Paratesti Novilieri

 

 

Il novelliere castigliano

di Michiel di Cervantes Saavedra

 

 

Nel quale, mescolandosi lo stile grave col faceto, si narrano avvenimenti curiosi, casi strani e successi degni d'ammirazione, e si dà ad ogni sorte di persona occasione d'apprendere e precetti politici e documenti morali e concetti scientifichi e fruttuosi, tradotto dalla lingua spagnuola nell'italiana dal sig. Guglielmo Alessandro de Novilieri Clavelli, e da lui fattivi gli argomenti e dichiarate nelli margini le cose più difficili.

In Venezia, presso il Barezzi, MDCXXVI, con licenza de' superiori e privilegio.

 

All'illustrissimo signore il sig. Henrico Raiis Terzo, signore di Plauen e di Cranichfeld, Gerau, Schleitz e Lobenstein, e dignissimo consigliere pro tempore dell'Inclita Nazion Alemanna nella celeberrima Università ed Academia di Padova.

L'Italia, curiosa di cose belle ed amica de' begl'ingegni, stava con desiderio ed aspettando che nella sua lingua fossero trasportate queste novelle, quando ch'io m'accinsi per sodisfarle ancora, poiché di già dalla povertà del mio stile, per benignità sua, ha mostrato d'essere stata servita. Et insino da ch'io cominciai per finire questa fatica, feci pensiero di dover dedicarla a gentiluomo della Nazion Alemanna. Or fra di essa essendo v. s. illustriss. di molto splendore, sì per la nascita e chiarezza di sangue, come per le Sue virtù, me L'ho eletta per quell'altare sopra di cui a' meriti di Lei porto e dedico quanto di meglio io possa donarLe. È poca cosa; La prego tuttavia riceverla come se fosse quel più con che vorrei poterLa onorare. E, se conoscerò che questo mio dono Le sia stato gradito, l'avrò per un favore ch'anderà di continuo movendo la mia volontà ad incontrare l'occasioni di servirLa. E riverentemente Le bacio le mani.

Di v. s. illustrissima affezionatissimo servitore

Guglielmo Alessandro de Novilieri Clavelli

 

LETTORE

Nelle tradozioni che gl'ultimi due anni passati io feci d'una parte dell'Istoria di Francia del Mattei ti promisi che, se il basso volo della mia penna potesse arrivare al darti sodisfazione, sarei per servirti ancora con altra cosa ch'io pensassi essere di tuo gusto. Trovomi obligato alla condizione; ma questo più dalla tua bontà che per mio valore. Io t'offero dunque queste Novelle del Cervantes, stimato esser uno de' più leggiadri scrittori ch'abbia la Spagna in tutto quello ch'egli ha scritto, e particolarmente in questa pregiata fatica, ove si scorge ogni novella con ordine imitato dall'Istoria etiopica, e per tutte a mille a mille le bellezze dei concetti. Sono stato per un buon pezzo tra il sì ed il no s'io doveva farci gli argomenti, perché par ad alcuni che, letti quelli, la curiosità languisca nell'inoltrarsi, e sono altri che dicono che l'argomento, massime in questo genere di scrivere, è come l'occhio nel corpo umano, a cui egli dà grazia, benché in tutte l'altre sue parti esso sia perfetto. Or è stato bisogno pigliar partito. Se questo a tutti non potesse piacere, non sarà già gran fatto che fra di tante teste ve ne sia de discordanti. In quanto poi alle postille ne' margini segnate con una stella, l'ho poste per dichiarare alcuni termini propri alle cose di che si tratta, non intese da tutti, e le furbarie de' guidoni e tagliaborse, le quali anche ho espresse in gergo italiano, sì come son espresse in gergo spagnuolo, acciò di non levargli quel sale che pizzica. Ma credimi, lettore, che trovandomi su questo passo non ho avuto poco da fare, stando che quel modo di parlar furbesco non è proprio del genio d'uomo ben nato. Per il che ho cercato assai per informarmene, affin di ben intendere e far che tu intendi bene. La censura de' libri che s'hanno da stampare ci ha troncato qualche cosa, però il senso non è restato monco né manco. Alcuni versi di quelli pochi che vi sono non averei potuto trasportarli senza guastarli, a causa della proprietà dell'idioma che non vi s'incontra bene con questo; e così m'ha paruto meglio lasciargli tutti come stanno che di tradurne una parte e l'altra no, il che sarebbe stato troppa disparutezza. E già che sia quasi sempre di ordinario che le tradozioni non abbiano quella vivacità e quello spirito delli loro originali, tuttavia, senza temerità posso dire che, nell'esemplare di questa, nella quale ho reciso di molte seccaggini superflue ed inutili ed in lor vece messo cose necessarie per concatenar meglio i sensi da quelle interrotti, non vi è cosa male ch'abbia qui luoco né cosa bene che non campeggi qui. E se tu sei intelligente della lingua spagnuola e la confronterai con questa, a te starà il giudicare, tenendo giusta la bilancia, se la tradozione che ti presento vaglia l'originale. Non sarà meraviglia che 'l dente dell'invidioso vi si affissi e morda; ma non ci sarà danno, mentre che dalla tua cortesia venga gradito l'animo ch'io tengo di servirti.

