiznacco. Domandogli il Monipodio s'egli avesse eseguito ciò che gli era stato ordinato circa lo sfregio da quatordici.

—Quale —disse l'addimandato—, quello di quel mercante del cantone all'Incrociata?

—Quell'è —soggionse il gentiluomo.

—A dirvi il vero —rispose il Cichiznacco—, iersera l'aspettai sulla porta di casa sua, dov'egli arrivò innanzi che suonasse(64) l'avemaria. Io me se gli accostai e con la vista gli misurai il viso e viddi ch'egli l'aveva sì picciolo ch'affatto impossibil era capir in quello uno sfregio da quatordici punti, di sorte che, trovandomi non poter compire l'impromesso conforme il tenore della mia distruzione.

—Instruzione vuol dire v. s. —disse il gentiluomo.

—Quello sì —soggionse il Cichisnacco—; dico che, nella strettezza e nel poco spazio di quel viso non essendo luogo per i punti determinati e perché io non perdessi i passi, diedi la coltellata ad un suo ragazzo che affé la puol essere nel numero di quelle straordinarie.

—Averei avuto più a caro —disse il gentiluomo— che voi l'aveste data da sette al padrone che da quatordici al servitore. In effetto, non sono stato servito come si doveva; però non importa. Io non sarò più povero per i trenta ducati ch'io diedi di caparra; bacio le mani alle signorie vostre.

Questo dicendo, cavossi il capello e voltò le piante per irsene; ma il Monipodio lo prese per il lembo della cappa, ch'era di saia mischia, e gli disse:

—Fermisi v. s. ed adempisca la sua promessa, poiché noi abbiam adempita la nostra onoratissimamente(65) e con vantaggio di lei; qui mancano venti ducati; però v. s. non ha da uscire di questa casa senza dargli, overo pegno che gli vaglia.

—Dunque a questa foggia —replicò il gentiluomo— v. s. chiama compimento di promessa dar la coltellata al servitore, invece di dover darla al padrone?

—Senz'altro che v. s. ha dato nel punto e l'intende —rispose il Cichiznacco—; non si ricorda del proverbio che dice che chi ama il padrone, ama il suo cane?

—Ma, come può —soggionse il gentiluomo— quadrar in questo proposito quel proverbio?

—Benissimo —replicò il Cichiznacco—, perché non è la medesima cosa il dire: Chi vuol mal al padrone, vuol mal al suo cane? E così il padrone è il mercatante. V. s. gli vuol male, il suo servitore è il suo cane e dando al cane si dà al padrone; a tal che, il debito resta pagato ed ha sortito la dovuta esecuzione. Per il che, non ci vuol altro se non pagar presto, senza alcuna prolongazione di tempo.

—Così ha da essere —soggionse il Monipodio— e tu, amico Cichiznacco, m'hai tolto di bocca quanto hai detto. Da questo dunque, signor galante, v. s. non si metta in puntigli con i suoi servidori ed amici e pigli il mio consiglio: paghi presto la nostra fatica e, se vi piace che al padrone si dia un altro sfregio di quel tenore o misura che 'l suo viso potrà capire, fate conto che sia spedito il negozio.

—Quando che questo sia —rispose il gentiluomo—, molto volontieri pagherò l'un e l'altro intieramente.

—Se n'assicuri —disse il Monipodio—, come ch'ella è cristiana, che Cichiznacco glielo darà dipinto, anzi scolpito, come se con lui nato fosse.

—Stante questa promessa e sicurtà —rispose il gentiluomo—, ecco ch'io vi do questa collana per pegno dei venti ducati dovutivi e di quarant'altri ch'io vi prometto per lo sfregio che s'ha da dare. La collana vale mille reali(66) e potrebb'essere ch'ella vi restasse, perché mi si va digerendo per la fantasia che fra poco tempo s'avrà da dar altri quatordici punti.