 

Sopra questa tradozione del molto illustre signor Guglielmo Alessandro de Novilieri Clavelli1

 

Guglielmo Sohier fiamengo:

De la cetra d'Apollo il sacro canto
m'er'aviso d'udir, quando leggei
gli scritti del Cervantes che credei
ad ogni umano stil toglier il vanto.

 

Ma tu, dotto Alessandro, vincer quanto
lo fai sé stesso? Onde saper vorrei
perché l'ispano tu, che gallo sei,
di favella italiana adorni tanto.

 

O bontà rara! Onde il tuo nome viene
dal coro aonio tratto da l'oblio
e celebrato a l'acque d'Ippocrene.

 

Spirto gentil, fra quelle piagge amene
va', godi le bell'alme ove aspir io
per goder teco un dì d'un tanto bene.

 

SONETTO

 

Se uscir d'Iberia e dispartirsi solo,
perch'è cinta dal mar, chiusa dai monti,
quando entri in acqua l'un l'altro sormonti,
col nuoto il pesce può, l'augel col volo;

 

ond'è che, tolto da l'esperio suolo,
scorra il cervo, d'Enotria i poggi conti?
Come l'onde varcò, con quai sì pronti
vanni a l'aria si diè, s'espose al polo?

 

Gran stupor, questo è ben; ma vie maggiore
stupor, è che 'n stil vago e 'n detti accorti,
fatto a un punto a tre regni eterno onore,

 

con novelle ali, al chiaro ardir consorti,
oltre Pirene e l'Alpe o 'l salso umore
fido Spagna in Italia un gallo porti.

 

Paolo Emilio Cadamosto

 

TAVOLA DEGLI ARGOMENTI
I quali si sono posti nel principio di tutte le novelle che nell'opera presente si contengono.

 

Una fanciulla di Calis, per nome Isabella, è rapita da Clotaldo gentiluomo inglese. Il costui figliuolo, chiamato Ricaredo, s'innamora di lei e nel punto ch'egli sta per isposarla, dopo molte prove da lui fatte nella guerra per ottenerla, ella vien ad essere avvelenata dalla contessa d'Arnesto; ma con rimedi è liberata da quel pericolo mortale; tuttavia, per la gran forza del veleno, la sua bellezza resta per un tempo bruttamente disfatta. Ella col padre e con la madre se ne ritorna alla patria, ove quel giorno ed in quell'ora ch'essa andava a farsi monaca sopragionge Ricaredo e la sposa.

 

Un gentiluomo da Trapani, città di Sicilia, chiamato Ricardo, vien preso da' turchi con Leonisa sua innamorata per via d'uno stranissimo accidente. In quell'infelice principio la sorte si mostra così cruda ad ambedue che, mentre sono schiavi, ella adopera contro di essi ogni sua rigidezza. S'innamorano della schiava Leonisa alcuni turchi, signori di portata, e per farsene posseditori s'uccidono l'un l'altro. Et infine ella e Ricardo si salvano, carchi e ricchi delle spoglie de' loro padroni, e si maritano insieme. In questa novella sono rappresentate, quasi in chiaro specchio, tutte l'astuzie, sottigliezze e furbarie dei più scaltri mariuoli e tagliaborse, acciò ch'ognuno stando in cervello se ne sappia guardare, perciò che così fatta gente, che ha le mani di carpigna, andando sempre verso levante, non torna mai a restituir in ponente con pentimento ciò che una volta ell'abbia afferrato.

 

Il dottore Vidriera diventò matto ed egli si credeva esser di vetro. Nonostante però quella sua pazzia diceva cose ed a' quesiti dava delle risposte ch'avevan del sottile e del mirabile, come se dette fossero state da savio uomo. Questa piacevole novella mostra ch'anche i matti, almeno in quegl'intervalli che i giureconsulti chiamano lucidi, danno ricordi utili a chi valer se ne sapesse.