Questo dicendo egli dal collo si cavò la collana, ch'era fatta a magliette minute, e la diede al Monipodio, il quale ben conobbe al colore ed al peso ch'ella non era d'alchimia. Ricevettela il Monipodio con fronte allegra e cortesemente, però che era molto ben creato. Fu imposta l'esecuzione del negozio sopradetto al Cichiznacco che sola quella notte seguente prese per termine di tempo; e così molto contento indi si partì il gentiluomo. Intanto il Monipodio richiamò gli assenti che, come abbiam detto, erano fuggiti da paura; vennero giù tutti; e, ponendosi egli in mezzo a loro, cavò un libro di memoria ch'esso portava nel capuccio della cappa e, perché non sapeva leggere, lo porse al Rinconetto acciò leggesse. Aprillo il giovane e nel primo margine trovò che diceva così:

Memoria degli sfregi che si hanno da dare questa settimana.

Il primo, al mercatante dell'Incrociata. Vale scudi cinquanta. Trenta sono stati pagati a buon conto. Esecutore Cichisnacco.

—Non credo che vi sia altro sfregio —disse il Monipodio—, passa innanzi, figliuolo, e guarda ove dice: Memoria di bastonate.

Voltò foglio il Rinconetto e vidde nell'altro margine scritto:

Memoria di bastonate.

E più sotto:

Al taverniere del Trifoglio, dodeci bastonate di quelle da spelar gatti. Sono da uno scudo l'una. Otto pagati a buon conto. Il termine, sei giorni. Esecutore il Maniferro.

—Sia pur dipennata di presente questa partita —disse il Manifero—, perché stanotte ella sarà saldata.

—Vi è altro, figliuolo? —domandò il Monipodio.

—Sì —rispose il Rinconetto—, un'altra che dice:

Al sartor gobbo, il quale con mentito nome si chiama Silghero, mezza dozina di bastonate di quelle buone, ad istanza della dama che lasciò per pegno la gargantiglia. Esecutore il Desmosciado(67).

—Io mi maraviglio —disse il Monipodio— che questa partita stia ancor in piede, senza dubbio che il Desmosciado deve esser ammalato, perché sono passatti(68) due giorni del termine e non ha tocco niente in questo negozio.

—C'incontrammo ieri —disse il Maniferro— ed egli mi disse che per non essere venuto fuor di casa il gobbo, perché stava male, ei non aveva adempito il debito.

—Facilmente credo che dica il vero —soggiunse il Monipodio—, perciò che ho il Desmosciado per così buon officiale che, se non si fosse fraposto qualche legitimo impedimento, egli già averebbe dato fine ad imprese maggiori, non che a questa. V'è altro, o putto?

—No signore —rispose il Rinconetto.

—Passa dunque più innanzi —disse il Monipodio— e guarda dove dice: Memoria d'ingiurie comuni.

Passò oltre il Rinconetto e nell'altra carta trovò scritto:

Memoria d'ingiurie comuni, cioè caraffate, olio di ginepro e corna; burle, paure, rumori e coltellate finte, publicazione di libelli infamatori, etc.

—Che cosa dice più di sotto? —disse il Monipodio.

—Dice —rispose il Rinconetto—: Olio di ginepro nella casa di...

—Non si mentovi la casa, ch'io so dove la sia ed io sono l'esecutore di quella frascheria. Per essa, a buon conto di scudi otto del principale, quattro sono stati pagati.

—Egli è vero —disse il Rinconetto—, che così è qui scritto; ed anco più sotto dice: Conficcamento di corna.

—Neanche in questo —disse il Monipodio— si nomini la casa né dove; basta che se gli faccia l'affronto, senza che si dica in publico, il che ho per gran carico di coscienza. Più presto vorrei conficcare cento corna, purché mi si pagasse la mia fatica, che dirlo una sola volta, benché fosse alla madre che m'ha fatto.

—L'esecutore di questa infamia —disse il Rinconetto— è il Narighetta.

—Già quello è stato fatto —disse il Monipodio— e pagato; vedi se v'è altro, che, se ben mi ricordo, lì deve essere una paura da venti scudi. N'è stata pagata la metà e l'esecutore di quella è la compagnia tutta ed il termine il corrente mese. Averà il suo compimento sì puntualmente che non le mancherà un minimo che, e sarà una delle più belle baie che si sien date da molti anni in questa cittade. Dammi il libro, figliuolo, ch'io so non esservi altro più; e so ancora che il nostro ufficio va in declinazione; tuttavia dopo questo tempo verrà un altro ed averemo da fare più che non vorremo; non si muove neanche una foglia senza il voler di Dio e non possiamo fare che alcuno si vendichi per forza, maggiormente ch'oggidì ogniuno nella causa propria è valente, per non aver da pagare la fattura di ciò ch'egli può fare con le sue mani.