 

Leocadia, ritornando una sera da spasso col padre e colla madre, vien rapita da un giovine gentiluomo. Costui se la porta via a casa tutta tramortita e, mentre ch'ella è priva di sentimento, ei la viola. Et in quello che la giovine comincia a riscuotersi, egli le benda gli occhi e la mette sulla strada. Ella se ne ritorna a casa del padre, ove dopo molti sospiri e pianti si consola con un crocifisso che segretamente ella aveva preso in casa di colui che l'aveva stuprata. In capo a nove mesi ella partorisce un puttino bellissimo a meraviglia, il quale miracolosamente vien ad esser riconosciuto e riparato l'onore della madre con l'essere sposata col suo rapitore.

 

Filippo Carrizale, gentiluomo da Estremadura, provincia di Spagna, si prende per moglie, nell'ultima sua vecchiaia, una donzella d'anni quatordici2, chiamata Leonora. Egli fa fabricar un palazzo e vi serra la moglie, con tutti i famigli di casa, senza che nessuno di loro possa uscirne che non abbia da lui licenza. Un giovine per nome Loaisa operò tanto ch'egli guadagnò il portinaro e la governatrice, o maggiordoma, insieme colle cameriere, e dà una bevanda per il Carrizale, la quale un gran pezzo lo fa dormire. Svegliasi e, trovando la moglie che stava a giacere e dormendo in braccio del giovine, di gran cordoglio se ne muore; ella, che non aveva peccato che con la volontà sforzata, si fa solitaria in un monasterio e Loaisa vinto da disperazione vassene all'Indie.

 

Costanza, donzella di nobile casata, in una osteria di Toledo in Ispagna, sotto nome d'illustre fregona, s'alleva. Tomaso d'Avendagno, gentiluomo spagnuolo, s'innamora di lei; e per guadagnarsi la grazia sua fassi famiglio di stalla. Mentre dura quel suo innamoramento, vi nascono vari e notabili accidenti; e, dopo quelli, è Costanza conosciuta chi ella sia e con Tomaso maritata.

 

Costanza, figliuola di don Ferdinando d'Azevedo, cavaliere di Calatrava, e di donna Ghiomar di Menesez, vien ad essere rubbata nella sua fanciullezza e menata via da casa del padre da una vecchia cingara. Questa le impone il nome di Preziosa e come sua nipote l'alleva. In poco tempo ella riesce sì esperta in tutte le sorti di balli e giuochi di mano, ed insieme sì perfettamente bella e graziosa diventa, che chiunque la vede ne resta stupito. S'innamora di lei don Giovanni di Carcamo e per ottenerla vassene via dalla casa paterna, mentisce l'abito, si fa cingaro e chiamasi3 Andrea. Egli ammazza un uomo e, stando per essere condotto al supplizio, è Preziosa riconosciuta dal padre e dalla madre, i quali lo liberano da quella morte e con lui la figliuola maritano.

 

Teodosia, nobile donzella spagnuola travestita da uomo, va dietro a Marc'Antonio il suo amante, perché l'aveva abbandonata e da lei si fuggiva. Un'altra giovine anch'essa nobile, per nome Leocadia, parimente burlata dal medesimo, senza saper questa di quella, in abito similmente mentito, lo seguita. Vengon ad essere diversamente incontrate da don Raffaele fratello di Teodosia. E dopo strani avvenimenti Marc'Antonio s'ammoglia in Teodosia e don Raffaele in Leocadia.

 

Di Cornelia, bellissima gentildonna bolognese, s'innamora un duca prencipe d'Italia e la gode. Di tempo notte, il fratello di lei con l'arme in mano attacca il duca, il quale vien soccorso a caso da un gentiluomo spagnuolo, a cui fu inavertentemente dato il fanciullino allora partorito dalla gentildonna, acciò sel portasse a casa e n'avesse cura. Poi con istrano accidente ed impensatamente, cercando di mettersi in salvo, ella si ridusse in essa casa, di dove dapoi la fuggì via secretamente. Ma infine essendo ritrovata, il duca, accordatosi col fratello di lei, se la tolse per moglie.

 

L'alfiere Campuzano s'innamora di Stefana da Caizedo. Questa e quello s'ingannano l'un l'altro con maritarsi insieme. In che si vede un chiaro esempio di quell'astuzie che sogliono usare le meretrici e simili cattive donne o, per dir meglio, che chi la fa l'aspetta, cioè che spesse volte chi pensa ingannare si ritrova ingannato.

 

Di Scipione e Berganza, cani dell'ospedale della Risurrezione nella città di Vagliadolid, fuora la porta4 del Campo, i quali volgarmente sono chiamati i cani di Mahudès e destramente toccano o sindicano i diffetti e mancamenti di molte persone.

 

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1 Nel testo: Cavelli.
2 Nel testo: quatordlci.
3 Nel testo: chiamarsi.
4 Nel testo: potra.