—Così è —disse allora il Repolido—. Però, signor Monipodio, vegga v. s. che cosa le piace comandare che facciamo, perché si va facendo tardi e viene il caldo più che di passo.

—Quello che s'ha da fare —rispose il Monipodio— si è che tutti ve n'andiate a' vostri posti e che nessuno se ne parta sin a dominica, che ci raguneremo in questo medesimo luogo e si spartirà, senza far torto a niuno, quello ch'averete(69) ammassato. Al buon Rinconetto ed al Cortadiglio diamo per distretto, sin a dominica, dalla torre dell'Oro per di fuori della città infin alla porticella della rocca e lì potranno, stando a sedere, attendere al suo giuoco. Altri ho veduti di manco abilità di loro guadagnarvi più di venti reali al giorno in moneta minuta, senza la più grossa, e questo con un mazzo di carte nel quale anche quattro mancavano. Il distretto ve l'insegnerà il Ganzioso(70). E benché vi allarghiate sin a San Sebastiano e Sant'Elmo poco importa, poich'è giuridizione mera mista che s'usurpi in quella del vicino o d'altrui.

Ambedui gli baciarono le mani per i tanti favori ch'essi ricevevano e promisero di esercitare e portarsi ne' loro uffizi fedelmente, e da uomini da bene, e con ogni diligenza ed accortezza. In quello, il Monipodio trasse fuora dal capuccio della cappa una carta piegata, nella quale erano scritti li nomi dei compagni, e disse al Rinconetto che vi scrivesse il suo e quello del Cortadiglio. Ma perché non aveva calamaro, gli diede la carta acciò la portasse seco e nella prima speziaria ch'egli incontrasse ci scrivesse: "Rinconetto e Cortadiglio compagni nuovi, Rinconetto il primo, Cortadiglio il secondo" ed il dì, mese ed anno, senza far menzione de' parenti né della patria loro. In questo mentre entrò uno delli vecchi mosconi di sopra mentovati e disse:

—Vengo a dire alle signorie vostre qualmente or ora in Gradi mi son incontrato in Lupicino da Malaga e m'ha detto ch'egli si sia fatto così esperto nell'arte sua che con carte schiette gli basta l'animo di vincere all'istesso satanasso i suoi denari. E perché egli si ritrova mal in arnese, e tutto straccioso, non può venir ancora a farsi registrare e dare la solita ubbidienza, ma che senz'altro dominica prossima ei sarà qua.

—Sempre mi sono imaginato —disse il Monipodio— che questo Lupicino sia un unico paragone nell'arte sua, perché egli ha le migliori e più leste mani per quell'effetto che si possa desiderare. Così, per riuscire un buono uffiziale, non sono manco necessari nell'arte che si esercita i buoni stromenti di quello sia stato necessario il buon giudizio con che l'ebbe imparata.

—Et anche ho incontrato —disse il vecchio—, nella strada dei Tintori, il Giudeo in abito lungo. S'è alloggiato lì perché ha avuto notizia che due mercatanti del Perù albergano nella medesima casa e vorrebbe tentare s'egli potesse attacarsi a giuocare con esso loro, ancorché fosse per poca cosa, che da quella si potrebbe venir a molta. Similmente m'ha detto che non mancherà di venire dominica alla radunanza e darà conto del fatto suo.

—Anche quel Giudeo è un gran furbo e molto pratico —disse il Monipodio—. Parecchi giorni fa che non l'ho veduto e n'ha il torto. Affé, s'egli non muterà stile e non farà meglio, io gli disfarò la chierica, tanto ha ordini il ladrone quanto un turco e così sa latino come lo sa mia madre. Avete altro da dir di nuovo?

—No —rispose il vecchione—, almanco ch'io sappia.

—Sia in buonora —soggionse il Monipodio—; fra tanto le signorie vostre accettino questa miseria —e spartì tra tutti quaranta reali— e nessuno di voi manchi a ridursi domenica nel posto assegnatoli, e non si mancherà di dar a ciascuno la sua parte di quello si avrà uncinato(71).

Tutti lo ringraziarono. Il Repolido e la Cariarta di nuovo s'abbracciarono, la Scalanta col Maniferro e la Gananziosa col Cichisnacco, concertando tra di essi che, dopo di aver fatti i servizi di casa, si ridurriano in quella della Pipota, dove il Monipodio disse voler anco lui andare a far nota delli panni ch'erano stati portati nella canestra ed indi, senza indugio, irsene a saldare la partita dell'olio di ginepro. Egli abbracciò il Rinconetto ed il Cortadiglio e con somma benignità licenziolli e lor comandò che mai avessero stanza ferma né certa, come usavano tutti i compagni per la loro salute. Gli accompagnò il Ganzioso sino ad insegnargli i loro posti, ricordandogli che non mancassero a ridursi la prossima domenica nel luogo assegnato, perché egli credeva che 'l Monipodio volesse dare una lezione di posizione circa le cose appartenenti all'arte sua. Così si partì da loro e lasciogli meravigliati di ciò ch'avevano veduto. E con tutto che il Rinconetto fosse giovine di pochi anni, tuttavia egli era di buonissimo intendimento e di buonissima natura. E, come altre volte ei avesse accompagnato il suo padre nell'esercizio delle bolle, sapeva qualche cosa circa il parlare in buona lingua, per il che non poteva tenersi che non ridesse quando gli venivano in mente le parole che al Monipodio aveva sentito proferire, ed agli altri della sua compagnia e comunità, e che cavavano lo stupendo, per dire lo stipendio, di ciò che si fioriva(72). Parimente, quando la Cariarta disse che 'l Repolido era simile ad un marinaro di Tarpea per dir Tropea e ad una tigre d'Ocagna per dire d'Ircania, con altre mille impertinenze ridicolose. Ma particolarmente, che questa fu graziosa, quando ch'ella disse che la fatica grande ed i tanti stenti con che s'aveva guadagnati i vintiquattro reali gli ricevesse il cielo a sconto dei suoi peccati, ed altri simili strambotti. E sovra tutto, egli stupiva della sicurezza e confidanza che quei ladroni si prendevano di gir al cielo e del non tralasciar le lor divozioni, essendo, com'erano, così pieni di ladronecci, di omicidi ed offese contra Iddio. Non manco si rideva di quella buona vecchiarella, la Pipotta, la qual teneva e ricuopriva in casa sua la rubbata canestra di panni di bucato e poi iva ad offerire le candelette alle imagini de' santi e con quel si credeva di gir al cielo calzata e vestita. Anco si faceva gran meraviglia della ubbidienza e del rispetto che tutti quelli furbi avevano al Monipodio ch'era un uomo rustico, barbaro e senza coscienza.

Egli considerava quello ch'aveva letto nel suo libro di memorie e gli esercizi ne' quali s'occupavano tutti quegli scavazzacolli(73). Insomma, egli esaggerava fra sé stesso quanta poca giustizia era in quella sì famosa città di Siviglia, poiché quasi alla scoperta ed alla libera viveva in essa quella canaglia cotanto perniciosa e sì contraria alla stessa natura. Quelle considerazioni fecero sì ch'ei si risolse a voler ancor consigliare al suo camarata che non istessero più lungo tempo in quella vita nefanda e sì cattiva, tanto inquieta, libertina e dissoluta. Nondimeno, tirato da' sensi giovenili ed incauto per la sua poca esperienza, attese all'esercizio di quell'arte ladronesca per alquanti(74) mesi, ne' quali gli succedettero cose che vogliono più lunga storia. Per il che, con altra occasione si dirà della sua vita ed insieme di quella del suo maestro il Monipodio e d'altri successi di quelli dell'infame academia; e tutti saranno di molta considerazione e potranno esser esempio e ricordo a coloro che gli leggeranno.